Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Come si svolgeva l’attività quotidiana? Il pool aveva un calendario preciso. Ogni lunedì ci riunivamo nella stanza di Giovanni Falcone per fare il consuntivo della settimana precedente, riferendo sull’esito delle indagini, e per programmare quella che iniziava, decidendo quali attività ognuno di noi avrebbe dovuto svolgere. All’occorrenza, ci ritrovavamo anche nel corso della settimana.

Ciascuno di noi quattro (ma in seguito pure Gioacchino Natoli, Ignazio De Francisci e Giacomo Conte, entrati a fare parte del pool dopo il trasferimento di Paolo Borsellino a Marsala), quando rientrava dalle frequenti rogatorie in Italia o all’estero, disponeva che copia degli atti istruttori fosse recapitata agli altri colleghi, con sopra un post-it sul quale era annotato, per esempio, “A Leonardo, per parlarne”.

Va detto che il pool antimafia non era un organo giudiziario previsto dall’allora vigente codice di procedura penale; la sua costituzione era stata resa possibile dalla facoltà riservata al consigliere istruttore, ai sensi dell’articolo 17 delle Disposizioni Regolamentari del codice di rito, di delegare a ognuno di noi le stesse indagini.

La strategia che si voleva attuare era, dunque, di affidare a un gruppo di magistrati, all’inizio davvero esiguo (come dicevo, noi quattro più il consigliere), tutte le indagini sulla criminalità organizzata comune e di tipo mafioso, in modo che ognuno di noi espletasse quelle assegnategli, ma i risultati venissero portati a conoscenza degli altri colleghi, affinché un prezioso patrimonio di informazioni non andasse disperso ‒ come spesso era accaduto in passato – e servisse anzi per prendere decisioni congiunte, a partire da una visione globale delle strutture e dei dinamismi di Cosa nostra, e anche per minimizzare i rischi personali.

Dunque, la filosofia del pool si basava sulla constatazione che, essendo quella consorteria un’organizzazione unitaria e verticistica fatta di mandanti ed esecutori materiali, era necessario accumulare, elaborare notizie e dati che consentissero ai componenti del pool di avere una visione complessiva del fenomeno mafioso, e nel contempo di affinare la propria professionalità.

Questa strategia non avrebbe avuto successo se non avessimo avuto, con tutte le nostre forze e capacità, l’obiettivo comune di restituire la Sicilia ai siciliani onesti, senza gelosie, invidie, smanie di protagonismo, tutti per uno e uno per tutti, tetragoni a ogni tentativo esterno di fomentare zizzanie e malcontento tra noi.

Sui criteri seguiti per la selezione dei componenti del pool e sull’unico, comune, superiore interesse perseguito fin dalla sua costituzione, e ribadito con fermezza, si soffermò poi Giovanni Falcone nel corso della sua audizione del 31 luglio 1988 davanti la Prima Commissione Referente del Consiglio Superiore della Magistratura, quando scoppiò il cosiddetto “caso Palermo”, su cui ritornerò, e le tensioni tra Csm e pool antimafia erano ormai molto forti.

“Quando si è costituito il pool, poiché già sapevamo quali sarebbero stati gli attacchi esterni per cercare di sgretolarlo, per cercare di inserire problemi di attrito, abbiamo curato di fare in modo che tutte le componenti ideologiche e culturali della magistratura fossero presenti, e abbiamo lavorato insieme e continuiamo a lavorare, almeno fino a questo momento, in pieno accordo mettendo da parte totalmente problemi che non siano esclusivamente istituzionali”.

Due sono gli elementi che hanno caratterizzato l’azione del pool.

Accanto all’intenso scambio di informazioni, c’era lo sviluppo di quello che poi sarebbe stato mediaticamente inteso come “il metodo Falcone”.

Si tratta di un modo di procedere che, in seguito, è stato adottato dalla magistratura inquirente, facendo tesoro delle intuizioni di Giovanni.

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