«Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente creduto la Cantilena o Canzone di Ciullo (diminutivo di Vincenzo) di Alcamo […]. È una tenzone, o dialogo, tra Amante e Madonna, Amante che chiede e Madonna che nega e nega, e in ultimo concede». Comincia così il primo capitolo del primo volume della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, pubblicata a Napoli nel 1870. Libro gradevolissimo, certo, necessario come manuale alla pervasiva opera di scolarizzazione del giovane Regno d’Italia, ma fondato su una scelta canonica di autori (senza testi, come invece le moderne antologie scolastiche) rispondente a criteri che sono l’opposto della diversity.

Come appunto dimostra l’avvio, tutto giocato sulla ricerca di una genesi laica della letteratura che, pur in una dimensione irriverente e popolare (il contrasto di Ciullo tanto amato da Fo), dà il la a quell’impostazione lirica della poesia italiana che arriverà fino a Leopardi: l’amante chiede, l’amata nega e infine (quasi sempre dopo morta) concede.

Canone da maschi

Questa “cosa da maschi”, al servizio della celebrazione dell’idea d’Italia nei secoli, ha finito per oscurare completamente tutto ciò che non vi si adattava. Oppure – il che è ancor peggio – ha manipolato i testi di esclusi ed escluse per costringerli al servizio dell’ideologia idealistica dominante: così, alle “brave ragazze” della nazione unita non si consigliavano i cattivi romanzi che avevano portato Francesca da Rimini a fare la fine che ha fatto, ma i versi casti e sublimi di Vittoria Colonna, le lettere guerriere di Caterina da Siena, gli inni religiosi di Caterina Franceschi.

E quando pure qualche nome emergeva, specialmente per i primi secoli, tutto uno stuolo di filologi positivisti era pronto a smentirne l’esistenza, a dire che no, una donna non poteva aver scritto e diffuso i suoi versi, che ci doveva essere stato un uomo a metterli in bella forma, e bla bla bla.

Rappresentazione e Matrocinio

Nel gruppo degli esclusi le autrici occupano la quota quantitativamente più rilevante, ma ancora nel Novecento scrittori insigni come Pier Paolo Pasolini o Pier Vittorio Tondelli hanno faticato a vedersi riconosciuti al pari dei contemporanei. E il loro inserimento nei manuali scolastici eredi di quello di De Sanctis è tutt’altro che scontato.

Oggi è un fiorire di meritorie iniziative editoriali che propongono biografie, florilegi, graphic novels dedicati a scrittrici e scrittori non conformi. La scuola, però, sembra rimanere ancora legata all’eredità di De Sanctis, anche perché in fondo è, nella sua più che centenaria tradizione, rassicurante.

Eppure qualcosa si sta muovendo e anche grazie a certe sollecitazioni esterne (come gli obiettivi dell’Agenda 2030) i manuali di letteratura italiana si aprono alle escluse che ritornano. Ragazzi, ragazze e ragazzə pretendono di trovare nei volumi di studio una rappresentazione, per quanto filtrata, per quanto straniante, per quanto a volte francamente antipatica, delle sfumature della società di ieri e di oggi.

Non si tratta di sostituire la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso con La Scanderbeide di Margherita Sarrocchi, poema epico pubblicato nel 1623 sugli scontri tra Turchi e Albanesi nel Quattrocento – un testo attualissimo, peraltro – ma di abbattere l’idea che esistano opere e autori “canonici”, integrando il più possibile testi fra loro diversi, capaci di dialogare.

Poemi come quello di Sarrocchi, del resto, dimostrano che anche le opere delle autrici sono nate all’ombra del canone, interagendo con regole del gioco definite da autori uomini e a cui le scrittrici si adeguano oppure si ribellano. La Scanderbeide, ad esempio, se da un lato sembra valorizzare la maschia etica guerriera dei soldati cristiani guidati da Scanderbeg, eroe nazionale d’Albania, dall’altro dà spazio a personaggi femminili inediti (come la figlia del sultano, Rosmonda) ed è dedicato a una nobildonna, Giulia d’Este, invocata per “matrocinarlo”.

Il controcanone

Saremmo delusi/e se cercassimo nella storia della letteratura italiana voci completamente autonome dal canone di volta in volta imposto dalle gerarchie intellettuali. Lo si vede bene nel petrarchismo: Petrarca è sì il modello, eppure c’è margine per superarlo.

Le poetesse, sposate, vedove o cortigiane, cantano con passione i loro amori più o meno regolari e più o meno numerosi di quello del Canzoniere; un poeta omosessuale come Benedetto Varchi invoca un Lauro anziché una Laura; la senese Laudomia Forteguerri pretende in un sonetto il ritratto di Margherita d’Austria, con fama di lesbica; Pellegra Bongiovanni risponde a Francesco in persona di Laura, rinfacciandogli di aver preso 366 fischi per altrettanti fiaschi. In questi loro testi, chi «chiede», «nega» ed eventualmente «concede», stravolge, inverte, altera la prospettiva amante-madonna del contrasto di Ciullo.

Il dialogo tra canone e non-canone può essere indagato anche nei personaggi femminili e non conformi ideati dagli stessi autori maschi. Esaminare la figura delle maghe nei poemi epici, con il loro potere ammaliante di trasformare i guerrieri in amanti, aiuterebbe molto a riflettere sugli effetti nefasti della mascolinità tossica. Così come illuminante è osservare la presenza di Brunetto Latini nell’Inferno di Dante, punito per un peccato appena mormorato che è possibile espiare sul monte del Purgatorio (il che implica che in Paradiso tra i petali della candida rosa siano appollaiati degli ex sodomiti).

Verso la parità

Se dunque l’imposizione di modelli in base a un’idea preconcetta e politicamente allineata è da paternalismo post-risorgimentale, proporre strumenti didattici che immettano nel circuito scolastico voci più o meno volutamente dimenticate può essere un primo passo verso la sospirata parità. Marx diceva che per arrivare alla società senza classi bisognava prima passare dalla dittatura del proletariato. Forse, per le escluse e gli esclusi della letteratura, quella fase intermedia ma essenziale di rottura è sopraggiunta. Intanto godiamocela. In attesa, presto, dell’alba della successiva.

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