Gli agronomi osservano con preoccupazione i venti gelidi che si abbattono sulle vigne delle Langhe in questi giorni. Per uno dei comparti vitivinicoli più famosi del mondo c’è però un nemico ancora più subdolo del clima pazzo, torrido d’estate e inspiegabilmente esposto al gelo in primavera: lo sfruttamento dei lavoratori.

Questione antica che affonda le sue radici anche in una cultura contadina che non ha lesinato l’autosfruttamento per uscire dai tempi della “malora”: i padri e i nonni di chi oggi ha appezzamenti che valgono milioni, e non solo loro, furono operai di fabbrica dediti ai turni, spesso alla Fiat di Torino, e contadini nel “tempo libero”.
Soprattutto gli anziani da queste parti sono stati in prima persona gli sfruttatori di sé stessi.

Per lavorare queste vigne e produrre Barolo, Barbaresco e Nebbiolo sono servite le braccia dei piemontesi prima, poi i meridionali italiani, esteuropei: oggi, senza il lavoro degli africani subsahariani questo settore sarebbe spento.

I punti dell’accordo

Sulle colline che paiono ricamate, uomini dalla pelle scura si vedono ovunque: potano, lavoro delicato e molto tecnico, legano, zappano, piantano pali, vendemmiano.

Se si domanda a un viticoltore qualsiasi delle Langhe cosa pensa di questi lavoratori la risposta è più o meno sempre la stessa: «Lavorano, e senza di loro non ci sarebbe il Barolo».

Ecco perché è stato accolto come una svolta decisiva il Protocollo siglato nei giorni scorsi per la “prevenzione di sfruttamento lavorativo nel territorio di Alba, Langhe e Roero”. Un’intesa raggiunta tra prefettura, comuni, Regione Piemonte, provincia di Cuneo, associazioni datoriali, sindacati, Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani che punta a promuovere “il lavoro regolare, l’abitare dignitoso e il trasporto per lavoratori agricoli stagionali”.

Matteo Ascheri è il presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, da alcuni anni lavora sul problema, e spiega che il protocollo «nasce come passo conclusivo di un complesso percorso di crescita nato quattro anni fa. Un passo giusto e da fare, punto e basta: perché l’etica è la cosa più importante in assoluto e perché il comportamento di alcuni può creare un problema per tutta la comunità che utilizza un marchio collettivo».

L’inchiesta giudiziaria

L’importanza di questo accordo a favore dei lavoratori migranti e contro il caporalato va valutata alla luce di una notizia che ha preceduto di pochi giorni la firma del protocollo.

Solo un mese fa, infatti, si è conclusa l’indagine dei carabinieri di Cuneo e Bolzano che ha portato all’emissione di nove misure cautelari per quattro macedoni, quattro albanesi e un tunisino. Per tutti, l’accusa è quella di aver occupato alle proprie dipendenze lavoratori non regolari. I controlli si susseguono soprattutto quando vi è forte flusso di manodopera estemporanea che rischia di essere intercettata da intermediari irregolari che offrono denaro contante a migranti in stato di forte difficoltà.

Sono stati identificati quaranta lavoratori, e per trenta di loro è stato chiesto il nullaosta al rilascio del permesso di soggiorno per “grave sfruttamento lavorativo".

Questi numeri, che possono sembrare esigui se rapportati ad altri comparti agricoli italiani, o vitivinicoli, rischiano però di proiettare una luce ambigua su un ricco sistema economico esteso tra le province di Cuneo, Asti e Alessandria.

Si spiega anche così il protocollo appena siglato, che vuol favorire l’emersione dello sfruttamento lavorativo, garantendo alle vittime soluzioni formative, logistiche e lavorative.

Contro l’illegalità

«Abbiamo lavorato», spiega Ascheri, «a soluzioni concrete come la sperimentazione, con buoni risultati, di una Academy che si occupa di formazione e inserimento lavorativo, Accademia della Vigna. Ora giungiamo a questo protocollo, che è al momento fondato sull’accoglienza e sulla creazione di una logistica che permetta al lavoratore di trovare una sistemazione dignitosa. Quello che però vorremmo fare è molto più ambizioso: creare una impresa di territorio partecipata da enti e strutture pubbliche che vada ad assorbire la parte che oggi è sostanzialmente irregolare».

Sul piano dell’informazione, invece, il protocollo punta ad aumentare tra imprese e migranti una maggiore consapevolezza dello sfruttamento e delle sue ricadute, sperimentando anche soluzioni alternative per il reclutamento della manodopera e per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Nelle Langhe oggi operano circa 5.000 lavoratori di vigna, di cui la metà è assunta dalle aziende, altri mille circa sono subordinati alle cooperative di Confcooperative, che rappresenta una realtà sana e sotto controllo.

Una parte della manodopera si muove invece sul territorio e spesso si affida a soggetti che, per citare Ascheri, «operano in forme non controllate e foriere di illegalità inaccettabili».

Non a caso, quindi, il protocollo si conclude con queste parole: «Occorre uscire dalla logica emergenziale ed è necessaria una programmazione in base al fabbisogno aziendale, con monitoraggio periodico e verifica dei risultati».

L’obiettivo finale è quindi quello di creare un’impresa di territorio che garantisca legalità sia ai lavoratori che alle aziende quando la domanda di manodopera supera l’offerta. «Il primo passaggio», dice Ascheri, «è intercettare i lavoratori, toglierli dalle mani degli sfruttatori, inserirli nella società. E, alla fine, giungere comunque all’assunzione diretta da parte delle aziende».

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