Nelle foto, Ayrton fissa l’obiettivo. Quante volte abbiamo provato a leggere nella malinconia di quegli occhi la premonizione di un destino segnato. L’autore di quegli scatti ci racconta invece un Senna che soltanto lui e pochissimi altri hanno avuto la fortuna di conoscere sul serio, intimamente. Angelo Orsi è il fotografo bolognese che ha accompagnato Ayrton Senna nei suoi dieci anni di Formula 1, l’uomo che chilometro dopo chilometro (a piedi) è diventato suo amico. L’unico fotografo che quel primo maggio di trent’anni fa era al Tamburello, dove la vita bella del campione più amato si è piantata contro un braccetto della sospensione. Lasciando orfani 161 milioni di brasiliani, e inconsolabili tutti gli altri, quelli che avevano creduto che la Formula 1 avesse trovato l’anima.

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Trent’anni dopo la gente viene dall’estero per vedere le sue foto, raccolte nella mostra Magic, al Museo San Domenico di Imola. Per Ayrton Angelo ha scelto il bianco e nero. Sono sempre stati gli altri a raccontare le imprese, gli amori, persino le parole di Senna, aggiungendo colore all’esistenza di un giovane uomo educato, gentile, riservato, un ragazzo speciale che desiderava una vita normale. Anche se il suo talento lo aveva destinato a essere tutt’altro. Unico. Carismatico. Magico.

L’incontro

La prima volta erano a Silverstone, in Inghilterra, nel 1983, e Angelo si sentì battere sulla spalla. «Mi girai e mi trovai davanti questo ragazzino pallido, magro, che mi dava del lei. Mi disse: è un grande piacere conoscerla, perché io seguo Autosprint, è l'unico giornale che scrive delle gare minori, quelle che faccio io. Gli chiesi cosa potevo fare per lui, e lui fu molto diretto. Il prossimo anno correrò in Formula uno e diventerò campione del mondo, disse così».

Non fu tanto quella frase immodesta a colpire Orsi, quanto il fatto che quel giovane brasiliano, nel perfetto italiano imparato negli anni di kart con la Parilla, volesse sapere quali erano i giornalisti italiani più importanti nella Formula 1, e avesse scelto lui come fotografo. «Aveva già un’agenzia inglese, la Sutton, e io non volevo rubare il lavoro a nessuno. Ma lui mi rassicurò: continuerò a prendere le loro foto perché sono perfette commercialmente. Però le vostre hanno un’anima, quando le vedo mi emoziono, e io voglio emozionarmi».

Angelo Orsi con Ayrton Senna - PER GENTILE CONCESSIONE DI ANGELO ORSI

L’amicizia

Ayrton aveva ventitré anni, e aveva già immaginato tutto. Si misero d’accordo per 400.000 lire ogni 100 duplicati, che Senna distribuiva tra i tantissimi giornali brasiliani che non potevano permettersi un inviato sulla Formula 1, «a ogni testata spediva una foto con poche righe sulla sua gara, un’occupazione di spazio che gli serviva a trovare sponsor». Orsi girava il mondo per Autosprint, scattava, e la sera sceglieva i negativi per il futuro campione del mondo. «Un giorno mi chiese perché sparivo sempre alle sette di sera del giovedì. Gli spiegai che andavo a fare un giro di pista a piedi, per vedere tutte le possibili posizioni, per capire dove potevo fare foto diverse da quelle dell’anno prima. Si illuminò: io non conosco tutti gli autodromi, posso venire con te? Da lì in poi tutti i giovedì sera facevamo i nostri giri di pista a piedi, studiando i percorsi, le altezze dei cordoli, gli avvallamenti, E così, chiacchierando del più e del meno, diventammo amici».

Quando Senna sbarcava in Italia, la prima telefonata era per Angelo. «Era capace di chiamare dall’aereo: faccio un atterraggio a Bologna, buttate giù un piatto di pasta anche per me? E Giuliana, mia moglie, gli preparava le tagliatelle al prosciutto». Ayrton ha sempre cercato una casa lontano da casa, un posto dove vivere in famiglia. La trovò a San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna. Si metteva a tavola con Angelo, diceva a suo figlio Matteo di fare tutti i compiti, e si sedeva sul divano a guardare videocassette di vecchi gran premi con in braccio Freddy, la gatta persiana.

Angelo Orsi con Ayrton Senna - PER GENTILE CONCESSIONE DI ANGELO ORSI

Il giornale

A due passi c’era la redazione di Autosprint. «Stava lì per ore, leggeva i giornali, guardava le foto. Veniva in tipografia a controllare i sedicesimi che uscivano dalla stampa, come se fosse uno di noi. Si metteva a sedere dai grafici. Franco Rossi era un burbero, ma con lui si scioglieva, gli insegnava a disegnare le pagine, tiravano le righe sui menabò». Di Ayrton Angelo ricorda la precisione maniacale e la costanza, «io sono appassionato di modellismo, e anche lui lo era, ma cercava la perfezione, esattamente come in pista, con gli ingegneri». Angelo alza gli occhi al cielo. «Non ho foto con lui: non era come adesso che la gente è sempre col telefono in mano a farsi selfie. Ogni tanto me lo dice anche Minardi: eravamo sempre con Senna e non abbiamo neanche una foto. Ma noi vivevamo, camminavamo, parlavamo».

Qualche volta uscivano a cena. Alla Romagnola di Castel San Pietro, da Canè a Dozza, a Bologna preferivano il Bitone, in via Emilia Levante. Spesso andavano in centro, si mettevano a sedere sui gradini di San Petronio con un cartoccio di mozzarella in carrozza di Lazzarini e guardavano la gente passeggiare avanti e indietro. Soltanto il sabato sera il rito prevedeva una dieta specifica. «Ayrton lasciava che il cameriere declamasse tutte le meraviglie del menù, poi mi guardava e diceva: noi prendiamo una pasta in bianco».

FOTO ALESSANDRA GIARDINI

Il dramma

Sono passati trent’anni, gli occhi di Ayrton ci guardano – per sempre giovani – da una gigantografia in bianco e nero, e la voce di Angelo passa alla tristezza in un battito di ciglia. «Sì, ci penso a come sarebbe oggi. Quando ha avuto un po’ di soldi ha cominciato ad aiutare gli altri, soprattutto i bambini brasiliani, quelli che non avevano niente. Io non credo che sarebbe rimasto nella Formula 1, non in quella di oggi. Ogni tanto penso che si sarebbe dedicato alla politica, magari sarebbe il presidente del Brasile». Dopo aver chiuso la carriera su una Ferrari. «Lo portai io da Cesare Fiorio a Montecarlo, nel 1989: Ayrton avrebbe corso in Ferrari dal ‘91. Poi però Prost lo venne a sapere, e pretese da Romiti che l’accordo saltasse. Con Todt lo stesso: si misero d’accordo per il ‘95, c’era già la squadra pronta per Ayrton. Se solo fosse uscito vivo dal Tamburello».

Quel primo maggio del 1994 Angelo era lì, ancora oggi non sa spiegarsi perché. Dice che è stato l’ultimo regalo di Ayrton, perché nelle foto ai piedi di Senna si vede il volante con 30 centimetri di piantone rotto. «Da lì è partito il processo per la sua morte». Dopo che per sei mesi, ogni settimana, Autosprint aveva messo in copertina la foto del piantone spezzato. Eppure dice Angelo che quel giorno fu un pessimo fotografo, «ero troppo agitato, completamente fuori, la mia macchina ogni tanto scattava da sola, senza che io inquadrassi. Fu una cosa tra la mia macchina e lui».

Quando Angelo tornò al giornale, la sera, tutto il mondo aveva già saputo che Ayrton Senna era morto, a trentaquattro anni. «Guardammo le foto, io, Mirco Lazzari, il direttore Carlo Cavicchi e Franco Nugnes. C’erano quattro scatti molto crudi, Franco svenne. Ci guardammo negli occhi e decidemmo: avevamo tutto quello che serviva per i nostri lettori, quelle quattro foto non le avrebbe viste mai nessuno. Penso che 99 fotografi su 100 avrebbero fatto la scelta opposta. Quando Mirco uscì dalla redazione venne a dirmi che fuori c’erano delle agenzie brasiliane, offrivano cifre incredibili. Ma le foto le abbiamo distrutte». Quell’ulteriore dolore ce lo hanno risparmiato, lo hanno tenuto per sempre in quelle stanze dove Ayrton era stato tante volte, a giocare alla persona normale.


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