Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania


Una scalinata bianca, due lampioni di ferro, una bettola. Dall’interno della bettola viene un ometto vestito come Turi della Cavalleria rusticana e vi tiene compagnia in silenzio. Mormora: «Un giorno o l’altro partirò perchè sono stanco di vivere qui...». Ma non è vero.

Ha i capelli bianchi sotto la coppola da bersagliere, e i baffi neri di lana gli si sono scollati sotto il naso. In quale altro paese potrebbe vivere fino a settant’anni vestito da Turi Macca? Ogni cosa qui accade lentamente o sta immobile con dolcezza. Se sentite una risata o qualcuno che parla a voce alta, egli è catanese.

I catanesi hanno sempre l’aria un po’ tracotante dei padroni, posseggono gli alberghi più eleganti di Taormina, controllano gli altri, le drogherie che fanno i migliori affari, le pompe di benzina, i cantieri edilizi, fanno più rumore e spendono di più. L’ottanta per cento dei clienti del casinò veniva da Catania, e catanese era l’uomo che morì di crepacuore dopo aver perduto l’ultimo milione insistendo sul «due».

Il record delle perdite a «trente-quarante» apparteneva a Vittorio De Sica che ci rimise signorilmente dodici milioni in una sola sera; ma un barone etneo perdette trentacinque milioni in una settimana. Quando gli uscieri misero i sigilli di ceralacca ai tavoli della roulette, pianse come se gli fosse morta la moglie. In effetti quella sera chi avrebbe avuto ben ragione di piangere erano i taorminesi; ma si stavano soltanto azzuffando. Molti si chiedono se la storia del casinò di Taormina sia veramente finita. In realtà siamo in Italia dove nessuna storia può dirsi mai veramente conclusa, gli italiani possiedono risorse inimmaginabili per capovolgere il destino politico delle cose.

Esistono tante leggi in Italia, e spesso così contraddittorie l’una con l’altra, che in definitiva è pressoché impossibile dire quale sia quella prevalente o quella più morale. In Italia il gioco d’azzardo considerato reato in Sicilia, diventa affare di pubblico interesse a Venezia o Sanremo.

Al Sud la roulette è considerata elemento di grave turbamento dell’ordine sociale e della morale cristiana, ma al Nord può essere anche strumento di benessere collettivo.

Peraltro è possibile che per un Pretore il casinò non sia un luogo di devastazione morale, e che invece più autorevolmente un procuratore della Repubblica lo ritenga tale, ed è possibile che il suo gestore sia assolto a Firenze e condannato a Roma, e che due persone imputate di identico reato siano giudicate in maniera diversa da due diversi tribunali, in applicazione di due leggi diverse, anzi di due sfumature diverse dell’identica legge.

Come si fa a dire se la storia del casinò sia finita! Allo stato attuale c’è una sentenza di condanna nei confronti del suo gestore Guarnaschelli, al quale però la corte d’appello ha concesso l’amnistia restituendogli educatamente i soldi sequestrati. Qualunque dovesse essere il verdetto eventuale della Cassazione, si può dire però che ben difficilmente il casinò potrà essere restituito a Taormina. Almeno quel casinò. Uno degli errori fondamentali fu infatti quello d’aver consentito l’iniziativa nell’interesse di un privato.

Guarnaschelli era astuto ma era sospettoso ed era litigioso, era palermitano e aveva la vocazione della regalità, ma anche il gusto dell’avarizia; invece di destinare parte del guadagno in opere pubbliche, voleva pagare le tasse ai cittadini e voleva che glielo chiedessero in modo da poter sapere nome e cognome, era furbo ma cocciuto, non si rese probabilmente mai conto che oramai non si perdona ad un uomo solo di essere troppo ricco.

In definitiva dunque era troppo debole, indifeso, per poter resistere sul piano giuridico, e soprattutto politico e morale, all’attacco che gli avrebbero sferrato.

A Venezia, Sanremo, Saint Vincent le case da gioco sono infatti di proprietà degli enti locali, i quali incassano circa la metà degli utili netti, destinandola teoricamente ad opere di pubblico interesse.

E’ difficile abbattere un’iniziativa, sia pure in contrasto con il codice penale, quando dietro c’è schierato l’interesse di una intera città, l’economia turistica di un’intera zona, l’avvenire di migliaia di operatori economici.

A Taormina non solo era un privato, ma la sua era una continua zuffa con coloro che avrebbero dovuto essere suoi alleati; litigavano per le tasse, i contributi, le opere da costruire, gli orari, le regalie, le assunzioni, davano l’impressione di gente che avesse insperatamente trovato un gruzzolo per terra e si stesse picchiando per dividerselo alla meglio, più rapidamente possibile, prima dell’arrivo dei questurini.

In realtà Taormina avrebbe dovuto comunque far suo quel casinò, in collaborazione con quel privato, con una municipalizzazione, con un gesto di forza, un’iniziativa clamorosa, un accordo prima ancora che si arrivasse allo sbaraglio.

Ma è vero anche che Taormina non era matura per questo: per sua stessa natura Taormina ha un’opinione pubblica flaccida, sonnolenta, remissiva, estremamente paga delle cose che già possiede.

I taorminesi arrivano a venti chilometri da casa loro e constatano con un brivido di spavento qual è ancora la vita della gente a Maletto, Ali Marina o Passopisciaro e tornano allora a chiudersi in cima alla loro collina, nel loro quieto tepore di benestanti. Hanno il bar, la pensione, la bottega di cocci e spade antiche, cinque stanze da affittare per otto mesi l’anno al forestiero.

Non c’è niente per cui valga la pena di rischiare, meno che meno per il casinò che bloccava il visitatore a metà della costa, lo distraeva, lo spogliava dei soldarelli che altrimenti quello sarebbe venuto a spendere sù.

A Taormina non c’è nessuno veramente ricco, ma lavorano quasi tutti senza molta fatica, guadagnano quel che basta, vivono amabilmente. Le barricate sono scomode e rischiose.

I Taorminesi tuttavia si lagnano, ma flebilmente, con la docile educazione che è nel loro carattere. Gli alberghi dicono sono troppi e la loro stagione dura solo quattro o cinque mesi l’anno. I proprietari dei ristoranti lamentano la concorrenza delle bettole che offrono un pranzo a sole seicento lire; le boutique affannano sotto il peso delle tasse, i bar non possono pagare il personale.

La verità è che a Taormina non esiste una categoria di commercianti, una di bottegai, un’altra di droghieri, un’altra ancora di negozianti, di operatori turistici, di impiegati, di operai.

Quasi sempre chi ha un impiego mette su anche una pensione, oppure una bottega per vendere chincaglie di folklore; chi ha un ristorante ha magari una drogheria in un’altra parte della città; chi possiede due ettari di terra gestisce anche una piccola pensione di dieci stanze in un angolo della collina.

Certo ogni bottega di antiquario ha solo pochi e diffidenti clienti, ma in mezzo chilometro di strada ci sono però cinquanta negozi identici, che vendono le stesse cose: pistole arrugginite, alabarde, ceramiche, sciaboloni da carabiniere, fanali di carretto, pupazzi di legno, campanule di ferro battuto, brocche e maioliche.

Gli alberghi di lusso lavorano solo quattro mesi, ma in ogni strada, traversa, cortile, vicolo di Taormina c’è un minuscolo albergo, un ostello, una pensione, Zimmer, Chambre, Room. Dove non c’è un antiquario, c’è un piccolo caffé, oppure un ristorante, o una locanda. Negli ultimi anni, in cui tutti i centri siciliani sono stati tragicamente spopolati dall’emigrazione, la popolazione di Taormina è aumentata di duemila unità. Il benessere è sbriciolato in una miriade di minuscole attività economiche, in una grande confusione di idee.

La sera in cui il casinò venne chiuso, la popolazione di Taormina avrebbe dovuto tenere una roulette in piazza, invece per poco non si picchiarono a sangue gli uni e gli altri, poiché tutti parlavano a voce alta e nessuno riusciva a capire esattamente cosa gli altri volessero. In linea di massima i più erano contenti: dicevano che i turisti sarebbero ora tornati su a spendere il loro denaro. Altri dicevano che sarebbe stato il Comune a fare il casinò.

Poi se ne andarono tutti a dormire. Hanno perduto la più grande occasione della loro vita, ma non si disperano molto. Anche questo fa parte del loro personaggio. Un casinò efficiente procura un guadagno lordo di circa tre miliardi annui. Se l’iniziativa fosse del Comune, ad esso andrebbe in ogni caso almeno un miliardo netto.

Significa che Taormina potrebbe costruire ogni anno nel suo territorio due grandi piscine olimpioniche, una delle quali coperta, dieci campi di tennis con tutte le attrezzature, e trasformare in giardino pubblico tutta la vallata che scende fino a Mazzarò. Questo per il primo anno.

Nel secondo si potrebbe costruire un grande parcheggio sotterraneo, creare un parco sulla montagna, una strada di circonvallazione. Ognuna di queste opere provocherebbe un naturale, incessante incremento del turismo, nuove e più moderne iniziative alberghiere, mondane, sportive, balneari.

Taormina non sarebbe più un villaggio sul cocuzzolo di una affascinante montagna, ma una grande plaga che irresistibilmente tenderebbe ad allargarsi verso le grandi spiagge di Letojanni e verso il Sud, le stagioni turistiche diventerebbero di nove o dieci mesi. Ma stiamo parlando di cose del Sud, cioè di favole. Qui ognuno pensa alla bottega sua, è animato da un’ inesausta volontà di fare continuamente qualcosa, ma solo nel suo interesse.

Taormina è un affascinante angolo della terra, un luogo miracoloso fiorito nel Sud non per una forza irresistibile delle cose, per una volontà acre degli uomini, ma per una divagazione sensuale di baroni tedeschi, una specie di bizzarra, dolcissima frontiera che il Sud ha creato dentro se stesso per il gusto di andare sull’altra faccia della terra, percorrendo solo cinquanta chilometri. Ma il suo problema, anzi la sua maniera di risolvere i problemi, resta sempre quella del vecchio Sud.

A Taormina è stato realizzato negli anni scorsi uno splendido campo sportivo che avrebbe dovuto ospitare manifestazioni agonistiche ad alto livello; ma non c’è la strada per arrivarci in auto, non c’è recinzione del terreno di gioco. La funivia che possa condurre il turista dalla collina fin sulle spiagge, sta per essere realizzata con un ritardo di almeno venti anni, ed ancora non è pronta.

Taormina è l’unica zona turistica dell’intero Mediterraneo che non abbia una piscina olimpionica atta alle manifestazioni agonistiche (ha tradizioni natatorie gloriose, ma gli atleti si allenano ancora tra due cadenti moli di legno, nel golfo di Mazzarò).

Non c’è un parcheggio capace di ospitare più di duecento automobili sicchè, talvolta, il visitatore deve abbandonare la sua vettura a metà della collina e percorrere due o tre chilometri a piedi per arrivare in cima.

Non esiste una strada che conduca verso l’interno della vallata, né un teatro capace di ospitare una grande manifestazione d’arte (sono stati stanziati finora cento milioni per costruirne uno, ma ci vuole ancora mezzo miliardo).

Taormina onora il turismo italiano come Venezia o Firenze, e più di Sorrento o Portofino, ma ha avuto dallo Stato soltanto molliche, ha avuto elemosine o promesse alla stregua di Randazzo o Niscemi o qualsiasi altro paese del Sud.

Non ha niente di tutto quello che avrebbe dovuto avere e tutta la sua organizzazione turistica è frammentaria, difettosa.

Perchè un’autostrada arrivasse a Taormina ci sono voluti dieci anni di furiose polemiche, di querele, di crisi, il patetico e confuso sforzo dei Comuni e delle amministrazioni provinciali. Nel porto possono gettare l’ancora a malapena gli aliscafi, e non c’è una strada che conduca alle immense spiagge che si aprono verso il Sud. Lo Stato non sa esattamente cosa sia Taormina, o dove. Non ci sono scandali edilizi, non c’è mafia, né popolazioni turbolente, non c’è miseria, nemmeno molti voti da raccattare. Al diavolo!

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