Nel gioco delle sedie delle partecipate di stato non tutte le poltrone sono ugualmente ambite. I consigli di amministrazione che scadono entro la fine del 2023 sono quasi una settantina, tra società pubbliche controllate direttamente e indirettamente dal ministero dell'Economia. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, principale regista della partita delle nomine, da settimane sta componendo il tabellone dei candidati. Si tratta di centinaia di caselle chiave nei gangli economici del paese tra amministratori delegati, presidenti e i membri dei vari cda.

L'abbuffata è garantita, ma i big della destra in questi giorni sono concentrati soprattutto sulle “sette sorelle”: i nuovi ad delle società come Consap, Consip, Poligrafico, Sogesid e Acciaierie saranno certamente “giocate” sul tavolo, ma la premier, Matteo Salvini, i referenti di Forza Italia (Berlusconi ha detto a Licia Ronzulli, furiosa, che saranno Antonio Tajani e Gianni Letta a occuparsi del dossier) e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti stanno ragionando in primis sulla spartizione di Eni, Enel, Leonardo, Poste, Terna, Enav e Monte dei Paschi, e di alcune controllate di Fs che hanno in pancia i miliardi del Pnrr.

Andiamo con ordine. Domani ha raccontato come per la sostituzione di Alessandro Profumo in Leonardo il derby tra Meloni e il ministro della Difesa Guido Crosetto (lei punta sul “visionario” Roberto Cingolani, lui crede sia inadeguato e vuole l'interno Lorenzo Mariani o comunque un manager “di prodotto”) ha raggiunto ormai un impasse politicamente pericolosa.

Non è impossibile che i due litiganti, amici e co-fondatori di Fratelli d'Italia, trovino una mediazione puntando su un terzo nome, ad ora coperto. Nel caso, Cingolani dovrebbe trovare comunque una poltrona di prestigio. Come la stessa presidenza di Leonardo, o – ma bisogna verificare l'assenza di norme che lo permettano – la poltrona di Terna, azienda che controlla le reti nazionali dell'energia elettrica e che è considerata spa più “facile” da guidare della complessa Leonardo. L'incastro è comunque complesso, non solo perché Terna potrebbe essere richiesta da Lega e Forza Italia, ma perché qualcuno suggerisce a Meloni di mettere in qualche big almeno un amministratore delegato “donna”.

Si fanno i nomi di Lucia Morselli attuale ad dell'ex Ilva (il presidente Franco Bernabé ha rapporti freddi, e di certo non la sponsorizzerà), dell'ad di Nokia Italia Giuseppina Di Foggia («gestisce solo il commerciale, non è all'altezza», ha detto un ministro di FdI a Meloni), e quello di Giovanna Della Posta di Invimit, spinta da alcuni lobbisti di grido. Ma è possibile che anche stavolta non ci sarà alcuna quota rosa.

Potere Descalzi

Nessuna sorpresa, invece, in merito ai vertici di Eni. La presidente grillina Lucia Calvosa nominata da Giuseppe Conte verrà sostituita. Lo stipendio è di oltre mezzo milione l'anno più spese di rappresentanza (nel 2020 Calvova spese la bellezza di oltre 200 mila euro in nove mesi) e fanno gola a tanti.

L'ad Claudio Descalzi, dopo nove anni al comando dell'azienda petrolifera, sarà invece confermato per un quarto mandato. Se non ci fossero sorprese dell'ultimo minuto, il fisico riuscirà nell'impresa di superare per longevità il fondatore del cane a sei zampe Enrico Mattei. Come ha fatto? Grazie a buone performance (gli utili sono buoni e il debito netto basso, ma la capitalizzazione del titolo è crollata) e al rapporto personale che ha instaurato con quasi tutti i partiti e gli stessi consiglieri di Sergio Mattarella. Della Meloni è diventato addirittura uno dei dioscuri privilegiati: è lui a sponsorizzarle l'eventuale ascesa di Cingolani, ed è sempre lui ad aver avallato l'arrivo a Palazzo Chigi di Mario Sechi, l'ex direttore dell'agenzia di stampa dell'Eni che dovrà mettere ordine alla comunicazione istituzionale degli uffici guidati dalla portavoce Giovanna Iannello, finora non impeccabili.

Descalzi, soprattutto, fa valere da tempo la rete personale che si è costruito con leader stranieri e capi dei servizi esteri. Relazioni che fanno dell'ad non solo uno dei big dell'oil&gas del pianeta, ma una sorta di ministro degli Esteri aggiunto, un Mr Wolf internazionale di cui Meloni ha bisogno come il pane. È stato per esempio l'ad ad aver organizzato – come accadeva anche ai tempi di Draghi, va detto – i viaggi del premier in paesi chiave da un punto di vista energetico e strategico come Libia, Algeria e Tunisia. «Incontri e memorandum che gli uffici di Palazzo Chigi o della Farnesina riescono a fatica a mettere in settimane o mesi, Claudio li organizza in mezza giornata, alzando il telefono e saltando l'iter diplomatico» raccontano fieri dall'entourage di Descalzi. «A fine febbraio, per dire, ha organizzato in quattro e quattr'otto un incontro negli Emirati Arabi tra Elisabetta Belloni, capo del Dis, e il ministro dell'Energia Suhail al-Mazrouei». Per la cronaca il randez-vous è saltato all'ultimo, per impegni improvvisi dell'emiratino.

La promessa di Giorgia

Descalzi deve molto anche ai suoi avvocati e ai pasticci della procura di Milano, che hanno portato i giudici ad assolvere il manager dal reato di corruzione internazionale per una presunta mazzetta in Nigeria. I pm hanno recentemente anche chiesto l'archiviazione dell'ad e della moglie (indagati per «omessa comunicazione di conflitto di interessi») in merito all'incredibile vicenda per cui, tra il 2009 e il 2014, società estere riconducibili proprio alla moglie di Descalzi hanno fatturato a Eni 300 milioni in servizi vari. Operazioni ricostruite da documenti bancari, di cui l'ad ha detto di non aver mai saputo nulla. Al netto delle ripercussioni giudiziarie, secondo i nemici di Descalzi «il fatto è di una tale gravità che una sua riconferma può avvenire solo in Italia».

Ad Enel invece, Francesco Starace non avrà lo stesso fortunato destino del collega. Meloni ha deciso che il dirigente voluto nel lontano 2014 da Matteo Renzi verrà sostituito, insieme al presidente (indicato dal M5S tre anni fa) Michele Crisostomo. È noto che in pole come nuovo timoniere c'è Stefano Donnarumma, l'attuale capo di Terna che il premier stima e considera affidabile (è l'unico grande dirigente delle partecipate ad essere andato ad aprile 2022 alla conferenza programmatica di Fratelli d'Italia).

Starace paga relazioni non idilliache con Palazzo Chigi, e strategie industriali passate che il governo di destra non ha condiviso. Non in merito al fatturato, sempre in crescita record, ma sugli investimenti miliardari fatti lontano dalla patria e dal suolo italico (Starace ha fatto molte acquisizioni in Sud America) che avrebbero portato secondo Fazzolari e gli altri decisori a un aumento monstre del debito netto, oggi a oltre 60 miliardi di euro.

Non tutti nell'esecutivo concordano con il profilo scelto della premier. I leghisti credono infatti che Donnarumma non abbia le skills perché a digiuno di finanza, mentre Meloni è convinta che sia un manager completo. I suoi head hunter gli hanno in effetti segnalato come il titolo Terna sia cresciuto «del 33 per cento dall'inizio della nomina, mantenendo utili alti e tenendo sotto controllo il debito». La capa di FdI è rimasta impressionata pure dal grande cavo sottomarino che Terna sta piazzando tra Tunisia e Italia, finanziato per 300 milioni anche dalla Ue. Per Meloni è progetto storico, una grande operazione di sistema: «È nel destino dell'Italia diventare un nuovo hub energetico per l'intero continente», ha detto magnificando il progetto.

Scaroni il milanista

Ignazio La Russa e Matteo Salvini sperano ancora che Meloni possa cambiare idea, e stanno spingendo su un manager d'area e di grande esperienza come Flavio Cattaneo, già dg Rai, poi ad di Terna, di Telecom e di Italo. Contemporaneaente, Lega e Forza Italia hanno la quasi certezza di poter indicare il nuovo presidente di Enel. Cioè il sempiterno Paolo Scaroni.

Silvio Berlusconi ha chiamato personalmente qualche tempo fa per proporgli prima la sedia da presidente di Eni (Descalzi si è opposto fermamente e così l'ipotesi è finita prima di nascere), poi quella del colosso elettrico. Risulta a Domani che anche Salvini abbia chiesto a Scaroni a febbraio, allo stadio Meazza durante l'intervallo una partita del Milan, la sua disponibilità. Il dirigente ha accettato di rientrare in campo, ma a una sola condizione: restare anche presidente del Milan, ruolo a cui non vuole rinunciare. I dante causa gli hanno anticipato che la cosa è possibile.

Scaroni, 76 anni, uscito pulito da una miriade di inchieste penali, fedelissimo di Berlusconi ai tempi dell'Eni (l'allora premier gli chiese di aprire massicciamente all'importazione di gas russo), è considerato vicino al lobbista Luigi Bisignani e a Gianni Letta, e rischia di essere per Donnarumma una figura ingombrante. Non solo perché Scaroni è già stato ad dell'Enel, che dunque conosce meglio dell'amministratore in pectore. «Ma perché Paolo non è tipo da tagliare i nastri e stringere mani» dice un suo amico. «Vorrà incidere, consigliare, e ci riuscirà. Soprattutto se il nuovo ad, chiunque sia, non riuscisse a contenerlo».

3 - continua

 

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