Aveva definito le nostre inchieste dello scorso autunno «articolacci». Aveva parlato di olio bollente, spranghe, bastoni, presenti il giorno prima della «orribile mattanza» del 6 aprile all’interno del carcere. Aveva raccontato di un magistrato di sorveglianza, Marco Puglia, trattato malissimo dai detenuti contraddicendo le dichiarazioni rilasciate da lui stesso. Aveva detto che Lamine Hakimi, il giovane algerino morto abbandonato da tutti un mese dopo il pestaggio degli agenti di polizia penitenziaria, era morto perché voleva strafarsi. Insomma, aveva creduto appieno alla linea depistaggio.

Parliamo della direttrice del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Elisabetta Palmieri. Il suo nome non è presente tra quelli dei 117 indagati per le violenze e le torture che sarebbero state commesse a inizio aprile 2020 nel suo carcere: 52 persone sono state destinatarie di un’ordinanza di custodia cautelare, 77 sono state temporaneamente sospese dal servizio per disposizione del ministero di Giustizia. Dopo la diffusione dei video da parti di Domani, si era diffusa la notizia falsa che anche lei fosse presente il giorno dei pestaggi con un manganello tra i detenuti: non era vero, Palmieri non era in carcere. È tornata due mesi dopo. 

Il ritorno a Santa Maria

Nei giorni delle proteste dei detenuti per la paura dell’epidemia e della mattanza, così come nelle settimane successive, la direttrice Palmieri era assente per malattia. La reggenza dell’istituto di pena era nelle mani della vicedirettrice Maria Parenti, anche lei non indagata. La direzione del carcere infatti, come emerge dagli atti di indagine, era stata completamente scavalcata nella decisione di effettuare la “perquisizione straordinaria” da quelli che la procura considera i “registi” del pestaggio: il provveditore regionale delle carceri Antonio Fullone, il comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del carcere di Secondigliano Pasquale Colucci, il commissario della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, e il commissario capo responsabile del reparto Nilo Anna Rita Costanzo.

Anche se la direttrice Palmieri non ha nessuna responsabilità delle violenze e il suo nome non risulta tra quelli degli indagati, a inizio ottobre sembra aver creduto al depistaggio portato avanti dai “registi” della mattanza, con cui ha continuato a lavorare per mesi, quasi senza informarsi di ciò che era veramente avvenuto ai detenuti dell’istituto sotto il suo controllo.

Durante una lunga telefonata con Domani dello scorso ottobre, per chiarire alcune questioni prima della pubblicazione delle nostre prime inchieste, la direttrice Palmieri aveva parlato di oggetti non consentiti, come olio bollente, spranghe, bastoni ricavati dai piedi dei tavolini, utilizzate dai detenuti il 5 aprile. Strumenti atti ad offendere che sarebbero stati ritrovati il 6 aprile, giorno della perquisizione, ma anche l’8, due giorni dopo. Questi oggetti però, secondo la pubblica accusa, sarebbero stati fabbricati e fotografati successivamente per giustificare le violenze: «Un atto deprecabile di depistaggio».

Il carcere in mano agli uomini in divisa

Palmieri dirige il carcere in provincia di Caserta dal dicembre del 2017. Nel corso degli anni, come ha potuto ricostruire Domani, alcuni detenuti hanno lamentato la sua scarsa presenza con loro. «Alcuni detenuti dell’alta sicurezza non l’avevano mai vista prima di un incontro di qualche mese fa», racconta una fonte all’interno del mondo carcerario campano. «Ci sono tanti che la considerano una figura assente, hanno la sensazione che il carcere sia gestito dalle persone in divisa (la polizia penitenziaria, ndr) piuttosto che dai civili».

Domani ha contattato la direttrice Palmieri. Avremmo voluto sapere da lei in che modo è stata informata della “perquisizione straordinaria” del 6 aprile, se era stata aperta un’indagine conoscitiva su quei fatti, com’è stato lavorare per tanti mesi con le persone accusate delle violenze, come è stato possibile che un detenuto possa morire ingerendo un gran numero di pillole mentre era tenuto in isolamento nonostante i suoi problemi psicologici, perché ad ottobre sosteneva le tesi del depistaggio. Palmieri però, dopo aver voluto sentire solo la prima domanda, non ha voluto rispondere perché «non autorizzata a parlare, è necessaria un’autorizzazione del provveditore». Gli interrogativi, dunque, rimangono.

L’inchiesta sulla diffusione dei video

Lunedì 12 luglio il tribunale del riesame si esprimerà sulle misure cautelari, con la procura di Santa Maria Capua Vetere che ha chiesto l’inasprimento di alcuni provvedimenti.

Ieri mattina, dopo l’interrogatorio di garanzia, uno degli agenti di Santa Maria Capua Vetere è stato scarcerato dopo l’interrogatorio di garanzia. Inizialmente arrestato e sottoposto ai domiciliari perché accusato di essere tra gli autori del pestaggio, l’agente ha fatto emergere che non era in servizio il 5 e il 6 aprile 2020 e che c’era stato un errore nell’identificazione, non era lui quello ripreso dai video.

Intanto i magistrati campani hanno aperto un’inchiesta sulla diffusione dei video delle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. L’apertura del fascicolo da parte dei pm avviene a 9 giorni di distanza della pubblicazione da parte di Domani delle immagini della «orribile mattanza». Si apprende dalle agenzie che «in questa fase di indagine gli atti non possono essere divulgati». 

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