- La pandemia ha mostrato tutti i problemi del sistema di welfare che non prende in considerazione quello che è successo al mercato del lavoro negli ultimi decenni.
- Ecco alcune indicazioni per più equità nelle protezioni. Naspi e Discoll dovrebbero essere unificate e avere le stesse regole e il calcolo dovrebbe tutelare maggiormente i lavoratori con basse retribuzioni.
- Il décalage dovrebbe essere attenuato a vantaggio soprattutto di chi riceve prestazioni modeste e ha maggiori difficoltà di reinserimento. Mentre serve una limitazione dei contratti atipici.
Non si presta, forse, sufficiente attenzione ai problemi che occorre affrontare per riformare gli ammortizzatori sociali malgrado i richiami alla necessità di una loro urgente revisione per fronteggiare meglio lo sblocco dei licenziamenti. Ma si tratta di una questione cruciale. Così come sono oggi disegnati, gli ammortizzatori sociali sono iniqui, scarsamente efficaci e anche piuttosto inefficienti, nonostante gli indubbi miglioramenti apportati dalla riforma del 2015. E la pandemia ce ne ha dato conferma.
Iniqui
Iniziamo dalle iniquità. La Naspi tutela i lavoratori dipendenti e la Discoll i collaboratori parasubordinati, ma nessuna tutela è prevista per i lavoratori autonomi. Unica eccezione è l’Iscro, introdotta in via sperimentale per il 2021-2023 per tutelare una limitata platea di autonomi, i professionisti “non ordinistici”, circa 290mila individui, contro ampi cali di reddito. La questione è rilevante perché, in base ai dati Eurostat, nel nostro paese i lavoratori autonomi rappresentano circa il 22 per cento della forza lavoro, a fronte del 13 per cento nell’Eurozona e circa il 9 per cento in Germania e tra di essi sono pochi gli imprenditori, cioè gli autonomi con dipendenti: circa un quarto del totale, a fronte di circa un terzo nell’Eurozona e del 46 per cento in Germania. In questo segmento vi sono, dunque, molti lavoratori fragili che spesso sono “involontariamente” autonomi e sono legati a pochi o pochissimi committenti.
Inefficienti
Il disegno della Naspi e della Discoll solleva, poi, specifiche perplessità sotto il profilo dell’equità e dell’efficienza. I due strumenti prevedono una prestazione pari al 75 per cento dell’ultima retribuzione, ma il beneficio massimo è abbastanza ridotto, l’importo decresce del tre per cento al mese dal quarto mese di erogazione, e la durata è pari alla metà delle settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti al licenziamento – un anno nel caso della Discoll –, al netto delle settimane di indennità già godute. Di conseguenza è poco o peggio tutelato chi è a maggior rischio di disoccupazione, in primis i lavoratori a termine; chi sperimenta frequenti interruzioni dell’attività e salari molto bassi; chi viene licenziato in età anziana, perché non si tiene conto delle loro limitate possibilità di ri-occupazione. Particolarmente penalizzati sono i “giovani” in cerca di prima occupazione, ignorati da questo sistema.
Non sorprende, dunque, che le misure adottate dal governo nella pandemia, pur generose e efficaci nel ridurre le disuguaglianze di reddito, abbiano lasciato senza copertura adeguata o senza copertura tout court segmenti consistenti di lavoratori.
Quattro indicazioni
È necessario e urgente intervenire per accrescere non soltanto l’equità del sistema ma anche la sua efficacia ed efficienza, in termini soprattutto di facilitazione della ri-occupazione e di scoraggiamento di comportamenti opportunistici.
Ecco alcune indicazioni. Primo: Naspi e Discoll dovrebbero essere unificate e avere le stesse regole. Secondo: le regole di calcolo dell’indennità dovrebbero tutelare maggiormente i lavoratori con basse retribuzioni. Terzo: il décalage dovrebbe essere attenuato a vantaggio soprattutto di chi riceve prestazioni modeste e ha maggiori difficoltà di reinserimento. Quarto: andrebbe introdotta una prestazione di durata minima a beneficio di chi ha storie contributive molto frammentate.
Il problema, al di là di quello del finanziamento, è anche il coordinamento con le politiche attive del lavoro, in relazione anche allo loro capacità di tenere sotto controllo possibili comportamenti opportunistici rispetto alla ri-occupazione successiva e al lavoro nero. Ancora più numerosi e complessi sono i problemi legati al disegno di un sistema di ammortizzatori sociali per i lavoratori autonomi. Anzitutto, manca un evento facilmente accertabile come il licenziamento, al verificarsi del quale si diventa eleggibili per la tutela. Come già avviene per l’Iscro, l’evento rilevante potrebbe essere la caduta del reddito al di sotto di una dato livello. Si tratta, però, di un dato facilmente manipolabile e non è sufficiente commisurare la caduta a una media dei redditi degli anni precedenti. Per l’Iscro si è scelto di limitare i rischi e i costi dell’opportunismo adottando una soglia di riferimento del reddito molto bassa che determina prestazioni assai modeste. È auspicabile fare meglio.
Ulteriori problemi sorgono perché il grado di eterogeneità – in termini di tipologie contrattuali, remunerazioni, stabilità dell’attività – all’interno del mondo del lavoro autonomo è molto elevato. Tutto ciò rende particolarmente difficile, soprattutto in assenza di misure opportunamente differenziate, soddisfare due esigenze fondamentali: assicurare l’equità e limitare l’opportunismo.
Focus sui contratti
Le difficoltà da affrontare per rendere il sistema degli ammortizzatori sociali meno iniquo e meno inefficiente sono, dunque, numerose e va abbandonata l’idea che esista una soluzione perfetta. Si tratta, piuttosto, di agire su una pluralità di tasti per combinare equità e efficienza meglio di quanto siano combinate oggi. Ciò può richiedere, nel caso del lavoro autonomo, di prevedere schemi differenziati in base alla tipologia di lavoro autonomo. E richiede, quasi certamente, interventi di carattere pre-distributivo, orientati – in particolare – a limitare la diffusione di forme contrattuali atipiche, e/o ben poco remunerate, fissando minimi salariali per le categorie non contrattualizzate, rafforzando gli spazi della contrattazione e abolendo i “contratti pirata”, ponendo un freno al part-time involontario e contrastando il fenomeno delle “false partite Iva”.
Quanto questo sia necessario lo ha reso evidente, ove ce ne fosse bisogno, la pandemia: in un mercato del lavoro con le caratteristiche strutturali ricordate diventa davvero difficile fare in modo che il sistema di protezione sociale possa assicurare a tutti i lavoratori le condizioni necessarie, e ragionevolmente uniformi, per affrontare terribili disagi come quelli che hanno caratterizzato questo periodo.
© Riproduzione riservata