Passo dopo passo e mossa dopo mossa, implacabilmente stanno ammazzando l’antimafia. Con perversa puntualità, approfittando delle ricorrenze più significative, sembra che non vogliano fare prigionieri fuori dall’ufficialità e dalla pomposità delle corone di fiori e delle fanfare.

È accaduto il 23 maggio con la questura di Palermo che ha vergognosamente dato l’ordine di caricare un pacifico corteo di studenti e di sindacalisti in movimento per raggiungere l’albero Falcone, si replica in questi giorni di vigilia al 19 luglio dove già si annuncia un teatrino dei pupi con le solite frasi fatte e le solite facce contrite. E, novità per certi versi sorprendente, la famiglia Borsellino che si è rabbiosamente divisa in nome di Paolo, degli avvocati che la rappresentano, dei possibili moventi sull’uccisione del procuratore.

Palermo è in preda all’ira, schiacciata, Palermo è senza respiro per qualcosa che mai avrebbe potuto immaginare appena qualche stagione fa. Mal tollerato il dissenso, proibiti gli scarti di percorso e le digressioni, ogni 23 maggio e ogni 19 luglio d’ora in poi saranno celebrati sotto il segno dell’obbedienza. Perché di antimafia ce ne deve essere ormai solo una e deve avere il timbro governativo.

Gli “eroi” e l’ipocrisia

Quanta ipocrisia intorno agli “eroi” di Capaci e di via D’Amelio, quante imposture s’inseguono e s’incastrano fra la Sicilia e Roma, sponde di inganni, proclami e prediche, giochi di prestigio per cancellare quella che potremmo definire “il pluralismo dell’antimafia”.

Se l’anno scorso il trentesimo anniversario delle stragi è stato accompagnato da Totò Cuffaro e da Renato Schifani che si sono presi un’altra volta comune e regione (il primo piazzando il suo uomo Roberto Lagalla a sindaco di Palermo, il secondo piazzando direttamente sé stesso a Palazzo d’Orléans), la primavera-estate 2023 ci consegna una vista ancora più raccapricciante. L’altro giorno il ministro della Giustizia Carlo Nordio è uscito allo scoperto – ecco il tempismo diabolico che ritorna – annunciando di volere “rimodulare” il concorso esterno in associazione mafiosa.

Cosa abbia esattamente in testa Nordio non lo sappiamo, di certo non c’è da aspettarsi nulla di buono se non a favore di quelle vittime del «reato che non c’è”», l’ex sottosegretario Nicola Cosentino che si strusciava con i Casalesi, il senatore Marcello Dell’Utri che ha frequentato la crema di Cosa nostra, il banchiere ed ex deputato Antonio D’Alì che proteggeva Matteo Messina Denaro. Andando avanti così, in questo clima di revisionismo, vedrete che fra poco ai tre galantuomini verrà concessa un’onorificenza, magari un cavalierato per meriti speciali. E chi ha applaudito per primo al ministro con le vertigini per il concorso esterno?

Maestro di zecchinetta

Un’artista del gioco d’azzardo, maestro di zecchinetta, il famigerato gelataio Salvatore Baiardo, l’amico di una vita dei fratelli Graviano.

Ma come si è potuti arrivare a tutto questo? Come, in una brevissima stagione, si è disperso un capitale accumulato in quasi trent’anni? Ci sono colpe, e gravi, anche all’interno di un movimento che non ha saputo o voluto cogliere segnali di una crisi che stava sopraggiungendo, che ha preferito incassare lauti contributi dai ministeri piuttosto che far sentire un’altra voce, che si è mischiato con personaggi di dubbia affidabilità.

Un’antimafia che, lentamente e inesorabilmente, si è cannibalizzata. Così ci stiamo avvicinando al 19 luglio, al ricordo di Paolo Borsellino. Trascinandoci dietro paure e rancori.

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