Nei mesi del primo lockdown, nel 2020, mi ritrovai ad ascoltare solo musica ambient, quel genere di composizione basata su suoni radi e delicati, ripetitivi ma non schematici, inventata e reinventata in vari momenti e in varie culture (in Europa è stato Brian Eno) come forma di cura, rifugio e consolazione.

L’ambient calma i nervi: a Eno l’idea di produrre una musica calmante venne davanti a una finestra aperta nel frastuono newyorkese, rimpiangendo la campagna inglese. In quei mesi del 2020 in cui non ascoltavo altro, emerse che in tutto il mondo tanta gente riusciva ad ascoltare solo ambient.

In quest’epoca di guerre, autunni sopra i trenta gradi e continue varianti di virus e di tempeste tropicali, un altro rimedio simile all’ambient è la Asmr: si ascoltano in cuffia suoni ad alta definizione, rumori interessanti e coinvolgenti immersi nel vuoto statico catturato dai microfoni. Siamo esauriti.

Anche la comicità italiana è arrivata alla stessa conclusione: l’ha fatto con Tintoria, il podcast di Daniele Tinti e Stefano Rapone che è comicità ambient e chiacchiera Asmr. I due comici, cresciuti nella scena stand up romana da cui vengono Ferrario, Raimondo, Catuzzi, Giraud, De Carlo e (il milanese adottato da San Lorenzo) Luca Ravenna, ci hanno messo forse qualche fatica di più a far capire il loro linguaggio lento e sdraiato, ma alla fine, dopo 200 puntate del loro strano formato di conversazioni lunghe e informi con gli ospiti, ci sono decisamente arrivati.

Tinti da una stand up malinconica e vagabonda. Arrivato quasi 15 anni fa a Roma dall’Aquila distrutta dal terremoto, portava con sé le opere d’arte di suo padre, una serie chiamata “Tintonaco”, dove incorniciava semplicemente dei frammenti di muro caduti con il sisma.

Apparente maschio normalissimo, rasato e sportivo, Tinti è dolce e triste a livelli quasi troisiani, ma ci si mette un po’ ad arrivare a questa conclusione perché camuffa la dolcezza con una specie di senso comune da persona non molesta che ti attacca bottone al bar. Rispetto al volume più aggressivo dei colleghi romani, il momento in cui Tinti, in una puntata di qualche anno fa, chiedeva gentilmente a Lundini perché non gli avesse dato un posto da autore nel suo programma tv, ipotizzando che fosse perché aveva già dato il posto riservato per l’autore pelato a un altro pelato, raggiunge la poesia senza fare altro sforzo che una completa arrendevolezza. Insomma Tinti è la parte ambient di Tintoria.

Rapone è la parte Asmr, con la sua voce grattata, sforzata ma al minimo, come uno che guida una Panda in ciabatte per andare al bar a prendere il primo caffè della giornata perché non ha voglia né di preparare la moca né di andare al bar a piedi. Il suo stile deadpan non ha pari, il suo neofascista per Gialappa’s è già nel folklore italiano.

L’evoluzione

Il progetto ha avuto un’evoluzione graduale ed è esploso nella scorsa stagione, dall’autoproduzione alla co-produzione con The comedy club, fino all’entrata in One Podcast, la media factory del gruppo Gedi.

Tintoria riprende per la nuova stagione, è migrata sull’app OnePodcast del gruppo Gedi. Il successo di questo podcast improbabile mi fa molto piacere, sia per la tanta strada che queste due voci strane hanno dovuto fare per arrivare a pagare le bollette con la loro arte molto molto elusiva, sia perché il successo di un formato che mette al centro della comicità il fruscio che il vento fa sui microfoni quando si tace rivela il burnout generale in cui versa il pubblico, che non sente il bisogno di ridere a comando come succede altrove.

Tintoria oggi si registra spesso a Snodo Mandrione, a Roma, ma quest’estate è stato itinerante, con date a Bologna, Padova e Milano. Dalla cucina di Tinti e dal piccolo pubblico di sedie scricchiolanti nelle prime versioni dal vivo, Tinti e Rapone sono passati a fare una serata sold out al Castello Sforzesco con Paolo Rossi.

«Paolo Rossi», racconta Tinti, «dopo la puntata al Castello Sforzesco ci ha detto: voi avete trovato il modo di fare uno spettacolo che si regge sui tempi morti, la cosa più importante sono le pause che l’ospite si prende prima di rispondere, le esitazioni quando si passa da una domanda all’altra».

È un podcast sui vuoti, sui momenti di pausa, che creano quasi uno spazio di disagio tra chi intervista e chi viene intervistato, ma mantenendo un ritmo specifico. «In realtà non l’abbiamo trovato noi, però il segreto forse dei podcast lunghi è proprio questo, il motivo per cui sta avendo tanto successo è che non essendo compressi in orari televisivi o radiofonici, gli ospiti si prendono il tempo e riescono a sintonizzarsi».

Non solo stand up

Ormai molte più persone ascoltano Tintoria e gli ospiti non vengono più solo dalla scena della stand up, ma c’è di tutto, dai fumettisti alle attrici agli illusionisti. Mantenere un linguaggio di vuoti con persone che non orbitano nel mondo della comicità non sembra facile. Secondo Rapone «l’ospite si adatta a quelli che sono i nostri tempi. Se un ospite ha voglia di raccontare di sé stesso siamo più contenti perché chiaramente le puntate le loro. Poi forse capisce che non c’è quell’ansia da prestazione di dover fare per forza la performance, di dover correre con quello che dice, li trasciniamo nella tranquillità di una conversazione».

Continua Tinti: «È bello anche vedere che si adeguano mid-puntata, cioè che a un certo punto si rendono conto che possono fare quello che gli pare, cioè possono parlare col pubblico, prendere in giro me, parlare con Stefano, è bello vederlo succedere».

All’inizio, Tintoria era come tanti podcast di comici: un posto per tenere aperto un canale, pubblicizzare la stand up, restare visibili e ascoltabili. Per anni è rimasto un po’ un progetto assurdo da cameretta (io ci sono stato nella fase diretta Twitch, in pandemia, in video da casa): da Valerio Lundini a Edoardo Ferrario, passando per Niccolò Contessa, seduti nella cucina di Tinti, prima da solo, e poi dal 2020 con la co-conduzione di Rapone, che fino a quel momento rimaneva una presenza oscura dietro le quinte. Rapone spiega: «Tinti forse ha tenuto duro in questi anni, per me è sempre stato come un hobby. Per me era: Vado da Tinti, oggi chi ci sta? Saverio Raimondo? Vediamo che racconta. Oppure quando anche io ho cominciato a fare le puntate: Vabbè che faccio, mi va di uscire? Siamo io, tinti e martina catuzzi e quindi male che va ci prendiamo una birra e chiacchieriamo di cose. Quindi alla fine era più una cosa piacevole».

Dopo un primo giro di co-conduzione hanno deciso di uscire dalla completa autoproduzione e «abbiamo scelto di non portarci più in spalla la telecamera come facevamo prima, ma magari affidarci a qualcuno che sa fare delle riprese, come anche l’audio. Abbiamo detto: proviamo a fare delle cose con delle persone che ne capiscono e quindi da lì c’è stato un po’ più impegno anche per fare le cose con più criterio. Abbiamo sperimentato varie situazioni, vari locali, anche vari cameraman».

La scena intanto è cresciuta, sono arrivati i primi sponsor, altri podcast, come Cachemire, hanno «preso molto spazio, molto in fretta, ed è una cosa che è bene che sia stata fatta».

Sorprendere

Per quasi tutti i comici, i podcast sono una specie di vetrina per la stand up. «Io faccio il comico», Tinti spiega il paradosso, «e mi vengono a sentire per il podcast, e quindi all’inizio rosicavo, ma rosicavo per una cosa che era proprio il motivo per cui avevo creato il podcast, cioè farmi conoscere. Però è molto bello poter sorprendere le persone, sono molto contento di chi ha visto solo Tintoria e viene allo spettacolo e poi mi dice che ha riso molto».

Chiosa Rapone: «Nella stand up io ho sempre avuto una mia voce, sempre un po’ particolare, che poi si è evoluta nel tempo. Prima tiravo fuori il mio mondo un po’ strano, adesso forse ho un po’ più l’occhio sulla società. Nel podcast cerco di non usare troppe idee che potrei usare nella stand up…».

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