Dicono che l’olivastro millenario di Sa Tanca Manna abbia assistito al passaggio della giudicessa Eleonora d’Arborea, che attraversava la zona del Montiferru nel 1388. Testimone silenzioso di secoli di storia, ha osservato, immobile, lo scorrere del tempo. Fino a due giorni fa, quando si è arreso anche lui alle fiamme che molte volte, negli anni precedenti, lo avevano minacciato senza mai colpirlo. Si è accartocciato su se stesso e della sua imponenza - venti metri di altezza e dieci di circonferenza - non è rimasto niente. «Era il nostro simbolo, ora siamo come lui. Senza più linfa vitale», sono le parole di un abitante di Cuglieri, il paese dell’Oristanese che è stato letteralmente circondato dall’incendio che ha devastato i territori del Montiferru.

Il fuoco è arrivato fino alle case, ha distrutto il campo sportivo, il liceo e tantissime attività adesso sono in ginocchio. «È stata questione di dieci minuti. Vedevamo le fiamme in lontananza, poi improvvisamente ce le siamo trovate davanti e alle spalle. Mentre lottavo per evitare che il negozio andasse in fumo, mi hanno avvisato che anche la mia casa stava prendendo fuoco. Ho dovuto fare una scelta: cosa salvo, la mia attività o il posto in cui vivo?», racconta Carlo, che nell’incendio ha perso una macchina, la roulotte e vari macchinari che utilizza per il suo lavoro.

Poco più avanti c’è Mondial Birre, che adesso è solo un capannone sventrato. «Ho avuto paura di morire», confessa Claudia, titolare del birrificio insieme al marito Filippo. «Siamo riusciti a mettere in salvo solo il computer. Del magazzino e delle attrezzature non è rimasto più niente. I fusti delle birre sono esplosi e rotolavano lungo la via. Ogni scintilla che si poggiava per terra dava vita ad altre fiamme. Siamo scappati alla cieca, il fumo era così fitto che non si riusciva a vedere niente». Della stima dei danni, Claudia non se la sente di parlare. «Se ne parlo, piango. Diamo lavoro a undici dipendenti, non so quando e se riusciremo a ripartire. Dico che teniamo botta, che altro posso aggiungere? La cosa incredibile è che siamo tutti vivi e che nessuno si è fatto male». 

Dopo tre giorni, il fuoco sembra spento, ma i canadair continuano a volare per le operazioni di bonifica. Le fiamme hanno lasciato il posto a una distesa di cenere, di alberi bruciati e di devastazione. Un paesaggio spettrale di 20mila ettari. Il proprietario di un frantoio ha la faccia scura e la testa bassa. «Tutti gli ulivi di Cuglieri e dei paesi vicini non ci sono più. Ci portavano all’anno 15mila quintali di olive da molire. Adesso non c’è più nemmeno il nostro lavoro. Mancherà per anni. I debiti invece restano». 

Video di Patrizia Baldino

Intanto, a Cuglieri, Scano di Montiferro, Tresnuraghes, Sennariolo e Santu Lussurgiu hanno fatto ritorno i i 1.500 sfollati che improvvisamente, nella notte di sabato scorso, sono stati costretti a lasciare le abitazioni lambite dalla fiamme. «È stato così improvviso che non abbiamo capito cosa stesse succedendo. Un attimo prima non c’era nulla, poi sembrava di essere arrivati all’inferno», raccontano. «I vetri si sono rotti, le persiane sciolte. L’aria era irrespirabile».

C’è chi, nella concitazione di quei momenti, ha pensato di prendere il minimo necessario, chi invece è scappato senza portare niente con sé. Renzo, che vive a Scano di Montiferro, racconta di aver messo al sicuro la madre di 96 anni e le due figlie. «Vedevo un bagliore lontano alla finestra, nel giro di pochi minuti si è fatto sempre più vicino. Sia mia madre che le mie figlie non hanno portato via nulla. Io sono rimasto in casa. Non me la sentivo di andare via, volevo fare il possibile per salvarla».

Anche Isabella, di Tresnuraghes, racconta quei momenti concitati. «Quando ci hanno fatto andare via ho provato una paura immensa di non vedere più la casa. È stato tutto così rapido che non ho pensato nemmeno di prendere una bottiglia d’acqua. Mi hanno suggerito di andare nel paese vicino, ma non volevo spostarmi di tanti chilometri. Tutti abbiamo pensato, per un momento, che fosse un addio».

«Nessuno può capire, se non lo prova sulla propria pelle, cosa significa lasciare il posto dove vivi - aggiunge Marco, di Cuglieri - C’è una vita di sacrifici, di ricordi, di cura. Lasciare la casa significa morire a metà». Così come sono morti a metà i tantissimi allevatori e agricoltori che nell’incendio hanno perso l’unica fonte di sostentamento.

Bachisio, a Tresnuraghes, ha perso 150 animali, bruciati vivi mentre lui cercava di salvarli, 50 balloni di fieno destinati alla vendita, un capannone e varie attrezzature. I danni, facendo un primo calcolo, ammontano a 50mila euro. Un altro allevatore racconta che, mentre le pecore riescono a raggrupparsi e a seguire il padrone, gli agnelli si spaventano e scappano. E per loro non c’è niente da fare. Senza più foraggio, bestiame, terreni da coltivare, confessano di non sapere come fare a tirare avanti. «Ma troveremo un modo, non ci arrendiamo. Molti colleghi delle zone vicine ci stanno dando una mano. I sardi non si abbattono così facilmente, non è nella nostra natura».

Uno di loro si guarda intorno, osserva la distesa grigia di cenere dove un tempo portava al pascolo i suoi animali. «Sa qual è il mio più grande rimpianto? Hanno detto che per far ripartire il bosco serviranno 15 anni. Io sono grande di età, non ho abbastanza tempo per rivedere questo posto com’era prima».

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