Al Consiglio superiore della magistratura si respira aria pesante, come pesanti sono le accuse incrociate che stanno dividendo la magistratura italiana. Al centro dello scandalo ci sono i verbali dell’ex avvocato esterno dell’Eni, Piero Amara, resi alla procura di Milano, che il pm Paolo Storari ha portato a palazzo dei Marescialli nell’aprile 2020 per consegnarli all’allora consigliere togato Piercamillo Davigo. Nei mesi successivi, del loro contenuto vengono a conoscenza almeno tre membri: il vicepresidente David Ermini e il pg di Cassazione, Giovanni Salvi, a cui ne parla direttamente Davigo senza però mostrare loro i verbali, e il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio. Alla fine del 2020 questi stessi verbali, trafugati dal Csm, sarebbero poi stati inviati in plico anonimo dalla funzionaria del consiglio ed ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, prima alle redazioni del Fatto Quotidiano e Repubblica, poi al togato Nino Di Matteo. Infine, proprio il plenum del Csm è la sede dove la notizia viene a galla: Di Matteo, infatti, durante la seduta riferisce di temere «un tentativo di condizionamento dell’attività del consiglio». Dice di averne condiviso il contenuto sia con il togato Sebastiano Ardita, il cui nome compare nei verbali, che con il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, per ragioni di competenza territoriale.

Colloqui informali

Al Csm, a essere al corrente dell’esistenza dei verbali sono almeno in sei: Davigo, che decade dal ruolo di consigliere nell’ottobre 2020; il vicepresidente Ermini; il pg di Cassazione Salvi; il primo presidente di Cassazione Curzio; i togati Di Matteo e Ardita.

Di tutto, poi, viene informato anche il Quirinale. Eppure di questi scambi di notizie non esistono documenti scritti e ciò ha reso di fatto impossibile per il Csm attivarsi con una qualsiasi iniziativa.

Tutti i colloqui che Davigo ha avuto – più di uno con Ermini e almeno uno con Salvi – sono stati «informali», dicono fonti qualificate nel Consiglio. Le conversazioni, che hanno riguardato soprattutto il dissidio interno alla procura di Milano tra Storari e il procuratore capo Francesco Greco e non la loggia segreta, non si sono mai trasformate in un atto formale che potesse investire in via ufficiale l’ufficio di presidenza del Csm. Senza una relazione scritta nessun iter interno poteva partire e, se anche fosse partito, avrebbe comunque potuto riguardare solo lo scontro dentro il palazzo di giustizia di Milano. Non certo la loggia segreta, per cui la competenza è delle procure e ora sono almeno in quattro ad aver aperto fascicoli a vario titolo, a partire dai verbali: Roma, Milano, Brescia e Perugia.

Ora, però, l’atto scritto necessario a investire l’organo di governo autonomo della magistratura sta per arrivare. Il procuratore Greco ha fatto sapere che sta raccogliendo tutti gli elementi per redigere una relazione sulla vicenda dei verbali secretati, che verrà consegnata al Csm.

Comportamento irrituale

Tutto da chiarire (in sede penale dalla procura di Brescia e anche in sede disciplinare, come ha fatto sapere il pg Salvi) è il comportamento di Davigo e Storari. Il pm milanese ha detto di essere a disposizione del Csm per chiarire la sua posizione e di avere consegnato i verbali a Davigo in «autotutela», perché non condivideva l’inerzia della procura di Milano.

A sei mesi dalla stesura dei verbali di interrogatorio di Amara e nonostante almeno una decina di mail di sollecito da parte di Storari, infatti, nessuno era stato ancora iscritto nel registro delle notizie di reato. Così matura la decisione di informare Davigo. Storari avrebbe scelto questa strada in forza di una circolare del 1994 del Csm secondo cui «il pm che procede deve dare immediata comunicazione al Consiglio con plico riservato al Comitato di presidenza di tutte le notizie di reato nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio» e che «può ritenersi consentito il superamento del segreto investigativo ogni qualvolta questo possa rallentare o impedire l’esercizio della funzione di tutela e controllo da parte del Csm».

Tuttavia, l’iter scelto da Storari, che anche secondo Davigo non avrebbe «nulla di irrituale» solleva dubbi proprio perché non ha prodotto un invio di atti ufficiale e tracciato, ma tutto si è mosso nell’informalità. Solo il pg Salvi, per i poteri del suo ruolo, ha potuto prendere iniziativa, contattando direttamente il procuratore Greco per chiedergli conto dei dissidi e dello stato del fascicolo. «In un colloquio avvenuto il 16 giugno nel mio ufficio, il dottor Greco mi informò per grandi linee della situazione e delle iniziative assunte. Si convenne sulla opportunità di coordinamento con le Procure di Roma e Perugia». Il Csm, invece, è solo diventato teatro di conversazioni segrete incrociate e il possibile luogo di consumazione di reati e illeciti disciplinari.

 

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