Dunque, Dante è stato il fondatore della destra italiana, stando al giudizio del ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano. Se così è, chi è stato il fondatore della sinistra, almeno in Italia? E dove collochiamo gli altri classici della letteratura, da Petrarca e Boccaccio a Manzoni e Leopardi, a destra o a sinistra?

Sangiuliano trascura un dato culturale elementare: dal 1945 a oggi, gli autori in voga nell’editoria di destra sono stati quasi sempre stranieri. Solo per richiamare i nomi più frequentati a destra: in letteratura, Ezra Pound (americano), Pierre Drieu La Rochelle e Ferdinand Céline (francesi), Yukio Mishima (giapponese),  J. R. R. Tolkien (inglese); per la storiografia, almeno quella sul fascismo: Tarmo Kunnas (finlandese), con qualche simpatia manifesta per Zeev Sternhell (israeliano); in filosofia, René Guénon (francese) e Gomez Davila (colombiano).

Si è del tutto dimenticato che Giorgio Almirante pubblicò un volume agiografico sul francese Robert Brasillach, scrittore e acuto critico cinematografico, fucilato nel 1945 per collaborazionismo con i nazisti: Brasillach faceva professione di furioso antisemitismo persino nel periodo in cui gli ebrei francesi erano deportati ad Auschwitz.     

La rivoluzione conservatrice

Julius Evola

A questo breve ma indicativo elenco, Sangiuliano potrebbe obiettare di essere stato uno studioso (non so quanto originale) dell’italiano Giuseppe Prezzolini. Ma Prezzolini era italiano solo all’anagrafe: nel primo Dopoguerra aveva scelto di insegnare negli Stati Uniti, per poi passare gli ultimi decenni della sua vita centenaria a Lugano.

E ancor più estraneo all’Italia, se non anche lui per ragioni anagrafiche, era stato il filosofo Julius Evola, le cui opere sono state il pane quotidiano dei giovani militanti di destra. Non è difficile immaginare che Evola, più legato alla cultura della Konservative Revolution che a quella italiana, fosse entrato nelle letture preferite di un giovane Sangiuliano.

Ostili alla modernità

Perché questa esterofilia, da parte della cultura di destra? Indico brevemente una sola causa, a mio avviso la più importante. Dopo il 1945, la cultura italiana, essendosi schierata su posizioni antifasciste, non poteva trovare seguito e udienza a destra.

La destra ha interpretato la cultura italiana dopo il 1945 quale veicolo di valori decadenti, la cui espressione più importante, almeno in politica, era la democrazia. Infatti, il tema che accomunava quegli autori stranieri, fatta eccezione per Tolkien, era dato da un atteggiamento ostile nei confronti della modernità. Non a caso, a destra qualche udienza la trovò Pier Paolo Pasolini: proprio l’intellettuale che denunciava i limiti della modernità.

Nella cultura nazionale

Dante Alighieri (Diener/picture-alliance/dpa/AP Images)

Ora, c’è un altro problema sotteso al giudizio del ministro. Sangiuliano, consapevole dell’esterofilia della tradizione culturale della destra italiana post-1945, avverte l’urgenza di inserire la destra nella cultura nazionale: non si governa una nazione avendo come punti di riferimento autori estranei alla tradizione culturale di quella nazione medesima.

E infine, il giudizio di Sangiuliano non è del tutto originale. Già il fascismo si era appropriato di Dante. In Giovinezza, l’inno del regime, si canta che «La vision dei pionieri/ La vision dell’Alighieri/ Oggi brilla in tutti i cuor».

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