Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


È pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che il vincolo associativo massonico, per la sua stessa portata, si pone in evidente contrasto con i principi costituzionali di indipendenza del potere giudiziario e dei singoli magistrati, di soggezione dei giudici soltanto alla legge, di terzietà del giudice nell'esercizio della funzione giudiziaria [...]. Del resto, come sottolineato dalla stessa Corte costituzionale, “i magistrati, per dettato costituzionale (..), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito”.

Nessuna norma, però, per oltre 60 anni dall’entrata in vigore della Costituzione aveva mai previsto, per i magistrati ordinari, il divieto di iscriversi ad associazioni segrete o, comunque, particolarmente vincolanti. L'art. 18 del R.D.Lgs. n. 511 del 1946 (Guarentigie della magistratura), invero, si era limitato a sancire la responsabilità disciplinare del magistrato che “manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario” utilizzando, dunque, una formula abbastanza generica.

Solo nel 1990, il Consiglio superiore della magistratura, con la risoluzione del 22 marzo, provò ad esprimersi sull'iscrizione e/o appartenenza dei magistrati alla massoneria e/o ad associazioni “vincolanti”, evidenziando l'incompatibilità della doppia appartenenza. Così, a partire dal 1993 il CSM, alla luce di quella risoluzione, iniziò ad applicare sanzioni disciplinari ai magistrati iscritti a logge massoniche mentre, a sua volta, la Suprema Corte confermò la rilevanza disciplinare sottolineando che l’iscrizione di un magistrato alla massoneria, anche non segreta, si traduce nella menomazione dell'immagine di organo assolutamente indipendente ed imparziale e nella conseguente perdita di prestigio del magistrato e dell'ordine giudiziario: non può, infatti, il magistrato condividere il suo impegno civile con l'adesione ad un sodalizio che indebolisce il giuramento di fedeltà allo Stato e che, essendo articolato in gradi, è indicativo di una dipendenza degli affiliati verso coloro ai quali l'associazione riconosce un livello di autorità e prestigio superiore.

Tuttavia, proprio per l’assenza di un percorso normativo chiaro, la Corte europea dei diritti dell'uomo, sia con la sentenza “NF c. Italia” del 2 agosto 2001 che con quella successiva “Maestri c. Italia” del 17 febbraio 2004, aventi ad oggetto l’applicazione di sanzione disciplinare a magistrati iscritti alla massoneria, affermò che l’Italia aveva agito in violazione della convenzione EDU. Infatti, l’ingerenza dello Stato nella vita privata altrui, e dunque nel libero diritto di associarsi, è ammissibile ma solo a) se essa sia prevista per legge e sia, comunque, prevedibile, b) se persegua finalità legittime, c) se è contenuta nei limiti delle misure strettamente necessarie ad assicurare la realizzazione delle predette superiori finalità. Nel caso di specie, invece, mancava il primo requisito della prevedibilità: l’art. 18 del R.D.Lgs. n. 511 del 1946 da un lato, e la direttiva del CSM del 1990, dall’altro, non contenevano termini sufficientemente chiari in ordine alla possibile rilevanza disciplinare dell'adesione ad una loggia massonica diversa dalla P2. Si tratta di decisioni che, evidentemente, affermano tutt’altro rispetto a quanto sostenuto dalle obbedienze.

Solo più tardi, con la riforma dell'ordinamento giudiziario, il d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109, all’art. 3 ha espressamente qualificato come illecito disciplinare la partecipazione del magistrato “ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie”.

La questione, però, è lungi dall’essere stata risolta. Infatti, la locuzione “associazioni segrete” rimane ancorata alla definizione di cui all’art. 1 della legge 17/1982 con la conseguente inutilità della previsione disciplinare per il caso del magistrato che faccia parte di associazioni segrete in senso sostanziale, e dunque vietate dalla Costituzione. A sua volta, la locuzione “vincoli oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie” appare non di facile interpretazione non essendo esplicitato in base a quali criteri oggettivi essi si individuano. Ed ancora, non sono previsti strumenti di natura generale che, da un lato, obblighino alla verifica e, dall’altro, che consentano la effettiva verificabilità dell’appartenenza di un magistrato ad una loggia massonica specie se, questa, si atteggi come segreta.

Nessuna disposizione di legge è stata invece introdotta per la magistratura onoraria (sebbene sempre più numerosa nell’ordinaria amministrazione della giustizia) alla quale, pertanto, il CSM ha cercato di estendere il principio di incompatibilità tra esercizio delle funzioni giudiziarie e affiliazione massonica.

Anche per i giudici amministrativi e contabili, ai quali non si applica il d.lgs. del 2006 n. 109 previsto solo per la magistratura ordinaria, non esiste una previsione di legge che impedisca loro l’adesione ad associazioni segrete o “vincolanti”.

Può solo segnalarsi che, per i magistrati amministrativi, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha adottato la delibera del 13 gennaio 1994 che in termini di assoluta chiarezza ha vietato la doppia appartenenza e che lo stesso è accaduto attraverso i codici di condotta dei magistrati amministrativi.

Per i magistrati della Corte dei conti, invece, non risultano nemmeno deliberazioni dell'organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza, ma solo il codice deontologico adottato dai magistrati il 23 gennaio 2006 in cui si prevede, all'art. 7, che “il magistrato non aderisce ad associazioni che richiedono la prestazione di promesse di fedeltà o che non assicurano la piena trasparenza sulla partecipazione degli associati”.

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