Durante la stagione delle nomine, per un giornale è meglio parlare bene di tutti: elogiare il futuro nominato può essere la premessa per un po’ di pubblicità, infierire sul probabile sconfitto può portare a tagli di inserzioni o cause legali casomai dovesse resistere.

Questo discorso vale a maggior ragione per l’Eni, società con un budget pubblicitario virtualmente illimitato e con la querela facile.

Dunque, la conferma sicura dell’ad Claudio Descalzi non ha animato grandi dibattiti. Anche se ci sarebbero molte ragioni per congedarlo dopo ben tre mandati.

Al netto delle vicende giudiziarie, delle quali non si può dire niente senza ricevere lettere dall’ufficio stampa prima e dagli avvocati dell’Eni poi, e che si sono concluse con manager assolti e magistrati sotto processo, il problema Descalzi andrebbe discusso come una questione di interesse nazionale.

Non Descalzi come persona, per tutto quello che ha rappresentato. Con lui l’Eni ha influenzato la strategia italiana in Libia dopo la guerra civile (rimane un caos nel quale prosperano gli scafisti), ha mantenuto e consolidato i rapporti con l’Egitto nonostante l’indignazione per l’assassinio di Giulio Regeni nel 2016, ha spinto l’Italia ad avere sempre una posizione di apertura verso quell’Iran che incarcera e ammazza i giovani oppositori.

Soprattutto, ha dettato la linea sulla Russia: il bilancio Eni celebrava nel 2021 l’aumento dei volumi di approvvigionamento di gas dalla Russia, dai 26,68 miliardi di metri cubi del 2014, anno dell’annessione illegale della Crimea da parte di Vladimir Putin, ai 30,21 di fine 2021.

Ancora a cinque giorni dall’invasione dell’Ucraina, il 19 febbraio 2022, alla Stampa, Descalzi diceva che «anche quando c’è stata la guerra in Ucraina il gas è sempre arrivato, perché non è stato interessato dalle sanzioni».

In caso di sanzioni, «l’Europa non avrebbe capacità di compensare» i 140-150 miliardi di metri cubi all’anno importati da Putin.

Nei nove anni del suo mandato Descalzi e l’Eni sono sempre stati capaci di schierare l’Italia in linea con l’interesse aziendale, a prescindere dall’interesse nazionale che sarebbe stato ridurre la dipendenza dalla Russia almeno dopo il 2014, non impantanarsi in Libia, chiedere giustizia per Regeni in Egitto, favorire la transizione ecologica invece che difendere gas e fossili con altri accordi lunghi con la poco democratica e filorussa Algeria…

Descalzi ha visto passare cinque premier e sei governi, facile capire chi decide la strategia internazionale dell’Italia.

Se a Meloni importasse della “nazione” più che di puntellare il proprio potere, riequilibrare i rapporti di forza con l’Eni dovrebbe essere la priorità.

Invece preferisce prendere lezioni di geopolitica da chi, in questi anni, si è sempre trovato dalla parte sbagliata della storia.

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