New Horizons è la sonda della Nasa, lanciata nel 2006, che aveva l’obiettivo di sorvolare Plutone, il pianeta nano che non era mai stato raggiunto da altra nave spaziale lanciata dall’uomo. Vi arrivò nel 2015 e, nonostante non sia entrata in orbita, ma abbia solo sorvolato il pianetino, rivelò inaspettati dettagli che ancora oggi sono oggetto di studio dei planetologi.

Dopo quell’appuntamento e dopo il sorvolo, nel 2019, di un altro piccolo oggetto posto agli estremi del sistema solare, chiamato Arrokoth, la sonda è stata posta in una sorta di letargo, mentre avrebbe viaggiato verso i confini del sistema solare per poi superarli. Attualmente si trova a circa 55 unità astronomiche (au) dal Sole, ciò significa 55 volte la distanza tra la Terra e il Sole e a circa 65 au dal confine del sistema solare. La velocità le permette di coprire circa tre au all’anno, qualcosa come 450 milioni di chilometri. 

Il risveglio

Walter Myers/Stocktrek Images

Ma ora è giunto il momento che New Horizon venga risvegliata perché l’attende una serie di nuove ricerche da realizzare nel sistema solare più esterno. Spiega Alice Bowman, responsabile delle operazioni di missione di New Horizons presso il Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory: «Non c’è dubbio che per arrivare dove si trova adesso la sonda ci vuole molto tempo, ma avere una sonda in quella zona del sistema solare è una risorsa indicibile per la scienza e proprio per questo dobbiamo approfittare della sua presenza. Ci sono cose uniche che può fare trovandosi laggiù».

Ma quali sono le ricerche che la sonda potrebbe realizzare in quello spazio così profondo e lontano da ogni oggetto? «Innanzitutto», spiega Alan Stern, responsabile della missione al Southwest Research Institute in Texas, «potrà compiere osservazioni di Urano e Nettuno (i due pianeti più esterni del sistema solare), quindi potrà rilevare la “luce di fondo” dell’universo, potrà studiare la polvere cosmica e molto altro».

A onor di cronaca va detto che per New Horizon il lavoro è già iniziato, quasi a sua insaputa, in quanto da Terra si stanno verificando le funzionalità degli strumenti di bordo, mentre tra poche settimane verrà risvegliata al cento per cento e inizierà il programma di lavoro previsto. La sonda viaggia con la maggior parte degli strumenti di ricerca spenti per risparmiare energia e nel suo viaggio compie una rotazione su sé stessa una volta ogni 12 secondi e ovviamente non consuma nulla del carburante a bordo.

La sonda è dotata di un generatore di energia nucleare che rispetto all’inizio del suo lavoro, quando produceva energia per 240 watt, ora produce circa 200 watt. A bordo della sonda sono rimasti circa 11 chilogrammi di idrazina, rispetto ai 78 chilogrammi che erano a bordo al momento del lancio, la quale serve per accendere i motori per eventuali correzioni di rotta. Dice Stern: «Siamo ad un ottavo di serbatoio e questo ci obbliga ad essere molto prudenti nello scegliere le attività da svolgere».

Urano e Nettuno

La data fissata per uscire dal letargo è il primo marzo. Allora New Horizon accenderà i suoi sistemi per iniziare la nuova fase della sua storia. Un mese dopo dall’accensione la sonda riprenderà immagini di Urano e nell’autunno del 2023 di nuovo Urano e Nettuno. Nella primavera del 2024 sarà ancora la volta di Urano. Saranno immagini di grande valore perché darà modo ai planetologi di seguire il movimento delle nuvole durante la rotazione dei pianeti e ciò permetterà di comprendere meglio il bilancio energetico quando il Sole li illumina, in particolare quando, nell’autunno 2023, New Horizons osserverà i pianeti di lato, mentre Hubble e altri telescopi da Terra osserveranno quasi simultaneamente i loro lati rivolti al nostro pianeta.

Il lavoro non sarà semplice in quanto le macchine fotografiche di New Horizon non saranno in grado di rilevare i pianeti come di solito siamo abituati a vederli, bensì solo come punti luminosi o poco più. Ma combinando la luce di quei punti con quanto rileverà il telescopio Hubble si dovrebbe arrivare alle deduzioni che desiderano gli scienziati. Questo tipo di ricerca potrà avere non solo ricadute sullo studio dei nostri pianeti esterni, ma anche sulle modalità con cui si condurranno studi sugli esopianeti, ossia i pianeti di altri sistemi solari. Tra l’altro pianeti giganti come Urano e Nettuno sono stati osservati in gran numero e risultano essere relativamente comuni.

Quindi dal confronto tra ciò che New Horizons sarà in grado di osservare di questi pianeti rispetto alle osservazioni che farà Hubble, gli astronomi potranno estrapolare dati importanti per meglio interpretare le osservazioni di esopianeti simili che vengono effettuate da Terra o da telescopi spaziali. Questo farà sì che gli scienziati affinino le loro capacità di capire che cosa si può imparare da questo tipo di osservazioni.

Nello spazio profondo

Science Photo Library

Un altro studio riguarderà lo spazio profondo, in quanto la sonda ha già messo in luce qualcosa di davvero unico, ossia che la luce visibile del profondo cielo risulta essere di circa due volte più luminosa del previsto. Da dove arriva quella luce? Sono state avanzate varie ipotesi, tra le quali la possibile esistenza di galassie relativamente vicine a noi di cui al momento non si conosce l’esistenza oppure di stelle che vagano nella nostra galassia non ancora rilevate.

Se si riuscisse a capire qualcosa di più si potrebbe puntare il telescopio Webb in una determinata direzione per approfondire la ricerca. Sottolinea Stern: «Faremo misurazioni in 16 direzioni diverse per capirne di più. Il nostro intento è quello di scoprire se la luce di fondo è diffusa uniformemente nel cielo o se si concentra in determinate direzioni».

Un altro campo di ricerca è lo spazio dove si trova attualmente la sonda. New Horizon infatti, si trova nella regione intermendia della “Fascia di Kuiper” (una specie di grande ciambella composta da un gran numero di asteroidi e comete) dove la densità degli oggetti kuperiani è molto bassa. Tuttavia la fascia è ricca di granellini di polvere che statisticamente potrebbero scontrarsi con la sonda almeno una volta all’anno. L’impulso elettromagnetico generato da tali impatti dovrebbe svelare agli scienziati quanto è grande la polvere e quanto è abbondante. New Horizons esaminerà anche una decina di altri oggetti presenti nella Fascia di Kuiper e per quanto possibile cercherà di evidenziare le forme e le dimensioni lavorando in coppia con i telescopi a Terra. Avvicinandosi all’eliopausa, ossia la regione di confine tra il sistema solare e lo spazio interstellare la sonda ci dirà anche come stanno cambiando le proprietà dell’eliosfera della nostra stella, effettuando misurazioni del plasma locale, delle particelle cariche e del flusso di idrogeno gassoso proveniente dal mezzo interstellare. E infine, se da Terra venisse individuato un asteroide tale da poter essere raggiunto con il carburante a bordo, potrebbe diventare l’obiettivo principale della ricerca di questi anni. E a tal fine il telescopio Subaru alle isole Hawaii è impegnato proprio in questo tipo di indagine.

Il vulcano da tenere sotto controllo

Mikel Bilbao /VWPICS

Utilizzando una nuova tecnica di creazione di immagini ad alta risoluzione dei vulcani sottomarini che vengono ottenute dalle onde sismiche, un gruppo di ricercatori ha rivelato la presenza di un grande corpo di magma precedentemente non conosciuto che si trova sotto il Kolumbo, un vulcano sottomarino attivo vicino a Santorini, in Grecia. L’esistenza di questa camera magmatica aumenta le possibilità di una sua futura eruzione.

Quasi quattrocento anni fa, nel 1650, Kolumbo fece breccia nella superficie del mare ed eruttò violentemente, uccidendo 70 persone a Santorini. Tale eruzione, da non confondere con la catastrofica eruzione vulcanica di Thera (Santorini) avvenuta intorno al 1600 a.C., fu innescata dalla crescita dei serbatoi di magma sotto la superficie di Kolumbo. Ora i ricercatori affermano che la roccia fusa nella camera sta raggiungendo un volume simile a quella che innescò l’ultima eruzione.

Lo studio, pubblicato su Geochemistry, Geophysics, Geosystems, è stato il primo a utilizzare il sistema di studio delle onde sismiche definito “full waveform inversion”, il quale sfrutta l’arrivo di tutte le onde sismiche create artificialmente facendo esplodere artificialmente delle sacche d’aria in mare. Spiega Kajetan Chrapkiewicz,, vulcanologo dell’Imperial College di Londra e autore dello studio: «L’inversione della forma d’onda completa è simile a un’ecografia medica. Utilizza le onde sonore per costruire un’immagine della struttura sotterranea di un vulcano».

Secondo lo studio, una velocità significativamente ridotta delle onde sismiche che viaggiano sotto il fondale marino indica la presenza di una camera magmatica in attività ed è quello che è stato scoperto sotto il Kolumbo. Secondo Chrapkiewicz, i dati esistenti per i vulcani sottomarini in quella regione del Mediterraneo erano scarsi e sfocati, ma la fitta gamma di profili sismici e l’inversione della forma d’onda completa ha permesso loro di ottenere immagini molto più nitide di prima. Si è così arrivati ad identificare una grande camera magmatica che è cresciuta a un tasso medio di circa quattro milioni di metri cubi all’anno dall’ultima eruzione di Kolumbo del 1650. Lo studio ha rilevato che il volume totale di fusione che si è accumulato nel serbatoio di magma sotto Kolumbo è di 1,4 chilometri cubi. 

Secondo Chrapkiewicz, se l’attuale tasso di crescita della camera magmatica continuasse allo stesso modo, nei prossimi 150 anni Kolumbo potrebbe raggiungere i due chilometri cubi di volume di materiale magmatico che si stima siano stati espulsi durante l’eruzione del 1650. 

Sebbene i volumi di fusione vulcanica possano essere stimati, non c’è modo di dire con certezza quando Kolumbo erutterà la prossima volta. Potrebbe eruttare anche prima di aver raggiunto la quantità di magma emessa la volta scorsa. Le caratteristiche del sistema magmatico di Kolumbo indicano un’eruzione altamente esplosiva, simile, ma di entità minore rispetto alla recente eruzione Hunga Tonga-Hunga Ha’apai in futuro. Sebbene il pericolo non sembri imminente, un’esplosione al vulcano Kolumbo potrebbe essere più disastrosa dell’eruzione tongana a causa della sua vicinanza al centro abitato di Santorini, in Grecia, situato a soli sette chilometri dal vulcano.

Kolumbo si trova in una parte relativamente poco profonda del mar Mediterraneo a circa 500 metri di profondità, il che, secondo le stime attuali, potrebbe aumentare la sua esplosività. Si prevede che quando Kolumbo erutterà si verificheranno uno tsunami e una colonna eruttiva alta decine di chilometri con grandi quantità di cenere. Questa scoperta ha spinto i vulcanologi a raccomandare l’installazione di stazioni di monitoraggio per quel vulcano e per altri vulcani sottomarini attivi, al fine di migliorare le previsioni sulle future eruzioni.

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