Sabato scorso cadeva il decimo anniversario della scomparsa in Siria di padre Paolo Dall’Oglio, vittima illustre del conflitto che sta dilaniando il paese mediorientale da oltre 12 anni. Va da sé che il rapimento del gesuita che aveva scelto la Siria come sua terra d’elezione, è solo uno degli oltre 100mila casi (ma la cifra è quasi certamente per difetto) registrati da molti organismi internazionali impegnati nella difesa dei diritti umani e attribuiti nella stragrande maggioranza dei casi al regime di Bashar al Assad, non mancano tuttavia crimini analoghi commessi dall’Isis e da altri gruppi armati fondamentalisti (come appunto quello di padre Dall’Oglio).

Tanto che, sia pure assai tardivamente, l’assemblea delle Nazioni unite ha deciso, il 30 giugno scorso, di istituire un organismo specifico per indagare sulle sparizioni forzate avvenute in Siria negli ultimi 12 anni.

Secondo il diplomatico brasiliano Paulo Sérgio Pinheiro, presidente della commissione d’inchiesta dell’Onu sulla Siria: «Questa è una risoluzione storica e un passo tanto atteso dalla comunità internazionale, che finalmente viene in aiuto delle famiglie di tutti coloro che sono stati fatti sparire con la forza, rapiti, torturati e tenuti in condizione di detenzione arbitraria e in isolamento negli ultimi 12 anni».

Parole che sembrano riecheggiare quelle pronunciate dal segretario di Stato Pietro Parolin, dedicate a padre Dall’Oglio il 29 luglio: «In questi anni sono stati fatti tanti appelli, soprattutto dal santo padre Francesco. Li ripetiamo davanti all’altare affinché ci si adoperi con ogni mezzo per il ritrovamento di padre Paolo e degli altri scomparsi. Fosse anche solo per compiere quel gesto di pietà che non si può negare a nessuno ovvero quello di piangere dando una sepoltura dignitosa ai loro corpi».

Un ritratto incompleto

Ma chi era padre Paolo Dall’Oglio? Un uomo del dialogo, è stato ripetuto nei giorni scorsi, un costruttore di ponti fra islam e cristianesimo e all’interno dello stesso mondo arabo, un uomo di pace e di riconciliazione, il fondatore di una comunità monastica, quella di Mar Musa, nel cuore della Siria.

Certamente tutto questo è vero, ma il ritratto così tracciato sarebbe largamente incompleto se si prescindesse dalla sua adesione alla rivoluzione siriana iniziata nel 2011; cominciata come rivolta popolare che chiedeva libertà, democrazia, miglioramenti economici e sociale sulla spinta delle primavere arabe, la rivoluzione democratica fu poi travolta dall’ondata di piena del fondamentalismo islamista che divenne strumento di terrore, capace di opporsi al terrorismo di stato del regime di Damasco, in una tenaglia perfetta che stritolò il popolo siriano, mantenne intatto il potere della famiglia Assad e represse ogni istanza di liberazione.

Le complicità della chiesa

Tuttavia, per due anni, dal 2011 al 2013, padre Dall’Oglio cercò disperatamente di aprire un varco nell’indifferenza della comunità internazionale verso quello che stava succedendo al popolo siriano.

Una linea, la sua, che non fu compresa al principio, neanche da buona parte della chiesa istituzionale, e nemmeno dal suo stesso ordine, la Compagnia di Gesù. Per non parlare delle gerarchie ecclesiali del medio oriente, abituate ormai da anni a cercare rifugio all’ombra di dittature più o meno violente, capaci però di offrire tutele alle minoranze religiose in cambio di un sostegno cieco e assoluto.

Questa situazione fu appunto denunciata da padre Dall’Oglio attraverso una petizione pubblica rivolta a papa Francesco, diffusa nel 2013, nella quale fra le altre cose si leggeva: «Sono impegnato a tempo pieno per la difesa dei diritti dei siriani e della legittimità della loro rivoluzione. Oggi, lo sappiamo, la Siria fa da ring per una lotta geopolitica regionale all’ultimo sangue. In tutto questo le chiese non hanno saputo reagire in tempo e i cristiani si trovano ora intrappolati nelle zone di guerra e semplicemente tendono a lasciare il paese. Purtroppo il regime siriano è stato abilissimo nell’utilizzare un certo numero di ecclesiastici, uomini e donne, per propagandarsi in occidente come l’unico e ultimo baluardo in difesa dei cristiani perseguitati dal terrorismo islamico».

«Questa operazione di manipolazione dell’opinione – aggiungeva – è riuscita a discreditare in gran parte lo sforzo rivoluzionario siriano, sul terreno e all’estero, agli occhi dei cittadini di mezzo mondo, e ha quindi potuto ottenere una paralisi della diplomazia e della politica europee che in definitiva non fa che rafforzare i gruppi più estremisti e indebolire la società civile».

Odiato da tutti

Il religioso, dunque, era odiato dal regime perché ne denunciava le efferatezze, dai fondamentalisti perché metteva in crisi, con la sua azione, il principio di un irriducibile scontro di civiltà, e dai patriarchi cristiani e cattolici della Siria e di parte del medio oriente, perché metteva a nudo la loro compromissione con le dittature.

Interessante, in proposito, quanto disse il nunzio apostolico in Siria, futuro cardinale, Mario Zenari che, a caldo, commentando il rapimento del gesuita osservò: «Quello che bisogna chiedersi è a chi serva questo rapimento».

Ma Dall’Oglio fu anche criticato, per aver invocato, mentre la situazione nel paese precipitava, il principio dell’autodifesa armata da parte di una popolazione sottoposta a gravissime violenze.

Celebre resta il suo appello, per evitare appunto un’escalation militare, a Kofi Annan, all’epoca dei fatti inviato speciale dell’Onu per la Siria, nel quale spiegava: «Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione per consentire una ripresa della vita sociale e economica... C’è inoltre bisogno di 30mila «accompagnatori» nonviolenti della società civile globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio capillare della vita democratica». 

La scomparsa

Espulso dalla Siria dal regime di Assad, nel 2013 padre dall’Oglio si era rifugiato nel Kurdistan iracheno, da lì si recò in missione a Raqqa, città siriana nella quale operava la componente democratica della rivoluzione ma dove già era entrato l’Isis che vi aveva stabilito un suo quartier generale; poco più tardi Raqqa sarebbe diventata capitale dell’Isis siriano.

Sul perché di un viaggio tanto pericoloso, sono state avanzate diverse teorie, la maggior parte delle quali descrive il gesuita impegnato nel tentativo di far liberare diversi ostaggi in mano ai fondamentalisti. Ma più di recente, è riemersa dal passato un’altra versione.

Grazie al lavoro di ricerca condotto dal giornalista Riccardo Cristiano e contenuto nel volume Una mano da sola non applaude. La storia di Paolo Dall’Oglio letta nell’oggi (edito da Ancora), è venuta alla luce una seconda ipotesi, ovvero che padre Dall’Oglio fosse latore di un messaggio dei curdi per l’Isis al fine di scongiurare l’allargamento del conflitto.

Osserva Riccardo Cristiano che «Muhammad al-Haj Saleh, cioè il membro della famiglia di fiducia di padre Paolo, quella che lo ospitava a Raqqa», per altro parente di uno dei sequestrati di cui Dall’Oglio avrebbe voluto chiedere la liberazione, ha scritto prima in un post pubblico su Facebook, poi ha confermato a lui stesso, che il gesuita portava con sé un messaggio della leadership del Kurdistan iracheno per i vertici dell’Isis.

L’ipotesi, rileva il giornalista, non è del tutto nuova. Infatti «un dissidente siriano rifugiato in Germania, Fawaz Tello, lo aveva detto subito e con certezza, ma minore precisione, al New York Times».

D’altro canto, spiega Cristiano, «la leadership del Kurdistan iracheno non poteva che guardare con la più profonda preoccupazione a quanto stava per accadere. L’Isis a quel tempo non aveva preso il controllo né di Raqqa né di Mosul, dove i cristiani vivevano ancora, come nell’attigua piana di Ninive, come pure gli yazidi, curdi di religione pre-islamica. Ma ogni leader avveduto sapeva che tutto questo era appeso a un filo ormai prossimo a spezzarsi».

Come in effetti accadde, lasciando milioni di siriani e non solo nell’incubo di una guerra senza fine.

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