Flaminia Gressi: «Come diceva Tina Lagostena Bassi, occorre la scintilla. Può sembrare un discorso cinico, ma senza la scintilla non riesci a portare avanti la battaglia. Oggi è come se ci fossero cento scintille, ma nessuna riesce ad esplodere davvero. È come se vivessimo un senso di indignazione perpetua».

Greta Scarano: «Quello che va ottenuto subito è una maggiore tutela delle vittime, che le garantisca e le incentivi a denunciare, anche attraverso i presidi antiviolenza, che oggi viceversa sono sotto attacco. Prendi il caso di Lucha y Siesta, il centro occupato di Roma: la nuova giunta regionale guidata da Francesco Rocca ha revocato la delibera di Zingaretti che lo assegnava alle attiviste femministe. Vuole cacciarle e mettere al bando l’immobile».

Con Gressi, che firma soggetto e sceneggiatura (scritta con Lisa Nur Sultan e Viola Rispoli), e con Scarano, l’appassionata e lacerata avvocata di Circeo, siamo partite dal processo che 47 anni fa ha pilotato la storica riscrittura, nel 1996, della legge sullo stupro: da reato contro la morale a delitto contro la persona.
La serie di Andrea Molaioli prodotta da Cattleya per la Rai, in onda su Raiuno in tre puntate dal 14 al 28 novembre, è così esemplare e potente che non mi illudo possa fare scuola. Serietà, impegno e documentazione certosina non sono esattamente lo standard dei nostri prodotti seriali.

La scelta

La scelta, intanto, di concentrarsi sul processo e non sulla ricostruzione del massacro: «Non avevamo dubbi», dice Flaminia Gressi, nonna femminista e tanti ricordi di famiglia legati a Donatella Colasanti, persona viva e amata, «non scrivevamo per offrire un’pacchetto violenza».

«Non mettere in scena torture, stupro e morte è una scelta politica. Non si doveva dare nessuno spazio ai carnefici. Quello che hanno fatto non va dimenticato mai, loro sì. Va messa in scena Donatella con la sua battaglia, una guerriera che in punto di morte ha detto ancora: “Battiamoci per la verità”. Vanno messe in scena le femministe. Loro, come persone, non andavano spettacolarizzati. Vediamo continuamente interviste a carnefici vari che dicono la loro: per me, non meritano di parlare. Basta un attimo perché il fatto di sangue, per l’interesse morboso che suscita, si mangi tutto il resto».

Vittimizzazione 

Adalgisa Manfridi nei panni di Rosaria Lopez e Ambrosia Caldarelli in quelli di Donatella Colasanti nella serie Circeo

Quello che inchioda lo spettatore però è la “seconda violenza”, quella subita nell’istruttoria e in aula dalla vittima: con Ambrosia Caldarelli (l’esordiente che incarna Colasanti, una non-attrice stupefacente) vivi un copione feroce che si ripete inalterato anche oggi, per le donne che denunciano.

«E pensa che alle affermazioni più agghiaccianti abbiamo dovuto rinunciare, per una cosa chiamata “diritto all’oblio”. Non puoi dar conto integralmente delle parole e delle linee di difesa degli avvocati di Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira perché sono principi del Foro che non vogliono essere marchiati da quel singolo processo in quel tempo specifico. Anche Izzo con noi ha provato a invocare questo diritto».

Di tesi obbrobriose dei legali, nella serie, ne restano comunque abbastanza: «Una fellatio può essere interrotta da un morsetto, perché è il maschio la parte inerme», si teorizzava. «Dite che non c’è stata violenza perché la ragazza non si è ribellata?», replicava Lagostena Bassi. «Ogni donna sa cosa accade a chi cerca di ribellarsi contro il branco. Quello che sempre succede è che si mette sul banco degli imputati la ragazza, sostenendo che è una poco di buono». Accadeva in Processo per Stupro, il primo documentario sulla materia mandato in onda nel 1979 dalla Rai.

La serie però ha potuto usarne solo un barlume: gli avvocati degli stupratori, con le loro infamie, sono protetti dal provvidenziale “diritto all’oblio”. Ma ancora oggi gli interrogatori subiti dalle vittime calpestano ogni rispetto, giocano sui sottintesi e sul “te la sei andata a cercare”. L’ultima esternazione era sulle prime pagine, superfluo citare l’autore: «Se eviti di ubriacarti, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi».

Per Greta Scarano – che nel film non è un personaggio reale ma una sorta di summa femminista dei pugnaci legali di parte civile – «è la ragione per cui si fa ancora fatica a denunciare, e quando si ha il coraggio di denunciare non si è tutelate a sufficienza».

Sono meccanismi processuali che resteranno inalterati, “trappole” che in aula si continuano a usare – sostiene – «finché mancherà una alfabetizzazione affettiva e culturale, finché scuole e famiglie non riusciranno a educare al rispetto integrale del prossimo. Su internet oggi c’è il far west, si diseduca a un uso arbitrario del corpo altrui»

Le reazioni alla serie dei telespettatori su X sono un test inquietante. Nel film Donatella, la “sopravvissuta”, è diventata suo malgrado una icona, il simbolo di una battaglia tanto più grande di lei, strumentalizzata, anche se per il bene comune.
Ma vuole, ha il diritto di continuare a vivere, di essere sé stessa e non solo “la ragazza del Circeo”. Appena può si precipita in discoteca. E dal pubblico televisivo c’è chi twitta: “Ma come, dopo soli due mesi vuole andare a ballare? Allora non ha sofferto per quella violenza?” «È questo il punto», dice Gressi, «l’ha sofferta eccome, ma non è lei che devi giudicare, solo chi ha torturato, violentato e ucciso, chi ha fatto del male».

Una serie politica

Pia Lanciotti, Greta Scarano ed Enrico Ianniello in una scena di Circeo

Di nuovo, di mai raccontato, in Circeo, c’è, last but not least, il rilievo che finalmente assume il retroterra politico, così vistosamente assente ad esempio in La scuola cattolica (il film di Stefano Mordini, non il romanzo). «Figli di padri che erano e sono rimasti fascisti», dice dei massacratori il sacerdote, al funerale di Rosaria Lopez.

Parole autentiche. «Si ispiravano all’eversione nera, erano fascisti di Roma nord, è storia, perché non dirlo?», chiede Greta Scarano. «Il loro è anche un delitto di classe. Non si sarebbero accaniti così con ragazze del loro ceto. Quelle della Montagnola sono plebaglia, oggetti, ragazze facili che si lasciano rimorchiare dal primo venuto».
Izzo come i compagni aveva già precedenti per aggressione sessuale e squadrismo fascista, il “ragazzo rispettoso” dei suoi avvocati è anche caporedattore del foglio di estrema destra Terza Posizione. Per Donatella quei “nazisti” così agevolati, giustificati e protetti sono una minaccia paurosa. Il latitante Ghira scrive agli amici: «Quella bastarda la faccio fuori». E non ricordo che su Raiuno in prima serata qualcuno abbia mai citato il Manifesto.

Perché sì, questa è anche una serie molto politica. Flaminia Gressi: «A fare la differenza è stata la presenza delle donne al processo. Se non fossero arrivate così numerose da tutta Italia, di estrazioni sociali diverse, molte di loro senza nessun passato politico, quello sarebbe rimasto un fattaccio di cronaca nera come tanti. È stata una molla decisiva, anche rischiosa. Il casino alle udienze, la politicizzazione, la difesa ha tentato di sfruttarli per bloccare il procedimento, trasferirlo o addirittura annullarlo. Ma sono tante le donne che sono andate a Latina e in tribunale sono rimaste per giorni e giorni, mettendo in pausa la loro vita».

La rabbia

Dobbiamo dedurne che se ci fosse oggi la stessa partecipazione di massa ai processi per violenza contro le donne cambierebbero le cose? «La rabbia c’è ancora, ed è tanta, ma non riesce a produrre cambiamento. Siamo tutti indignati, ma la partecipazione via social è volatile, da tastiera, non “costruisce”. Loro sono riuscite a incanalarla verso una conquista legislativa e culturale enorme».

«Scardinare il pensiero profondo che genera la violenza, attivare le famiglie e le scuole, sostenere le attiviste dei centri», allora, come sostiene Scarano, consapevole, come tutti noi, che a farti del male è quasi sempre proprio chi ti è più vicino? La prima risposta forse va ancora cercata in quel processo che tutto ha innescato. Così lontano, così vicino.

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