L’esercito israeliano ha proseguito giovedì la sua offensiva nel sud del paese, attaccando l’ospedale Nasser a Khan Younis. Secondo le forze armate israeliane (Idf), l’attacco è stato «preciso e limitato» e motivato dalla certezza che l’ospedale fosse usato come rifugio da miliziani di Hamas e luogo di prigionia per alcuni ostaggi.

Il bombardamento dell’ospedale è iniziato giovedì mattina, malgrado al personale e ai pazienti fosse stato detto di poter rimanere, ha fatto sapere l’organizzazione Msf, che ha dei propri medici che lavorano all’ospedale, l’ultimo funzionante di Gaza. Lo staff di Msf ha descritto una situazione di caos, con un numero indeterminato di morti e feriti.

Un loro collega risultava disperso, giovedì sera, mentre un altro è stato arrestato a un checkpoint dell’Idf durante i controlli alla gente che scappava dall’ospedale verso sud. Queste si sono aggiunte alle migliaia di sfollati che avevano trovato rifugio all’ospedale e a cui era stato ordinato di andarsene in vista dell’attacco.

Circa 2.000 persone si sono dirette verso Rafah, al confine con l’Egitto, che ospita ormai più di un milione di sfollati. Nel frattempo, si moltiplicano gli appelli internazionali al governo israeliano affinché non attacchi la città più a sud di Gaza, temendo una carneficina visto che la metà della popolazione di Gaza si è rifugiata lì e l’Egitto non è disposto a farli entrare nel proprio paese.

Altre sanzioni

Martedì la Francia ha annunciato sanzioni contro 28 coloni ebrei, accusandoli di attacchi violenti contro i palestinesi in Cisgiordania e proibendo loro l’ingresso.

«La colonizzazione è illegale secondo il diritto internazionale e deve fermarsi. La sua continuazione è incompatibile con la creazione di uno Stato palestinese, che è la sola soluzione affinché gli israeliani e i palestinesi posso vivere, gli uni a fianco agli altri, in pace e sicurezza», ha detto il ministero degli Esteri francese.

Sanzioni simili erano già state introdotte da Stati Uniti e Gran Bretagna. Anche l’Unione europea e il Canada stanno vagliando la possibilità di sanzioni ai coloni, facendo notare a Israele che è responsabilità del governo impedire che crimini di questo tipo accadano.

Da quando è scoppiata la guerra, gli attacchi ai palestinesi in Cisgiordania si sono moltiplicati, in una spirale di violenza che preoccupa anche parte dell’opinione pubblica israeliana. «È un bene che la comunità internazionale abbia deciso di delineare un limite preciso tra il legittimo Stato di Israele e le iniziative illegali dei coloni, che stanno erodendo la legittimità di Israele», ha scritto il quotidiano israeliano Haaretz in un editoriale non firmato di questa settimana.

«La mancanza di distinzione tra Israele come stato sovrano e i Territori occupati serve a coloro che sognano di annettere la Cisgiordania e imporre l’apartheid».

Dal 7 ottobre, ci sono stati 430 attacchi, anche con armi da fuoco, da parte dei coloni nei confronti dei palestinesi, che hanno causato morti in 41 di questi casi e danni alle loro proprietà in un terzo dei casi, secondo l’ultimo aggiornamento fornito dall’agenzia delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari Ocha.

In circa metà di tutti gli scontri registrati dall’inizio della guerra, i militari israeliani hanno accompagnato o appoggiato gli assalitori, secondo Ocha. I morti palestinesi nei Territori sono 344 dal 7 ottobre, inclusi 88 minori. Di questi 335 sono stati uccisi in scontri con le forze armate israeliane o raid dell’esercito, 8 dai coloni e uno o dai coloni o dalle forze armate, secondo l’agenzia Onu.

La violenza dei coloni insieme alla distruzione di case di palestinesi in raid dell’esercito ha costretto centinaia di palestinesi a fuggire dai luoghi in cui vivevano. Parallelamente, la creazione di insediamenti nei territori considerati illegali sia dal diritto internazionale che israeliano è aumentata, testimoniano dati raccolti da varie Ong israeliane che seguono il fenomeno e gli si oppongono da anni.

La politica del governo

Secondo Peace Now, l’anno scorso sono sorti 26 nuovi insediamenti definiti illegali secondo la legge israeliana (outpost) di cui almeno 10 dall’inizio della guerra, un record negli ultimi trent’anni. È stata promossa la costruzione di più di 12.000 unità abitative in quelle zone, anche questo un record, dice l’Ong, che fa notare che i picchi di questo fenomeno sono stati registrati durante la seconda intifada, dal 2000 al 2005.

Ciò testimonierebbe, continua l’Ong, l’intento dei coloni di sfruttare i periodi di conflitto, in cui gli apparati di sicurezza israeliani sono concentrati altrove.

«E’ molto chiaro, ci si sta avvantaggiando del fatto che l’attenzione internazionale è su Gaza per espandere gli insediamenti e costruire sempre di più», spiega a Domani Mauricio Lapchik, portavoce di Peace Now.

Secondo B’Tselem, un’altra Ong israeliana impegnata contro gli insediamenti dei coloni, circa 1.345 palestinesi sarebbero stati costretti a lasciare le proprie case l’anno scorso a causa degli attacchi dei coloni, che hanno così sradicato 21 comunità palestinesi dalle proprie terre, di cui 16 dall’inizio della guerra.

Di fronte alle critiche e allo sdegno della comunità internazionale, il governo israeliano non sembra reagire come richiesto dai suoi alleati per arginare il fenomeno.

La quantità ormai enorme di insediamenti, molti dei quali autorizzati o legalizzati in passato, ha ridotto la Cisgiordania a un groviera, dove le comunità palestinesi sono sempre più accerchiate. Questo è diventato negli anni uno degli ostacoli principali alla creazione di uno stato palestinese.

D’altro canto, il governo di Netanyahu, che ha sempre osteggiato la soluzione dei due Stati e tutt’ora la considera impraticabile malgrado gli appelli degli Stati Uniti, ha promesso di espandere gli insediamenti sin dal suo giuramento nel dicembre 2022, contando tra le proprie file due ministri chiave, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, entrambi coloni.

© Riproduzione riservata