Quando nel novembre del 2020 Maia Sandu è stata eletta presidente della Moldova, sconfiggendo il socialista filorusso Igor Dodon, è parso subito evidente che la sua posizione politica da “anatra zoppa” non le avrebbe consentito di portare avanti le riforme tanto auspicate per il paese. Per la Sandu era necessario contare anche su una maggioranza parlamentare. Per raggiungere questo scopo la presidente moldova ha potuto avvalersi della decisione della Corte costituzionale di annullare lo stato di emergenza sanitaria e del voto del parlamento che ha negato per ben due volte la fiducia a un nuovo governo.

La presidente Sandu ha potuto, quindi, sciogliere l’assemblea legislativa e indire elezioni anticipate che hanno avuto luogo domenica 11 luglio. Dalle ultime elezioni parlamentari del 2019 si sono formati sette nuovi partiti di cui cinque hanno partecipato per la prima volta alla competizione, aumentando il livello di frammentazione partitica: venti partiti, due blocchi elettorali e un candidato indipendente. A ciò ha contribuito anche il passaggio da un sistema elettorale misto a uno proporzionale con liste bloccate mentre sono state recepite le richieste delle organizzazioni internazionali di abbassare le soglie di sbarramento al cinque per cento per i partiti e al sette per i blocchi elettorali e l’inserimento della quota di genere pari al quaranta per cento.

I quotidiani internazionali hanno attribuito anche a queste elezioni una “connotazione geopolitica” che dal 2016 vede contrapposti l’europeista Sandu e il filorusso Dodon, ma un’analisi meno frettolosa e superficiale offre un quadro molto più articolato. Al di là dei legittimi orientamenti politici più o meno filoeuropei o filorussi dei singoli partiti, i temi della campagna elettorale sono stati esclusivamente di carattere nazionale: la lotta alla corruzione (115 su 180 posizioni in base al Corruption Perception Index), la riforma del settore giudiziario, le politiche di sviluppo economico locale, l’istruzione, la decentralizzazione e la protezione sociale. Sono questioni che hanno sempre contraddistinto la narrazione politica della presidente Sandu: «Voglio che smettiamo di associare la Moldova alla povertà, alla corruzione e all’emigrazione», «i moldavi vogliono uno stato che non li derubi e non protegga i ladri».

I risultati

La prima donna presidente nell’est europeo, che ha compiuto studi economici ad Harvard, ha lavorato alla Banca mondiale a Chisinau e Washington con una precedente esperienza al governo come ministra della Pubblica istruzione e capo del governo, è riuscita ad affermarsi l’anno scorso proprio per la sua capacità di rappresentare il cambiamento dopo anni di scandali politici che hanno coinvolto esponenti di diversi partiti e la frode bancaria del 2015 che fece sparire un miliardo di dollari, pari a circa il quindici per cento del Pil.

Nonostante il tentativo dei partiti socialista e comunista di arrestare l’ascesa della presidente, unendosi in un blocco elettorale (Bexs), il Partito dell’azione e della solidarietà (Pas) della Sandu ha ottenuto 63 seggi (52,6 per cento) su 101 del parlamento monocamerale contro i 32 seggi della coalizione guidata dai due ex presidenti del paese, il socialista Dodon e il comunista Vladimir Voronin, e i sei seggi del partito euroscettico, “Sor”, dell’oligarca Ilan Shor. L’affluenza alle urne si è attestata al 48,5 per cento, in calo rispetto alle presidenziali, soprattutto nella fascia d’età 18-25 anni.

La distribuzione del voto

La distribuzione del voto dimostra una geografia elettorale composita con la prevalenza del voto per il blocco filorusso nel sud, soprattutto in Gaugazia, mentre il partito della presidente ottiene ben l’86 per cento dei voti dei moldavi all’estero. Inoltre, come ha affermato il rapporto dell’Osce Odihr che ha monitorato le elezioni con oltre 250 osservatori internazionali, le elezioni sono state «ben amministrate, competitive e le libertà fondamentali largamente rispettate» con una buona rappresentanza dei partiti, con toni neutrali e positivi, nel canale televisivo Moldova 1. Nonostante la presenza di numerose etnie (ucraina, gaugaza, russa, bulgara, rumena e così via) non vi sono particolari rivendicazioni politiche. La questione dell’unificazione della Repubblica moldova con la Romania è piuttosto trasversale a tutti i partiti politici, ma non coglie un particolare consenso elettorale. D’altronde anche il governo rumeno non sostiene con convinzione questo progetto, consapevole delle eventuali ripercussioni che ci potrebbero essere nell’incorporare la componente russa della Moldova in un paese che è membro della Nato.

L’integrazione con la Ue

Sul piano internazionale la Moldova è stata invece definita «il paese più povero dell’Europa» e la sua posizione geografica, che storicamente l’ha privata dello sbocco sul mar Nero, non determina particolari ambizioni rispetto alla confinante Ucraina. Tuttavia, lo scorso maggio i ministri degli esteri di Georgia, Ucraina e Moldova hanno formalizzato un accordo di cooperazione per rafforzare il percorso di integrazione nell’Ue. E l’Ue ha approvato lo scorso giugno un finanziamento di 600 milioni di euro nei prossimi tre anni per sostenere l’economia moldava, fortemente colpita dalle conseguenze del Covid-19 a patto che il governo s’impegni a realizzare le riforme richieste dalla Commissione europea. Uno scambio che costituisce la grande sfida della presidente Sandu che, da un lato, dovrà mantenere le promesse elettorali rivolte al suo popolo e, dall’altro, dovrà conciliare l’europeismo moldavo con i rapporti con la Russia di cui non può fare a meno.

E in questa situazione il vero tallone d’Achille della presidente è costituito dalla Transnistria, uno stato indipendente non riconosciuto dai paesi dell’Onu perché considerato de iure parte della Moldova, ma governato da un’amministrazione autonoma con sede a Tiraspol e abitata da oltre il 60 per cento da russi e ucraini. Nel territorio si trovano stanziati duemila soldati russi a difesa dei depositi di armi lasciati dalla quattordicesima Armata rossa e dopo la riunificazione della Crimea con la Russia, anche la Transnistria ha espresso la volontà di perseguire il medesimo obiettivo. Qualora la presidente Sandu accelerasse il percorso di integrazione europea della Moldova non vi è dubbio che la Russia di Putin utilizzerebbe la Transnistria per ostacolare il processo negoziale.

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