Quando Werther (nel romanzo di Goethe) si rende conto che il proprio amore per Carlotta non potrà mai essere ricambiato, uccide sé stesso; quando Carmen (nel racconto di Mérimée e nell’opera di Bizet) dice a José di essere innamorata di un altro e gli butta ai piedi l’anello di fidanzamento, José uccide lei.

Prescindendo dalle ovvie differenze geografiche e cronologiche, il discrimine principale mi pare il seguente: Carlotta è legittimata al rifiuto da un’istituzione indiscutibile all’epoca, il matrimonio (è già promessa sposa di un altro), mentre Carmen è una fuorilegge.

Che cosa, oggi, rende ancora possibile per così tanti uomini considerare le donne come violatrici di una legge non scritta, al punto che meritano di essere uccise? La legge non scritta siamo abituati per brevità a chiamarla “patriarcato”, ed è un coacervo molto complesso e variabile di biologia, antropologia e storia del Potere.

Una modalità di convivenza che si è imposta da millenni nella maggior parte delle società umane, anche se non in tutte; una modalità fondata su una supposta supremazia del maschio rispetto alla femmina, in una gerarchia di funzioni: al maschio è affidata la conduzione della società esterna, alla femmina è delegata la cura della famiglia. (Sto parlando ovviamente di leggi generali, non abolite da singoli casi psicologici di uomini e donne che rifiutano o ignorano il ruolo, trovando altri accomodamenti personali).

Leggi non scritte

Se un maschio tradisce la fedeltà coniugale, semina figli in giro; se una donna tradisce la fedeltà coniugale, mette dei bastardi in casa. L’erezione maschile è considerata sinonimo di potenza (tant’è vero che la sua mancanza si chiama “impotenza”), e il suo accadere al di fuori della volontà le conferisce un prestigio di fatalità attiva (“quando Lui comanda, non si può che seguirlo”); l’orgasmo femminile è stato considerato per molto tempo una cosa segreta e temibile (la famosa testimonianza di Tiresia, che avendo sperimentato entrambi i generi sosteneva che le donne provano molto più piacere rispetto agli uomini). Le mestruazioni, in molte culture compresa quella biblica, rendevano la donna impura e non erano un argomento di cui fosse opportuno parlare o scrivere. Lo fanno da un po’ le scrittrici femministe, e le comiche scherzano in scena sull’erezione del clitoride, ma le risate imbarazzate degli uomini denunciano la forza della repressione.

Se a un questionario su quali siano le cose più belle della vita un ragazzo risponde “il Milan e la figa”, è un coglionazzo sincero; se una ragazza rispondesse “la squadra di ginnastica ritmica e il cazzo”, nel migliore dei casi verrebbe qualificata come una inutile esibizionista, se non una poco di buono. Tutte cose che si sanno, ma forse siamo restii a capire quanto vadano in profondità.

In un bel libro sul massacro di Willy Monteiro Duarte, avvenuto a Colleferro più di tre anni fa, Christian Raimo racconta che i due fratelli picchiatori quando è cominciata la lite se ne stavano in camporella con tre ragazze; un messo li ha raggiunti dicendo che era necessario il loro intervento, e le ragazze stesse han trovato naturale che i due mollassero immediatamente quel che stavano facendo per correre a “sistemare le cose”. Prima la lotta, poi l’amore.

Ettore, in un passo famoso dell’Iliade, saluta con straziante dolcezza la moglie e il figlio, ma sa che prima viene il combattimento. Che un uomo anteponga la competizione all’amore è segno di forza d’animo, se lo fa una donna, sarà “una donna con le palle”, per lei si proverà ammirazione ma anche pena e diffidenza. Una costante in un mare di abissali varianti.

L’uomo si occupa dell’esterno, e se si allontana bisogna obbligarlo a garantire il sostentamento della famiglia, la donna è l’angelo del focolare, e se si allontana il nido è distrutto, dunque non può andarsene. Tocca all’uomo prendere le decisioni: quando Erode pubblica il suo editto, è Giuseppe che decide verso dove la famiglia deve fuggire, anche se Maria è la più coinvolta perché Dio abita nel suo ventre.

Accettare l’abbandono

Poi c’è il macigno più grave di tutti, l’incapacità da parte dei maschi di accettare l’abbandono. Essere lasciati dalla “propria” donna evidentemente provoca una ferita così insopportabile che un uomo preferisce rovinarsi il futuro e uccidere per lavare l’onta; ma dev’esserci qualcosa di ancora più profondo, se accade anche a giovani che non appartengono alle società della vergogna sociale (quelle che disprezzano il cornuto, il mezzo-uomo…).

Se il Femminile (cioè la cura, la maternità, la tenerezza) ti respinge, davanti a te si apre il deserto; la tua vita non ha più significato e dunque nemmeno la vita in generale, quindi uccidere lei è la punizione per chi non ti ha lasciato alternative. Delirio che nasce da un equivoco sul verbo “possedere”: penetrare nel corpo altrui con una parte del proprio corpo non significa che poi quel corpo diventi di tua proprietà.

È banale dirlo, ma più difficile sperimentarlo, cioè provare nel proprio corpo che spesso chi viene penetrato comanda il rapporto molto più di chi penetra. Quando un uomo geloso dice “la mia donna”, vuol dire “la donna di cui ho diritto di fare quel che voglio”; se una donna gelosa dice “il mio uomo” vuol dire “l’uomo che non consentirò a nessuna di rubarmi”; sono due modi entrambi sbagliati ma molto diversi di oggettivare una persona. Senza contare che, quando il desiderio si perverte in sopraffazione, il maschio può contare di solito su una maggiore forza fisica.

Destra e sinistra

Credo che l’offerta di Elly Schlein a Giorgia Meloni, di lavorare insieme per cambiare la cultura sessuale e sentimentale a partire dall’educazione scolastica, sia generosa ma ingenua (o forse troppo maliziosa).

Destra e sinistra non si trovano nella stessa posizione rispetto alla cultura del patriarcato, non si può trascurare questa asimmetria. Il patriarcato è bipartisan, sia chiaro: solo ieri un “compagno” a prova di voto mi diceva “se una ragazza si sente minacciata, deve subito chiedere aiuto al padre, o a un fratello”; ed era appena l’altro ieri che alle feste dell’Unità gli uomini stavano sul palco e le donne in cucina, nel ’68 me le ricordo “gli angeli del ciclostile”.

Però, se accettiamo come dato etimologico che la “gauche” nasca dalla disposizione dei seggi nel parlamento post rivoluzionario francese, il suo fondamento è libertà e uguaglianza: due princìpi facilmente conciliabili con la lotta contro il patriarcato, che invece è il simbolo stesso di una cultura non paritaria, in cui uno dei sessi è sottoposto a tutela. Perfino la fraternità è possibile arricchirla con la “sorellanza”.

Per la destra la decostruzione dei valori machisti dovrebbe essere molto più radicale: la cultura cattolica deve fare i conti con l’ingombrante presenza di un Dio Padre (contro cui la cristiana Michela Murgia ha combattuto con acrobatici argomenti ai limiti dell’eresia) e con l’esclusione delle donne dal sacerdozio, la Patria ha nel nome stesso il segno di un problema, la fraternità è stata a lungo quella dei gruppi maschili, la famiglia è concepita da troppo tempo in maniera tradizionale, o addirittura “naturale”.

Mi chiedo come sarà possibile, in termini normativi, trovare un punto d’incontro che non sia un compromesso all’acqua di rose; davvero pensiamo che la destra possa accettare un docente che insegni ai dodicenni quanto la distinzione netta tra maschio e femmina sia uno stereotipo da combattere, e che la transizione da un sesso all’altro è sempre possibile, o che inviti i maschi in età evolutiva a fare l’esperienza dell’essere penetrati?

Ci si fermerà all’idea astratta del “rispetto” che si deve alla donna, che la destra tradurrà come “essere gentili e non aggressivi” (o magari “le donne hanno sempre una marcia in più”) e citerà ad esempio del proprio concetto di parità la prima presidente del Consiglio donna, che ama farsi chiamare al maschile. Chi stilerà i programmi ministeriali? Chi educherà gli educatori?

La formazione dei sentimenti è più ambigua e intricata di una rivendicazione salariale. La sinistra stessa dovrà misurarsi col deficit di conoscenza storica delle ultime generazioni, evitando che venga scambiato per facile un compito che ha contro di sé secoli (se non millenni) di costume, di letteratura, di psicologia. Pensare di avere troppa ragione, e troppo in fretta, non facilita la vittoria. O si affronta, da entrambe le parti, la cosa dal lato più scomodo, o ci si limiterà alla scorciatoia pilatesca del sorvegliare e punire.

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