Nel passaggio d’anno fra 2023 e 2024 non sono poche le novità che riguardano la composizione del collegio cardinalizio in vista di un possibile, futuro conclave. Perché se da una parte è vero che il papa per ora non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio incarico, è allo stesso tempo un dato di fatto che Francesco ha toccato gli 87 anni, e dunque le limitazioni a un’attività tanto intensa come quella di capo della chiesa universale cominciano a farsi sentire.

Peraltro, non è neanche da escludere che Bergoglio non possa decidere di tornare a ritoccare la composizione del collegio cardinalizio con nuove nomine se consideriamo che nel corso del 2024 saranno ben 13 i cardinali che compiranno 80 anni e usciranno dal novero dei votanti in un possibile conclave.

Fra di loro si contano almeno 3 personalità di primo piano: il gesuita spagnolo Luis Ladaria, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il canadese Marc Ouellet, ex capo del dicastero dei vescovi, e lo statunitense Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e tuttora a capo della Pontificia commissione per la tutela dei minori (bergogliano, capace però anche di criticare il papa). Questi ultimi due furono considerati fra i papabili dell’ultimo conclave, quello che ha eletto Francesco.

Entro la fine del 2024, il numero dei porporati elettori scenderà a 119, uno in meno della soglia minima (ma orientativa), stabilita da Paolo VI, di 120.

È però nel gruppo dei cardinali italiani che si registrano le novità maggiori. Nel 2023, infatti, hanno superato la soglia che li esclude dal conclave 5 cardinali: Angelo Bagnasco, ex presidente della Cei, Crescenzio Sepe, ex prefetto della Congregazione di Propaganda fide (nonché organizzatore del Grande Giubileo del 2000 per la parte vaticana), Domenico Calcagno, ex prefetto dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), Giuseppe Versaldi, ex presidente della prefettura degli affari economici (organismo che oggi non esiste più), e ex prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica; Angelo Comastri, ex presidente della Fabbrica di San Pietro ed ex vicario del papa per la Città del Vaticano.

Si può dire anzi che si è chiusa un’epoca: quella dei cardinali di osservanza bertoniana contrapposti a quelli vicini al cardinale Ruini, e dei conflitti fra la Cei e la segreteria di Stato; una stagione che ha segnato potentemente il pontificato il Benedetto XVI e ha contribuito a orientare i cardinali nel 2013 a scegliere un vescovo di Roma che non avesse a che fare con le lotte di potere interne alla Chiesa italiana.

Dunque, il peso degli italiani è stato ridimensionato da papa Francesco anche all’interno del sacro collegio, in linea da una parte con la scelta di valorizzare le periferie del mondo, dall’altra con l’intenzione di moderare le ambizioni dell’episcopato italiano che ha goduto sempre di una sorta di privilegio non scritto nella relazione speciale che si stabiliva con la Santa sede.

Restano attualmente, 14 cardinali elettori provenienti dal Belpaese, ancora il gruppo nazionale più forte in un ipotetico conclave, e tuttavia ridotto rispetto al passato; si pensi che solo gli statunitensi sono ben 11, e gli spagnoli 8. Ma chissà se non sia proprio questa condizione di debolezza oggettiva della chiesa italiana (ben visibile anche nell’ultimo sinodo e in generale nel dibattito che oggi attraversa il cattolicesimo fra spinte riformatrici e tradizionalismo), a farne un possibile riferimento per la sua capacità di mediazione fra diverse anime e correnti.

In questo quadro va ricordato pure come fra i non elettori figuri anche il nome del card. Giovanni Becciu, condannato di recente dal tribunale vaticano.

Il “partito diplomatico”

Sia come sia, spiccano fra i cardinali elettori italiani diversi nomi cui porre attenzione; in un primo gruppo troviamo il segretario di Stato, Pietro Parolin, diplomatico di lungo corso le cui capacità sono riconosciute a livello internazionale; c’è poi il capo dei vescovi italiani, Matteo Zuppi che, oltre ad essere stato coinvolto dal papa nell’opera di mediazione fra Russia e Ucraina, gode dell’appoggio della Comunità di Sant’Egidio.

Quindi Claudio Gugerotti, anche lui di scuola diplomatica, ora prefetto del dicastero per le chiese orientali, in precedenza nunzio in Ucraina e Gran Bretagna. Insieme a lui va ricordato il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa (che porta in realtà il numero degli italiani elettori a 15), il quale vanta una lunga esperienza in Terra Santa e il cui ruolo sta crescendo anche nella drammatica crisi in corso; inoltre potrebbe godere di un consenso abbastanza trasversale.

In un secondo gruppo, si contano altri due esponenti della diplomazia vaticana: Fernando Filoni, già prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, come diplomatico ha avuto incarichi in sedi importanti, dal Brasile a Hong Kong; potrebbe essere il candidato di un conservatorismo non urlato. Con lui, va ricordato il nunzio in Siria, Mario Zenari, che ha gestito per la Santa sede la lunga, complessa e sanguinosa, crisi siriana.

Dietro questi, vanno registrati i nomi dei cardinali Francesco Montenegro, bergogliano doc, impegnato sul fronte dell’accoglienza dei migranti, ex arcivescovo di Agrigento, nominato dal papa, nel giugno scorso, amministratore apostolico sede vacante dell’eparchia di Piana degli albanesi; quindi i cardinali Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena e, a partire dal primo gennaio del 2024, nominato da Francesco giudice della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano; infine il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, già segretario della Cei sotto la presidenza di Camillo Ruini.

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