Per Pd e M5s «io sono un ebreo che deve morire». Marcello Pittella, ex presidente della Basilicata e volto di Azione in regione, a valle della trattativa complicatissima che si è consumata negli ultimi giorni sul candidato del centrosinistra, si è rivolto così in un audio privato ai suoi colleghi di partito. Parole per cui a stretto giro si è scusato, parlando di «giorni di stress e tensione emotiva» che «hanno generato una ingiustificata e totalmente non voluta iperbole».

Resta da registrare il dato politico: Azione sosterrà il candidato del centrodestra Vito Bardi. Dopo il via libera di Italia viva, anche il partito di Carlo Calenda sceglie di appoggiare l’uomo di Forza Italia. Pittella nell’audio tradisce una certa sofferenza nella scelta: «Aderiamo al centrodestra, con tutte le difficoltà del caso solo per una ragione programmatica».

Per il figlio di una dinastia socialista, è un boccone amaro da mandar giù. Ma l’aspirazione di Pittella ha dovuto fare i conti con la chiusura definitiva di Giuseppe Conte al campo largo. Sabato sera – dopo che Domenico Lacerenza aveva ritirato la propria candidatura – l’ex premier spiegava che «non saremo mai in Basilicata con le famiglie che governano da quarant’anni, non le appoggeremo». Il riferimento era chiaro a tutti.

Dopo aver brevemente esplorato l’opzione di un terzo candidato per le regionali del prossimo 20 e 21 aprile, l’ex terzo polo si è ritrovato paradossalmente compatto nella scelta di appoggiare Bardi: andare da soli non ha funzionato troppo bene in Sardegna, dove Renato Soru è rimasto addirittura fuori dal Consiglio regionale. E allora, i partiti di Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno autonomamente scelto di convergere su un azzurro.

«È un uomo delle Istituzioni molto serio. Noi stiamo con Bonaccini o De Luca in un’alleanza di centrosinistra, possiamo ben sostenere un sindaco riformista come Bucci a Genova o un amministratore come Vito Bardi a Potenza» ha detto Matteo Renzi. Il discrimine, spiega la senatrice Lella Paita, è nell’identità del candidato. E sembra improbabile che l’alleanza locale possa essere replicata a livello nazionale, almeno per il momento. «Siamo e resteremo all’opposizione del governo Meloni».

Orizzonte grande centro?

Insomma, niente grande centro, che pure era l’idea originaria del Terzo polo. All’epoca, però, Forza Italia era esangue. Silvio Berlusconi era ancora in vita, ma nulla lasciava immaginare il rilancio che gli azzurri stanno vivendo negli ultimi mesi. Con il partito di Antonio Tajani in grande ripresa, invece, lo spazio a disposizione dei centristi si riduce drasticamente. Forza Italia ha portato a casa il 13,4 per cento in Abruzzo (circa quattro punti percentuali in più) e ha tenuto in Sardegna con il 6,3 per cento (in lieve calo dall’8 di cinque anni fa). I moderati sembrano essere nuovamente attrattivi, anche se gli effetti per il momento non premiano Azione e Iv. In Sardegna, Azione si è fermata all’1,5 per cento (Iv non ha presentato sue liste), in Abruzzo Azione ha preso il 4 per cento, Iv, parte di Riformisti e civici, il 2,8 per cento.

Da Forza Italia gongolano per essere tornati rilevanti e puntano a soffiare il posto di secondo parìtito della coalizione alla Lega. «Se son rose fioriranno» commenta un dirigente di primo piano. L’interesse suscitato da Bardi nei partiti di centro non è passato inosservato. E, come succede nelle storie d’amore, a tutti piace essere desiderati. Anche se gli azzurri sono ben consapevoli dei rischi. «Basta che non facciamo la fine della sora Camilla», che tutti la vogliono e nessuno se la piglia.

Le sovrapposizioni su alcuni temi ci sono, ma per altri Azione e Iv restano più affini al centrosinistra. E mentre Iv pone l’accento su ciò che distingue i renziani dalla maggioranza – «Forza Italia sta con i sovranisti e sta rinunciando a una vera riforma della giustizia» dice Paita –, Carlo Calenda spiega che è disposto ad appoggiare i provvedimenti in cui si ritrova. Una posizione che però non influisce sulla linea del partito: «La Basilicata non cambia nulla. Il nostro obbligo è sempre quello di cercare prima l’accordo con le forze di opposizione».

Una massima che vale anche sui territori, salvo veti, anche se, dice Calenda, «non darò mai il mio appoggio a candidati di estrema destra». Anche l’ex ministro ci tiene a sottolineare le differenze con FI: «Intendiamo la politica in maniera differente. Il nostro scopo rimane quello di crescere tanto da spaccare il bipolarismo italiano». L’adesione di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna non dimostra una certa affinità? «Chi è venuto da noi è scappato da quel progetto, crede nel nostro e ha dimostrato la propria lealtà appoggiando anche candidati di centrosinistra: non mi pare ci siano rimpianti» continua Calenda. Che però non si espone sulle prossime regionali. In Piemonte, a giugno, c’è un altro forzista candidato, Alberto Cirio. «Vediamo se il veto su di noi ci sarà anche in Piemonte». Insomma, il primo interlocure resta il centrosinistra, qualsiasi perimetro abbia. Anche se a Torino segnalano come il front-man di Azione in Piemonte sia un altro ex azzurro: Osvaldo Napoli, grande punto di riferimento della destra moderata del nord ovest.

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