Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi e quella sulla seconda guerra di mafia, si passa adesso al racconto dei Casamonica.

Rapporti con camorra e ’ndrangheta, quando serve, con tutti. Come quelli vantati da Guerino Casamonica, figlio di Giuseppe, detto Bitalo, che al telefono tratta con Domenico Strangio, dell’omonimo clan di ’ndrangheta, una partita ingente di droga. Una consegna con tanto di sconto perché i Casamonica sono affidabili. E proprio dai calabresi che la casata prende lo stupefacente per poi riversarlo sulla capitale facendo palate di soldi. E gli Strangio sono l’olimpo della ’ndrangheta.

Domenico appartiene alla cosca omonima, detta “Barbari di San Luca”, attiva nel settore del traffico di stupefacenti e armi; l’iniziatore fu Antonio Strangio. Una cosca in rapporti con altre ’ndrine come i Romeo, i Nirta. I Nirta avevano un ottimo rapporto con Luciano e Consilio Casamonica. La casata, trattata per anni come organizzazione di terz’ordine, viene rispettata dalla mafia più potente, dalla ’ndrangheta. Strangio al telefono dice: “Me la paghi a me a quarantatré… se eri un altro, lo sai, pure a quarantacinque». Se eri un altro, ma Casamonica è Casamonica, con l’affidabilità della casata, il rischio zero di pentiti e colpi di testa, soldi sempre a disposizione e controllo territoriale. Così si diventa grandi. E a Roma due Strangio, Antonio e Giuseppe, sono stati arrestati nel cuore della città a Ostiense, braccati nel 2014.

E un’altra rete di rapporti viene garantita da Massimiliano Fazzari, uomo di ’ndrangheta che vive a Roma da anni, così come il padre, in relazione con criminali che si aggiungono alla rete di contatti della casata. Il padre, Nuccio, muore nel 1993 in un misterioso incidente stradale, ma è una famiglia di rilievo, quasi inabissata, nello scacchiere criminale. Anche il cugino di Fazzari, Dominique Scarfone, detto “il Calabrese”, boss coinvolto in una inchiesta di racket e usura sui videopoker sull’asse Puglia-Emilia Romagna muore in un incendio doloso mentre era in una villa a Mesagne, in Puglia.

Un potente clan della 'Ndrangheta

Ma chi sono questi Fazzari? Originari di San Giorgio Morgeto poi si sono spostati tra Tropea e Rosarno. Partiamo proprio da Scarfone. Prima di morire si stava occupando, tra l’altro, di realizzare affari con i videopoker e scommesse anche a Malta.

Era ritenuto inserito nella famiglia di ’ndrangheta Fazzari in rapporti con la cosca Pesce-Bellocco. La madre si chiama Carmela Fazzari, sorella di elementi di spicco del clan Fazzari, tra i quali Salvatore Fazzari, classe 1937, considerato capo dell’omonima cosca e zio del pentito che inguaia i Casamonica.

Massimiliano Fazzari con il cugino Scarfone aveva messo in piedi un affare poi saltato, che ha costretto Fazzari a chiedere soldi alla casata. A contare in famiglia è soprattutto lo zio, Salvatore, detto Turi, ritenuto il capo. Il fratello di Salvatore, invece, si chiama Vincenzo, detto “Cecé”.

Cecé ha un figlio sposato con la figlia del capoclan Giuseppe Bellocco e viene indicato come soggetto impegnato nella parte finanziaria ed economica. Lo racconta al telefono: «Sono l’unico che non… ho avuto… l’associazione sì, ma mai condannato, perché mi presento con sette società attive». Niente mafia, solo affari. Racconta anche di aver soggiornato negli Stati Uniti, dove non esiste l’associazione mafiosa, a casa del figlio di Gaetano, detto Tano, Badalamenti, boss di mafia.

Ma per capire chi è Cecé bisogna ricordare i trascorsi in vecchie indagini con Francesco Pazienza, braccio destro di Licio Gelli, ex agente dei servizi segreti e condannato per il crac Ambrosiano e associazione a delinquere. Quella di Vincenzo Fazzari, detto Cecé, è una ’ndrangheta che fa affari, investe, potente e moderna, in rapporti con i Piromalli e i Mammoliti e con chi conta davvero.

Tra chi conta davvero ci sono i massoni, quel livello alto, dove la ’ndrangheta realizza il suo primato. E poi trafficanti di armi, faccendieri, uomini d’affari che fanno soldi con i titoli di Stato, intermediari operanti in Svizzera, nel Principato di Monaco.

Si muove tra la Calabria, Cantù e Roma. Cecè ha precedenti di polizia di ogni genere, associazione a delinquere, armi, estorsioni, e viene raggiunto da una misura di sorveglianza speciale a metà anni ottanta. E cosi il Tribunale di Reggio Calabria, nelle motivazioni di quel provvedimento, già individuava l’orizzonte di Cecé: «Il Fazzari è interprete intelligente di un nuovo e spregiudicato atteggiarsi dell’attività mafiosa: non più il controllo di un determinato territorio, quale assioma di attività criminose organizzate, quanto il vorticoso intreccio di rapporti con esponenti della mafia internazionale». È legato ai Bellocco, cosca che, insieme ai Pesce, a Roma ha investito e messo radici. E tra gli amici dei Fazzari spunta un nome, già noto alle cronache perché in rapporti con Massimo Carminati. Si tratta di Vincenzo Casetta, un passato in Avanguardia nazionale, ma soprattutto coinvolto in una inchiesta per droga perché dentro una banda che importava stupefacenti e in grado di sottomettere, con estorsioni e minacce, chi non si piegava alla loro volontà.

Nel 2009 viene condannato in via definitiva. Anche lui entra nel circuito di relazioni della casata, proprio Casetta che era finito anche nella vicenda che vide Massimo Carminati protagonista dell’incredibile furto nel caveau del Tribunale di Roma, avvenuto nel 1999. E' vasta la rete che apre Massimiliano Fazzari, il pentito che accusa i Casamonica e spiega con chi se la fanno i “nullafacenti”.

Gli affari in Germania

Sono tanti, i Casamonica, così come sodali e soggetti in relazione con loro. Molti sono liberi e continuano le attività. Una rete che intreccia i politici della vecchia guardia, criminalità romana e famiglie di ’ndrangheta. Ci sono altre famiglie e altri nomi protagonisti.

Bruno Crea è un personaggio centrale nella cosca Alvaro di Sinopoli, alleata con i Piromalli di cui Crea è un referente essendo cognato del boss Alvaro Natale, figlio di Giuseppe, compare Peppe, detto “’u pajeco”. Gestisce diverse attività commerciali a Milano dove vive.

Nel maggio 2018 viene arrestato per aver agevolato il clan del quale sarebbe esponente. A leggere la rete di contatti di Crea, emerge un rapporto con Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini, procacciatore quest’ultimo di donne nelle notti del bunga bunga berlusconiano, ma anche con i “nullafacenti”.

Proprio così, perché Crea tra il 2006 e il 2012 ha abitato per l’appunto a Roma, a dimostrazione che chi orbita con la casata prima o poi entra e ne ha a che fare; l’agenzia criminale di servizi Casamonica ha una rete infinita di clienti e amici. E nel 2006 Crea viene fermato con Rocco Casamonica, classe 1957, esponente di peso della casata. Così come entra in contatto con Guerino Casamonica, classe 1966, altro elemento di primo piano, con il quale costituisce la cooperativa Orione insieme a Pietro D’Ardes, quest’ultimo, come abbiamo visto, poi condannato a undici anni per mafia. Nel gennaio 2018 finiscono in carcere 169 persone in Calabria in un’inchiesta sulla cosca Farao Marincola, egemone in provincia di Crotone; tra questi spicca il nome di Luigi Muto che per la ’ndrina si occupa delle truffe nel settore delle automobili. Secondo i magistrati di Catanzaro Muto, di origine cutrese, cura i rapporti con la Germania, che per la cosca è un paese meraviglioso dove si possono fare miliardi perché «è una lavanderia».

Non è un caso che le stesse autorità tedesche inseriscano tra le ’ndrine infiltrate in Germania la famiglia Farao-Marincola di Ciro Marina. Muto, il “tedesco”, per imbastire affari e avere lauti guadagni ha pero bisogno dei numeri uno: i nullafacenti. E al telefono parla dei rapporti con la casata: «Che mi trema il culo che sono fuori di cinquantacinquemila euro con Casamonica che… e Casamonica può finire pure che viene ad ammazzarmi se non portiamo le macchine a termine?!». La ’ndrangheta, ancora una volta, non tratta come zingaracci, straccioni, inferiori, gli uomini della casata.

E la truffa è di quelle remunerative. Il trucco è semplice. In Germania si noleggiano a lungo termine automobili di grossa cilindrata attraverso prestanome. Le auto vengono “ripulite” immatricolandole come nuove in Bulgaria, poi si portano in Italia, dove si “lavano”, ovvero si cambiano targhe e si immatricolano nuovamente mascherando l’origine, la Germania, e il titolo, il noleggio. Si vendono attraverso gli autosaloni degli “amici” ad acquirenti che, ignari, comprano i veicoli, sui quali è stato installato un gps. Poco dopo le auto vengono rubate dall’organizzazione.

Una macchina che costa sui quaranta mila euro può essere venduta anche diverse volte generando un valore intorno ai duecento mila euro. Alla fine l’auto viene nuovamente dotata dell’originale targa tedesca e riconsegnata. Nell’affare c’è una rete di imprenditori, come Dino Celano, coinvolto nell’inchiesta, vicino anche ai nullafacenti. Una di queste auto, ricostruendo il giro, è stata controllata a Roma esattamente nel feudo dei Casamonica, in via Barzilai, ed era nella disponibilità di Alfredo Di Silvio e Fabrizio Pagliano, uomini della casata.

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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