Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e candidato al collegio senatoriale di Monza, ha denunciato di essere da mesi sottoposto a intercettazioni con il virus spia Trojan.

Il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega ai servizi segreti, ha detto: «Escludo nel modo più assoluto che vi sia o vi sia stata attività di intercettazione nei confronti di Marco Cappato».

Cappato ha però risposto che la notizia gli è stata comunicata in forma anonima, di averla verificata e di ritenere «affidabile» la sua fonte, che vuole rimanere anonima, e dunque di credere al fatto di essere intercettato.

Per questo ha scritto una lettera rivolta direttamente alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per chiederle «se corrisponda al vero l'informazione a me giunta anonimamente che dal febbraio 2023 sarei sottoposto a captazione informatica del telefono (intercettazione permanente e totale) con Trojan di Stato e che siano in corso intercettazioni con microcimici nelle miei sedi abituali di lavoro e di vita dal marzo di quest'anno».

Secondo Cappato, «il monitoraggio sarebbe ad opera dell'Agenzia di Informazione e sicurezza -AISI- su richiesta del Dipartimento delle

informazioni per la Sicurezza della Repubblica -DIS- Autorità delegata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri» e l’ipotesi di reato per cui sarebbe intercettato sarebbe di «associazione sovversiva ed eventuali reati riscontrati in fase di indagine».

Sospendere le intercettazioni

Nel caso in cui l’informazione fosse vera, Cappato ha chiesto a Meloni di «interrompere immediatamente tale attività perché in palese contrasto con il libero esercizio di diritti civili e politici fondamentali previsto dalla nostra Costituzione che la Repubblica italiana ha l'obbligo di rispettare in virtù dell'aver ratificato tutti gli strumenti internazionali dei diritti umani».

La notizia non ha ancora ottenuto un riscontro ufficiale. Se quanto denunciato da Cappato corrispondesse al vero, si tratterebbe probabilmente di intercettazioni preventive gestite non da una procura, ma dai servizi segreti, che vengono attivate solo in caso di una precisa serie di reati come appunto l’associazione sovversiva.

Come funzionano

Le intercettazioni preventive sono uno strumento ai limiti della costituzionalità e sono diverse dalle intercettazioni investigative perché vengono effettuate prima ancora che il reato sia stato commesso e che una notizia di reato ci sia, ma solo sulla base di sospetti.

Questo strumento era stato concepito negli anni Settanta, durante gli anni dell’emergenza del terrorismo, e aveva come obiettivo di prevenire reati di terrorismo politico. All’epoca, nel vecchio codice di procedura penale, era previsto che, a richiesta del Ministro per l’interno, del prefetto, del questore o delle forze dell’ordine, il procuratore della Repubblica potesse autorizzare intercettazioni preventive per indagini di terrorismo. Questa stessa previsione, poi, era stata estesa anche ai reati di criminalità organizzata di tipo mafioso.

Nel nuovo codice di procedura penale, questa ipotesi è stata eliminata e trasferita nelle cosiddette disposizioni attuative all’articolo 226, così da far assumere un carattere assolutamente eccezionale alle intercettazioni preventive.

Vista la loro natura assolutamente eccezionale, le intercettazioni preventive devono essere chieste dal ministero dell’Interno e autorizzate dall’autorità giudiziaria, ma soprattutto è espressamente stabilito che tutte le informazioni acquisite non possono essere utilizzate in un processo penale «fatti salvi i fini investigativi».

Oggi possono venire utilizzate solo per reati gravi di mafia o terrorismo, con ampliamento recente ai reati di terrorismo commessi mediante tecnologie informatiche. Questa specificazione è servita, infatti, a poter intervenire sul fenomeno dei cosiddetti “lupi solitari”, i terroristi isolati che si convertono alla causa fondamentalista via web e così organizzano gli attacchi.

Dal punto di vista procedurale, il procuratore della repubblica le autorizza nel caso i «elementi investigativi che lo giustifichino», per una durata massima di 40 giorni prorogabili per periodi successivi di 20 giorni, con autorizzazione del pubblico ministero.

I contenuti vengono poi sbobinati e depositati entro 5 giorni presso l’ufficio del procuratore, che ne verifica la conformità all’autorizzazione e dispone l’immediata distruzione di supporti e verbali. La conservazione dei dati acquisiti ma non dei verbali può essere disposta, in via eccezionale, per non più di due anni.

Attualmente, dunque, la disciplina è ancorata alle norme di coordinamento del codice di procedura penale e l’iniziativa dei servizi segreti è comunque vagliata da un pubblico ministero.

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