Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Lì dentro c’era l’“altra” Palermo, quella che non faceva puzza di morte e di mafia, quella lontana dai labirinti dove i poteri s’incastravano uno con l’altro fino a confondersi. Dove le Eccellenze e i Commendatori a volte avevano lo stesso sguardo famelico dei malacarne che s'incrociavano a Santa Maria del Gesù o ai Danisinni, alla Vergine Maria, alla Cala. La città che si mischiava nella sua sporcizia.

Il bunker, così buio e tetro, sembrava un luogo sicuro. Nonostante quei fucili mitragliatori che imbracciavano i ragazzi delle scorte. E poi c’erano loro, in carne e ossa, veri, C’era Angelo Crispino, maresciallo della Guardia di Finanza, un sorriso enigmatico e insieme affettuoso, una parete di legno e dietro la parete i segreti finanziari della Sicilia, conti, numeri, prestanome, denaro che passava dalle mani di un mafioso a quelle di un galantuomo.

E poi c’era anche Paparcuri, Giovanni, che era l’autista saltato in aria il 29 luglio del 1983 con il consigliere Rocco Chinnici ma che ‒ inabile alla guida per i burocrati del Ministero ‒ era diventato abilissimo nel maneggiare i primi computer. Il cervello informatico del pool. E poi, ancora poi, il confine con i giudici. Giuseppe Di Lello. Paolo Borsellino. Giovanni Falcone. E lui, Leonardo Guarnotta.

Da oggi sul nostro Blog Mafie pubblichiamo alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore. Qui si racconta non soltanto cosa è stato per l’Italia il pool antimafia di Palermo, ma fra le pagine viene svelato anche un backstage denso di sentimenti e di emozioni. Un “dietro le quinte” fatto di piccoli gesti, di parole, di paure. E di riti. Come la solita frase con la quale Falcone lo salutava la sera a fine lavoro, prima di oltrepassare al contrario la porta blindata e un po’ scrostata che delimitava la frontiera con il resto di Palermo: “Leonardo, guarda che si è fatto tardi ...togliamo il disturbo allo Stato”.

Il disturbo allo Stato. Ironia e profezia.

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