MP5 è unə artistə di enorme talento ma, per parlare in maniera esaustiva della sua esperienza, è necessario attraversare diversi mondi, da quello del muralismo a quello dell’illustrazione passando per installazioni, performance e progetti grafici. Nell’ultimo periodo si è fattə notare e apprezzare grazie ad alcune collaborazioni come quella con Gucci, il podcast Morgana e Non una di meno. Le sue figure in bianco e nero restano impresse nella retina di chi osserva come fossero abbaglianti fasci di luce. Sarà sua l’illustrazione della copertina di Finzioni, l’inserto di cabaret culturale di Domani, disponibile da sabato in edicola e digitale.

MP5 ha uno stile semplice e pulito, senza orpelli o giri di parole ci racconta la realtà. Proviene dal panorama underground e controculturale europeo e da anni il suo lavoro è connesso al movimento queer e femminista. 

Ha studiato Bologna e a Londra e ha mosso i suoi primi passi artisticamente in Francia, Tra i suoi primissimi lavori troviamo fumetti e illustrazioni per poi cambiare direzione e dedicarsi all’arte con installazioni, opere murali e pittura. Dal panorama underground alla collaborazione con Gucci e la direzione artistica di Chime for Change. MP5 ha attraversato il sottosuolo per poi finire tra i luminosi riflettori del mondo della moda, ma è sempre rimastə fedele a se stessə e ai propri obiettivi e ideali. A novembre è uscito il suo ultimo libro Corpus, la prima raccolta di gran parte dei suoi lavori, edito da Rizzoli Lizard.

Partiamo dal presente. Come descriveresti, oggi, MP5?
Bianco Nero e un colore

Come artista hai raggiunto notevoli successi (dalla collaborazione con Gucci, alle numerose mostre personali e alla realizzazione della copertina del libro Corpi Minori di Jonathan Bazzi). Senti di aver raggiunto l’apice?
Non mi piace pensare alla mia carriera in termini verticali, non c’è un apice a cui aspiro. Piuttosto ci sono cose che belle che mi succedono all’improvviso ma per cui non si può avere una vera e propria aspirazione, perché di solito sono inaspettate e sorprendono anche me. 

Avresti fatto qualcosa diversamente?
No, non avrei fatto niente diversamente. Oppure si, forse avrei fatto tutto diversamente.

Citando Alessandro Sciarroni (artista, performer e coreografo) che, nel tuo ultimo libro Corpus, descrive i corpi che rappresenti come figure il cui peso della loro presenza è enorme. Il corpo, il “peso del corpo” è centrale nella tua produzione artistica, è sempre stato così?
Si, segretamente ho il progetto impossibile di disegnare tutta l’umanità. Ma è frustrante perché in realtà ogni singolo corpo potrebbe essere al centro della ricerca artistica di una vita. Rappresentare un corpo non significa solo restituire la sua geometria, ma anche i suoi gesti, la sua soggettività, la sua dimensione politica ed erotica.

Parlaci della cover che hai realizzato dell’inserto Finzioni di novembre.
Quando mi avete chiesto un’immagine per la copertina dello speciale Finzioni a tema Fuga, stavo lavorando a un disegno per sostenere la Casa delle donne Lucha y Siesta. Ho pensato per questo alla fuga dalla violenza di genere. Lucha y Siesta per 15 anni è stata un punto di riferimento per la lotta alla violenza nel territorio. Ha ospitato centinaia di donne ed è diventata un punto di riferimento politico, che elabora pensiero e pratiche femministe e transfemministe. E ora è a rischio sgombero. Questo disegno è dedicato anche a loro.

Dal fumetto, alla moda e infine all’arte. Com’è stato e come è attraversare questi mondi? Senti effettivamente di averli vissuti o di non averne ancora o mai fatto parte?
Mi sento di non aver mai veramente fatto parte di niente. Ogni volta che vengo incasellat* in un ambito specifico ho come l’istinto di scappare e reinventarmi. L’unica cosa che voglio fare è disegnare, e quello è un mondo davvero enorme, per esplorarlo fino in fondo non basta una vita.

Una delle maggiori difficoltà di chi ha successo è mantenersi coerenti con l’impegno politico e i propri ideali. Hai mai sentito i “tuoi punti fermi” vacillare?
Sì sempre. Mi sento un individuo in evoluzione, penso che sia una benedizione che tutto sia in fase di continuo cambiamento e che ci sia sempre qualcosa di nuovo da scoprire e ripensare. Il mio lavoro invece ha una coerenza più solida, e quella è la cosa di cui mi devo assicurare. Quando capisco che ci sono i presupposti e la libertà perché il mio lavoro rimanga integro e che io come artista non venga strumentalizzat* so che posso affrontarlo. 

Cosa deve ancora fare MP5?
Al momento devo scartavetrare e poi dipingere 8 pannelli due metri per tre.

Com’è nata l’idea realizzare Corpus, il tuo ultimo libro ma anche raccolta di tutti i tuoi lavori?
La proposta dell’editore è arrivata in un momento in cui avevo voglia di guardare indietro e provare a cercare di tracciare delle coordinate nel mio lavoro passato. Mi sembrava un’idea interessante, cercare un filo nascosto che teneva legata tutta la mia produzione. Ne è uscito un racconto che è diviso in tre capitoli e che attraversa quasi vent’anni del mio lavoro. La difficoltà più grande è stata quella di mostrare in sequenza lavori sui supporti più disparati. Ed è proprio questo lo statement più forte di tutto il libro. Non è automatico definire un artista in base al supporto o al contesto dove mostra i suoi lavori. Io non voglio essere incasellat* in nessun ambito specifico. Corpus racconta questo cammino obliquo, di un artista che non ha un’identità, e non perché la sta ancora cercando, ma solo perché ne rifiuta una soltanto.

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