Come cambiano velocemente le cose. “Credo fortemente che Facebook non debba essere l’arbitro della verità di tutto quello che la gente dice online”, dichiarava solo pochi mesi fa Mark Zuckerberg a Fox News. Oggi Twitter ha bandito temporaneamente Trump dai propri feed, e Instagram e Facebook lo hanno escluso a tempo indeterminato, per timore che i suoi post contribuissero a far dilagare ancora più la violenza nelle strade, dopo l’assalto al Congresso.

«Riteniamo che i rischi di permettere al presidente di continuare ad utilizzare il nostro servizio durante questo periodo siano troppo grandi. Pertanto, stiamo estendendo il blocco che abbiamo messo sul suo account Facebook e Instagram a tempo indeterminato e per almeno le prossime due settimane, fino al completamento della transizione pacifica del potere», ha dichiarato Zuckerberg in una nota.

All’epoca dell’intervista a Fox News, Twitter aveva appena compiuto un passo senza precedenti. A un paio di tweet in cui il presidente Trump ventilava il rischio di frodi elettorali per i voti inviati per posta, il network di Jack Dorsey aveva apposto un’etichetta che invitava ad approfondire e verificare l’argomento.

Dire che Trump non la prese bene, è un eufemismo: gridando alla censura, come suo solito, minacciò di regolamentare o addirittura chiudere i social. Vuoi per calcolo, vuoi per sincera convinzione di non poter avere voce in capitolo sulle opinioni di più di 2 miliardi e mezzo di utenti, Zuckerberg fu lesto a smarcarsi da Twitter, ma ormai lo scontro fra presidente e i social network era conclamato.

Da tempo giornalisti e studiosi dei media pongono l’accento sui pericoli della disintermediazione all’interno del processo democratico. Cosa succede una volta che un politico può rivolgersi a milioni di persone senza nessuno che funga da filtro, facendo domande scomode e mettendone in discussione le affermazioni? Che si tratti di Obama (criticato quando era in carica per alcune conferenze via YouTube) o di Trump, il dilemma in questo caso non cambia.

Ma da uomo di spettacolo (è diventato noto al grande pubblico come star del programma l’Apprentice) ha Trump saputo cogliere come nessun altro le potenzialità di questi strumenti e portarle alle estreme conseguenze. Per dividere, più che unire, facendo sentire i propri seguaci come parte di una comunità distinta dal resto della popolazione.

UNA SCELTA DIFFICILE

I tweet mezzi urlati, con diverse parole in maiuscolo; i licenziamenti via social ai collaboratori non abbastanza ‘fedeli’ e gli attacchi diretti a singoli giornalisti, le affermazioni prive di qualsiasi riscontro (come quella sulle elezioni rubate) ripetute più volte come verità. Il presidente Usa ha inaugurato uno stile senza precedenti recenti, in democrazia, mettendo le piattaforme di fronte a un’alternativa diabolica - bloccarlo, rischiando così di dare ragione a quelli che gridano alla censura, o accettare di essere adoperate come megafono per seminare discordia e disinformazione?

In più, come sostenuto da molti commentatori, e dalle linee guida degli stessi social network, la natura di ‘figura pubblica’ di Trump, lo proteggeva, dandogli uno status superiore a quello dei normali utenti. La gente aveva diritto di sentire la sua voce, anche se questo significava consentirgli di passare il limite.

La situazione è stata ulteriormente complicata dal fatto, che, dopo essere state a lungo lodate (a volte acriticamente) come alfieri di progresso, i principali social network negli ultimi anni hanno dovuto far fronte a parecchie critiche legate al loro potere e al loro impatto sulla società.

Lo scandalo Cambridge Analytica, i dati personali di milioni di utenti raccolti su Facebook senza il loro consenso e usati per propaganda politica, ha danneggiato pesantemente l’immagine del network di Mark Zuckerberg, assieme ad altre controversie, come il ruolo del social nell’incitamento al genocidio della minoranza Rohingya in Myanmar. L’algoritmo in base al quale YouTube raccomanda i video, è stato accusato di contribuire alla radicalizzazione di alcune frange di utenti.

L’opacità e la mancanza di chiarezza di motivazioni con cui talvolta i contenuti vengono rimossi sui network, assieme alla difficoltà di fare appello, hanno dato origine a frequenti critiche.

IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÀ

Questi e altri fattori hanno fatto sì che fosse più difficile per i social schierarsi apertamente contro gli eccessi del presidente, mentre quest’ultimo apriva un altro fronte di attacco: la messa in discussione della sezione 230 del Communications Decency Act, quella, in sostanza, che esonera le piattaforme da ogni responsabilità per i contenuti diffusi attraverso i loro canali.

Non solo Trump, ma anche Biden e altre persone influenti della società civile, si siano schierati di recente per una revisione della legge. Ma se perdessero quello scudo, per i social sarebbero dolori; malgrado i progressi dei sistemi intelligenza artificiale, come essere assolutamente certi, ad esempio, che fra i milioni di video visualizzati ogni giorno su YouTube non vi siano anche filmati da cui possano scaturire grane legali? Il paradosso è che, se la legge fosse stata modificata, sarebbero stati probabilmente guai anche per Trump: per evitare problemi Facebook e soci avrebbero dovuto intervenire più incisivamente sui suoi post, abbandonando i guanti di velluto.

Con Biden, probabilmente ci saranno meno problemi ma lo scontro, a colpi di audizioni di amministratori delegati al Congresso, fra le grandi multinazionali tecnologiche e la politica, che cerca di limitarne il potere, è in atto negli Usa ormai da qualche tempo e la lotta fra Trump e alcuni social, pur avendo caratteristiche eccezionali, si è inserita all’interno di un quadro più ampio. Bisognerà, nel prossimo futuro, chiarire quali siano i confini della libertà di espressione, specie per quel che riguarda i personaggi pubblici. Possono i social fare da filtro? E se loro non possono, chi lo può fare?

Di fronte a una situazione drammatica come quella di ieri, però, non c’era più spazio per timori e tentennamenti. Le piattaforme hanno dovuto prendere posizione.

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