Il testamento di Berlusconi è stato aperto e il destino del suo impero è stato reso noto. Quello di cui si è parlato meno è il trattamento fiscale che verrà applicato a questa enorme eredità. Il patrimonio della famiglia Berlusconi è valutato circa 6,8 miliardi di euro e il Cavaliere aveva in mano il 60 per cento di Fininvest, la holding che ne detiene praticamente tutti gli asset. La morte del patriarca dovrebbe quindi portare a un trasferimento generazionale di circa 4 miliardi. Questa cifra andrebbe tassata? E se sì, in che percentuale? Si potrebbe sostenere che l’impero di Berlusconi è frutto del suo sforzo nell’arco di un’intera vita di lavoro, che il Cavaliere aveva già pagato le tasse sui propri ricavi e profitti nel corso della carriera e che, quindi, non dovrebbe vedersi negato il diritto di lasciare ai propri figli tutto quello che ha costruito anche per loro. Allo stesso tempo, però, si potrebbe contestare il fatto che i figli non hanno merito per le conquiste del padre, ma solo la fortuna di essere nati nella famiglia giusta, per cui non dovrebbe spettare loro niente. Si tratta naturalmente di due estremi opposti: la risposta va trovata nel mezzo, ma in Italia si tende troppo verso lo schieramento dei no tax. 

Un’imposta di successione non è solo un modo per lo Stato di recuperare risorse, ma anche una misura che rende più efficiente l’economia: ridurre con una tassa la dimensione netta dei lasciti ereditari evita che la ricchezza rimanga concentrata nelle mani delle famiglie per generazioni. I figli delle famiglie più ricche, trovandosi già in una condizione privilegiata, hanno meno incentivi a lavorare o a investire le proprie risorse in maniera produttiva, perché in ogni caso continueranno a sedere su cumuli d’oro. Le persone che provengono da famiglie meno abbienti, invece, potrebbero rimanere scoraggiate dall’immobilismo sociale: che senso ha impegnarsi se tanto non si raggiungeranno mai i livelli di chi ha ricchezze da generazioni? Un’imposta di successione può ridurre questi attriti, sia perché svantaggia chi ha di più, sia perché le entrate fiscali ottenute con essa possono essere utilizzate per appianare le disuguaglianze.

Nella campagna elettorale dell’anno scorso, per esempio, il Partito Democratico aveva proposto una dote di 20 mila euro ai giovani, da finanziare con un aumento marginale delle imposte di successione sui grandi patrimoni. La proposta aveva molti limiti, ma è ben esplicativa dei vantaggi di questo tipo di imposta. Anche perché gioca sull’utilità marginale degli individui: è meglio lasciare 100 mila euro di imposta non pagata a chi ha 10 milioni di euro, per cui quei 100 mila euro non hanno un valore particolarmente rilevante data la dimensione del patrimonio, oppure dare mille euro a cento persone che non hanno nulla? È una domanda morale, ma c’è anche una risposta economica. In termini di efficienza, la seconda opzione è preferibile perché, appunto, l’utilità percepita con tante piccole somme ai poveri è molto superiore rispetto a un’unica grande somma a una persona ricca. L’effetto di un’imposta di successione ha anche un impatto minore rispetto alla tassazione progressiva sul lavoro: l’Irpef troppo alta potrebbe disincentivare i lavoratori a fare gli straordinari perché tanto le tasse che dovrebbero pagare sarebbero altissime, ma difficilmente qualcuno non lavorerà per accumulare ulteriore ricchezza solo perché, una volta morto, gliene verrà portata via una parte.

Il paradiso fiscale per le eredità

Nonostante i molti vantaggi e le poche controindicazioni, però, la tassa di successione in Italia rimane un tabù, tanto che siamo il Paese Ocse con le aliquote più basse. I figli di Berlusconi, per esempio, dovranno pagare il 4 per cento dell’imponibile, il fratello Paolo il 6 per cento e la compagna Marta Fascina l’8 per cento. Per somme così elevate, gli Stati Uniti, non esattamente un modello di socialismo, applicano un’aliquota del 40 per cento.

Proprio per le aliquote così basse, l’Italia è anche ultima per entrate fiscali dall’imposta di successione. Non solo i ricchi ereditano sostanzialmente senza ostacolo, ma vengono sottratte poi risorse alle politiche sociali. Non è sempre stato così: nel 1985, le entrate dall’imposta di successione erano superiori al 2 per cento del totale del gettito fiscale, mentre oggi sono sotto lo 0,5 per cento. Politiche demagogiche in questa direzione hanno portato a un abbassamento della tassazione sulle eredità, con risultati amareggianti: di circa un miliardo che sarebbe potuto finire nelle casse dello Stato dall’eredità di Berlusconi con un’aliquota “americana”, ne rimangono probabilmente poco più di 100 milioni. A fronte di un’eredità miliardaria, lo Stato italiano e Marta Fascina riceveranno la stessa somma.

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