Martedì 10 maggio Xi Jinping ha partecipato a una cerimonia per i cento anni della Lega della gioventù comunista, organizzazione nella quale sono inquadrati i giovani cinesi tra i 14 e i 28 anni vicini al partito comunista. Per l’occasione la Lega ha reso noto di avere 73,7 milioni di iscritti, che vanno ad “aggiungersi” ai 95 milioni di membri del Pcc.

Questo video contiene un approfondimento su storia e funzione della Lega.

Durante la celebrazione il presidente cinese ha illustrato la sua visione per quella che in passato era stata la base di un’importante fazione del Pcc, trampolino di lancio – tra gli altri – per l’ascesa politica del premier Li Keqiang e dell’ex presidente Hu Jintao.

Xi ha dichiarato che la lega giovanile dovrebbe prendere «la temperatura» dei giovani cinesi e «informare il partito» oltre a «trasferire ai giovani il calore del partito».

Coerentemente con il processo di continuo accentramento del potere al vertice del partito avviato da Xi, la Lega deve assolvere un compito fondamentale: fungere da catena di trasmissione dell’ideologia e delle direttive del Pcc tra la gioventù cinese. Si tratta di un effettivo “demansionamento” per un organismo – formalmente separato dal Pcc – che in passato aveva avuto un suo protagonismo politico. Xi ha invitato i giovani della lega ad «avere il coraggio di lottare per superare le avversità» e ha espresso le sue aspettative per la Lega della gioventù nella “Nuova èra”, sostenendo che dovrebbe sempre fungere da scuola politica che guidi il progresso ideologico dei giovani cinesi.

Il rafforzamento e la compattezza ideologica delle “organizzazioni di massa” (giovani, donne, sindacati) è considerato di fondamentale importanza dalla leadership cinese in una fase di accentuate difficoltà interne – legate soprattutto al rallentamento dell’economia – e di confronto sempre più aspro con l’occidente. Per questo Xi Jinping ha puntato, tra i giovani come nel complesso della popolazione cinese, sulla diffusione di un pot pourri ideologico, un miscuglio di marxismo, confucianesimo e nazionalismo che dovrebbe fungere da argine contro la diffusione delle idee liberali.

Una battaglia che Xi ha impostato dall’inizio, dieci anni fa, del suo primo mandato e che ha avuto un importantissimo banco di prova nel contrasto alla pandemia di SARS-CoV-2, che la Cina ha affrontato in maniera diversa dall’occidente e che è entrata nella narrazione ufficiale come prova dell’efficienza e della “superiorità” del sistema cinese contrapposta a quello occidentale, una narrazione finora solo scalfita dalla disastrosa gestione dell’epidemia da parte delle autorità di Shanghai.

«La strategia “contagi zero” ha fatto oltre 2.500 miliardi di dollari di danni»

L’ultima ondata di coronavirus avrà un impatto sull’economia cinese dieci volte superiore a quello causato dalla prima diffusione del Covid-19 a Wuhan e nella provincia dello Hubei. A sostenerlo è Xu Jianguo, professore associato di economia presso l’Università di Pechino (Beida). Secondo i dati elaborati da Xu, le chiusure e le limitazioni agli spostamenti di persone e merci quest’anno hanno già colpito 160 milioni di cinesi e sono costate 18mila miliardi di yuan (2.680 miliardi di dollari). Alla denuncia di Xu si è aggiunta, il 10 maggio, quella del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha definito «insostenibile, considerando il comportamento del virus» la strategia “contagi zero” della Cina, per i suoi effetti sia sui diritti umani che sull’economia.

  • Perché è importante

Nel corso di un webinar al quale ha preso parte sabato 7 maggio, Xu ha aggiunto che è molto improbabile che nel 2022 la Cina raggiunga l’obiettivo di crescita prefissato «intorno al 5,5 per cento», ma anche il 2,3 per cento del 2020. Xu vede nero perché, a differenza del 2020, quando ad essere colpita duramente era stata solo la capitale dell’auto Wuhan, quest’anno le restrizioni draconiane difese a oltranza da Xi Jinping hanno riguardato diversi poli produttivi come Shanghai, Suzhou, Shenzhen, Dongguan e non sono stati risparmiati né i servizi né la manifattura, né la logistica. Lo stesso 7 maggio, durante una teleconferenza con i leader provinciali, il premier Li Keqiang ha affermato che le condizioni del mercato del lavoro sono “complicate e cupe” e ha invitato le autorità locali a intensificare gli sforzi per «garantire il raggiungimento dell’obiettivo di occupazione del 2022» ovvero la creazione di almeno 11 milioni nuovi posti di lavoro nell’anno in cui (l’autunno prossimo) si celebrerà il XX congresso nazionale del Partito comunista cinese.

  • Il contesto

Le esportazioni e il settore immobiliare – che due anni fa avevano trainato una rapida ripresa – sono in forte affanno: l’export a causa dei lockdown e della diminuzione della domanda globale, mentre l’esplosione nel 2021 della crisi del colosso Evergrande ha provocato un brusco rallentamento del mercato degli immobili. Xu ha molti dubbi che misure fiscali o monetarie possano rinvigorire l’economia, perché, ha affermato, «il motivo principale del raffreddamento dell’economia in questo momento non risiede nel credito alle famiglie o in problemi monetari, ma nella prevenzione e nel controllo del Covid».

YUAN, di Lorenzo Riccardi

Così cambiano i trend nel commercio internazionale della Cina

Le autorità doganali cinesi hanno rilasciato il 9 maggio gli ultimi dati relativi all’interscambio commerciale della Cina nei primi quattro mesi del 2022. Questi dati riflettono l’impatto delle misure di lockdown implementate a Shanghai e in molte città del paese per contenere la diffusione della variante Omicron. Ad aprile, il totale dell’interscambio tra la Cina e il resto del mondo è stato pari a 494 miliardi di dollari, in contrazione dell’1,7 per cento rispetto a marzo 2022, e in aumento del 2,1 per cento rispetto all’aprile del 2021. Su base cumulata, il volume totale del commercio è stato pari a 1.976 miliardi di dollari, con un incremento del 10 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il blocco della mobilità interna e le misure di contenimento hanno rallentato la crescita del commercio cinese, tuttavia, la Cina è riuscita a limitarne gli effetti mantenendo aperti i principali hub logistici e il porto di Shanghai, anche a fronte delle difficoltà operative.

Le esportazioni hanno raggiunto 1.094 miliardi di dollari, con una crescita del 12,5 per cento rispetto al 2021.

Il blocco dei paesi del sud est asiatico rappresenta il principale partner della Cina con 289 miliardi di dollari di scambi, pari a quasi il 15 per cento del commercio estero cinese. I rapporti bilaterali tra Cina e i singoli membri dell’Asean variano nei trend; il commercio con il Vietnam si è ridotto del 5 per cento, mentre l’interscambio con Indonesia e Malesia ha raggiunto livelli record, con incrementi del 28 e 20 per cento.

L’Unione europea e Stati Uniti, che rappresentano il secondo e il terzo partner commerciale di Pechino, costituiscono il principale mercato per le esportazioni cinesi. I flussi tra Cina e Italia, pari a 26 miliardi di dollari nei primi quattro mesi del 2022, sono cresciuti del 16 per cento, grazie all’incremento delle esportazioni cinesi.

L’interscambio tra Cina e Russia ha registrato un balzo del 26 per cento, con le importazioni cinesi dalla Russia in crescita del 38 per cento.

Numerosi gruppi industriali con impianti produttivi nelle aree coinvolte hanno subìto un blocco alle proprie attività riuscendo a riprendere verso la fine di aprile in base ai princìpi del cosiddetto close-loop management dei propri dipendenti.

Colloquio Xi-Macron: viva l’autonomia strategica dell’Ue. Ma come si ferma la guerra?

Martedì 10 maggio Xi Jinping ed Emmanuel Macron si sono confrontati nel corso di un colloquio telefonico sul conflitto in Ucraina. Il presidente cinese ha sostenuto che la sicurezza degli europei «è nelle loro mani». Xi e Macron hanno concordato sull’urgenza di raggiungere un cessate il fuoco e – secondo il resoconto francese della conversazione tra i due leader – si sono espressi entrambi in favore del «rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina». Tuttavia dal confronto tra Xi e Macron non è emerso come raggiungere l’agognata tregua, mentre Pechino continua a non condannare l’invasione russa dell’Ucraina.

  • Perché è importante

La leadership cinese ha insistito ancora una volta (dopo il vertice Cina-Ue del 1° aprile, quando Xi aveva invitato l’Ue a impostare una politica estera autonoma da quella Usa) sul concetto di “autonomia strategica” di cui in Europa è fautore Macron, che dovrebbe portare Bruxelles a definire in maniera chiara i suoi interessi e a perseguirli in maniera autonoma. Da tempo i cinesi lanciano l’allarme per un ritorno della Guerra fredda: «Dobbiamo essere particolarmente vigili contro uno scontro tra blocchi», ha detto Xi a Macron , «che rappresenterebbe una minaccia più grande e più duratura per la sicurezza e la stabilità globali».

  • Il contesto

L’alto funzionario di Pechino per l’Europa, Wang Lutong, ha twittato lo scorso fine settimana: «Con il conflitto in Ucraina che si sta verificando sul suolo europeo, l'Europa è la prima e la più ferita. Gli Stati Uniti, tuttavia, stanno guadagnando miliardi con il commercio di armi e le vendite di petrolio e gas alle stelle e vedono il capitale finanziario inondare di nuovo in America». Eppure, nonostante Pechino provi da anni a “separare” l’Ue dagli Stati Uniti, il conflitto in Ucraina, almeno nell’immediato, sta rinsaldando la storica alleanza politica e militare tra Washington e il Vecchio continente.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

© Riproduzione riservata