«Nikki Haley è la migliore alternativa a Trump» è il titolo dell’ultimo commento di David Brooks, opinionista conservatore e anti trumpiano del New York Times, e viene il sospetto che si tratti di un articolo satirico. Non tanto perché l’ex ambasciatrice e governatrice della South Carolina non ha alcuna possibilità di competere per la nomination repubblicana (non ne ha), quanto perché l’idea stessa che ci sia qualcosa di alternativo a Trump è fuori dal perimetro della realtà. È un fatto alternativo, secondo la terminologia trumpiana.

L’ex presidente occupa interamente lo spazio politico, elettorale e psicologico della destra americana. Quando non c’è, incombe. Bret Baier, l’anchorman di Fox News che ha moderato il dibattito fra i candidati repubblicani, lo ha definito «l’elefante non nella stanza», e quando ha pronunciato il suo nome ha spezzato un incantesimo durato 57 minuti. Per 57 minuti i suoi otto principali competitor non hanno parlato di lui, salvo poi rendersi conto della verità: dibattere con Trump è inutile, ma dibattere senza Trump non ha senso.

E anche prima di essere citato Trump era implicitamente presente, nel senso che il suo stile ha ormai determinato tutta la comunicazione politica, e non è difficile trovare nell’eccitazione aggressiva di un parvenu come il 38enne Vivek Ramswamy la prova – una delle tante – che il processo di trumpizzazione va avanti senza intoppi.

È anche in questo senso che Brooks ha individuato Haley come portatrice di contenuti e soprattutto modi diversi. Mite, razionale, competente e con ampia dotazione di buon senso, si è distinta come la più distante dall’ex presidente, e alla fine i risultati elettorali diranno perché.

Gli spettatori, che poi sono anche elettori, consumano di conseguenza. Il dibattito su Fox è stato visto da 12,8 milioni di americani, poco più della metà dei 24 milioni che avevano seguito il primo dibattito 8 anni fa, la prima apparizione ufficiale di Trump fra i contendenti. I numeri televisivi si sgretolano se messi al confronto con le 190 milioni di visualizzazioni raggiunte dal dibattito alternativo di Trump trasmesso sulla piattaforma X, un tempo nota come Twitter.

Con Tucker Carlson, l’uomo che ha archiviato Fox News come locus dell’ortodossia repubblicana, Trump ha affrontato alcuni dei temi che accendono davvero il suo elettorato: la guerra civile americana che forse verrà, la morte sospetta di Jeffrey Epstein in carcere, le sue preoccupazioni di essere eventualmente ucciso.

Trump ha poi continuato su X il suo capolavoro comunicativo, ritornando sulla piattaforma di Elon Musk dopo due anni di esilio, dal tempo dell’assalto a Capitol Hill. Il proprietario, un «assolutista della libertà di parola», ha riattivato il suo account già nel novembre scorso, ma è rimasto inattivo fino a quando non si è presentata l’occasione irripetibile.

La foto segnaletica scattata nel tribunale della Georgia – dove ha subito la quarta e la più complicata delle imputazioni a suo carico – è diventato un indimenticabile poster elettorale rilanciato su X con la scritta “never surrender!”, non arrendersi mai, un tocco di ironia che manda in sollucchero gli 86,5 milioni di follower dell’account da tempo dormiente.

In era pre-Musk Trump si era trasferito su Truth, piattaforma brutta e inservibile ma con il vantaggio dell’indipendenza, e si diceva che relegato in quella periferia digitale non avrebbe più avuto la capacità di dominare davvero il dibattito. Il suo brand personale e la sua capacità di far salivare il suo popolo sovreccitato ha prevalso.

Per accordi presi con l’azienda dovrà comunque postare i contenuti prima su Truth e solo dopo sei ore potrà metterli su X, ma il suo ritorno sulla piattaforma segna l’inizio della campagna per le primarie repubblicane molto più di un dibattito televisivo in cui ci si batte per il secondo posto.

Rimane da valutare l’effetto dei processi sul consenso. «Ogni volta che mi danno un avviso di garanzia cresco nei sondaggi», ha detto di recente in una cena con i suoi collaboratori.

Un recente sondaggio di Politico/Ipsos mostra che forse la relazione fra popolarità e procedimenti giudiziari non è così chiara, ma resta il fatto che Trump è l’ossessione che occupa ogni centimetro dell’immaginario elettorale americano nella fase in cui la destra dovrebbe tirare fuori un’alternativa. Ma tutte le alternative esistono in funzione di lui, l’elefante non nella stanza che con il suo Kubrick stare è tornato anche su X.

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