«Abbiamo programmi e dei progetti diversi, altrimenti la gente non ci segue più». Giuseppe Conte apre una diretta su X per negare l’evidenza: non è lui a mettere le condizioni per restringere l’alleanza, è Carlo Calenda a essere indigeribile. Parla della Basilicata, dove per le imminenti regionali si è chiuso un accordo (tuttora traballante) sul nome del dem Piero Marrese, presidente della provincia di Matera. Ma “senza Calenda” ha tutta l’aria di essere un principio che da ora in avanti varrà su ogni tavolo giallorosso.

L’ex premier se la prende con la gaffe di Marcello Pittella, che in un audio diventato virale ha detto di essere stato trattato da Pd e M5s come «gli ebrei» portati «nelle camere a gas». Uscita infelice, Pittella si è scusato, ha spiegato che si trattava di un audio «privato». Conte non vuole commentare neanche «quel paragone». Per lui il vero tema è che in quella registrazione si parla anche «di pacchetti di voti trasferiti da questa famiglia Pittella. I cittadini sono trattati come merce. Non potremo mai associarci a questo tipo di politica. Lo dico a Calenda: come si può pretendere di entrare nelle forze progressiste quando con frasi triviali dice di voler distruggere e prendere a calci i Cinque stelle? Avevi detto che ti faceva orrore questo modo di fare politica, ora è il tuo».

In Basilicata, dunque, la questione è chiusa, anche se Conte lancia segnali che sembrano rivolti pure al Pd: «Si può essere in coalizione con Azione, che vuole più inceneritori e più trivellazioni?». Comunque «alla fine abbiamo trovato un candidato di cui siamo soddisfatti, Marrese. Attorno a questo progetto abbiamo coagulato vaste forze politiche. Non è stato possibile allargare ulteriormente, ma gli allargamenti non devono andare mai a scapito della coesione». Messaggio anche per Angelo Chiorazzo, l’ex candidato presidente che ancora non si è rassegnato a Marrese? Forse.

Il piano di Chiorazzo

A ieri pomeriggio a Potenza i pochi che avevano parlato con Chiorazzo riferivano versioni diverse sulle sue intenzioni. «Piano piano capirà che deve stare in coalizione», secondo un dirigente locale del Pd. «Al momento non si candida», nella versione di un dirigente nazionale. Marrese, ultima scelta in extremis di Pd, M5s, Avs, socialisti e Basilicata possibile, non convince l’imprenditore. Che ora sta decidendo che fare. Una corsa in solitaria sarebbe una sfida per il secondo posto, arrivare terzo lo metterebbe a rischio di non entrare neanche in consiglio regionale.

Italia viva e Azione invece si sono ormai avviati a destra, a sostegno dell’uscente forzista Vito Bardi. Per il partito di Matteo Renzi la scelta era scontata, per quello di Calenda in realtà anche, malgré soi, visto che i grillini hanno accettato un candidato dem solo a condizione di mantenere il perimetro stretto dell’alleanza: dunque sul modello sardo, a “tridente”. Quello che ha portato alla vittoria Alessandra Todde (che va verso la proclamazione a presidente dell’isola: ieri alla Corte d’Appello di Cagliari si sono finalmente chiusi tutti i conteggi, dal suo comitato fanno sapere che il divario con Paolo Truzzu è di 3.061 voti). E non sul modello abruzzese, il “campo largo” con tutti dentro, che ha portato alla sconfitta di Luciano D’Amico.

In Piemonte gialli contro rossi

Averla spuntata al tavolo della Basilicata ha galvanizzato Conte. E così i grillini tentano il “contagio” anche nei territori dove gli accordi sarebbero già chiusi e sigillati.

Per esempio in Piemonte. Lì un accordo interno al Pd fra maggioranza di rito schleiniano e ala riformista ha portato alla scelta unitaria di Gianna Pentenero, assessora del comune di Torino. Dopo la scelta del suo nome, i Cinque stelle hanno finto sorpresa per una trattativa, nella loro versione, interrotta all’improvviso. Non è così: l’indisponibilità agli accordi del movimento piemontese è evidente da tempo. Nelle ore scorse è circolata la voce che il Pd potesse rinunciare a Pentenero per un nome condiviso con M5s. In realtà la dem e Sarah Disabato, capogruppo grillina in regione e coordinatrice regionale, si sono incontrate. La seconda ha offerto un ulteriore scampolo di trattativa, ma a condizione del ritiro di Pentenero. Per il Pd non è praticabile: provocherebbe una rivolta interna.

Nella stessa diretta su X, Conte ha chiuso la partita: lì, cioè in Piemonte, «abbiamo avuto difficoltà oggettive a convergere su punti programmatici. La giunta di Torino va in direzione opposta a quella di Appendino. Il M5s designerà una propria candidata» e amici come prima, «il Pd non diventerà un nemico, ma un concorrente». Chiara Appendino prova convincere Guido Saracco, ex rettore del Politecnico: un nome che potrebbe sfilare voti ai dem.

Il successo al tavolo lucano ha caricato l’ex premier e reso sempre più taciturna la segretaria Pd, la cui strategia esce ammaccata dal pasticcio della Basilicata. L’entusiasmo della vittoria sarda è svanito. Viceversa Conte ha imposto il suo schema e sente di avere il vento in poppa: pazienza se con probabilità di vittoria prossime allo zero. Un fatto che non sembra preoccupare nessuno a Roma.

Conte ora prova a sparigliare su altri tavoli. Per esempio quello per il sindaco di Firenze. Lì Paola Taverna, la sherpa degli accordi locali, sta facendo un tentativo di entrare nell’alleanza che sostiene la candidata Pd Sara Funaro. Ma se un allargamento su qualche punto programmatico sarebbe ancora possibile (anche se le distanze sono forti per esempio sull’aeroporto, sulla Tav e sulla Multiutility), restano sbarrate le porte alla pretesa di cacciare Azione dalla coalizione (che è formata anche da +Europa, Europa verde e Sinistra italiana). Sempreché non arrivi l’ennesimo contrordine dal Nazareno. Come è successo in Basilicata, con risultati disastrosi.

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