Pax meloniana sulla manovra, Tajani sconfitto sulle banche

Sorrisi di circostanza, partiti impegnati a rivendicare le misure bandiere e leader intenti a lanciare messaggi rassicuranti. All’insegna della «serenità e del buonsenso», per usare le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. La pax sulla legge di Bilancio porta la firma della leader di Fratelli d’Italia. La manovra economica da 18 miliardi di euro è stata approvata dal Consiglio dei ministri, dopo le tensioni delle ultime ore. Il testo ancora non c’è, secondo fonti governative arriverà nelle prossime ore. E i malumori non sono andati in archivio con il via libera a palazzo Chigi. Anche perché bisogna individuare i capitoli da cui verranno prelevati i 10 miliardi di euro di tagli, che finanzieranno le risorse inserite nella legge di Bilancio (altri 8 miliardi sono ricavati dai maggiori introiti). Mentre in parlamento, soprattutto al Senato dove inizierà l’esame del testo, si guarda con attenzione alla dotazione del cosiddetto fondino, il plafond per coprire le spese incluse negli emendamenti. Ma non saranno più di 200/250 milioni di euro. Briciole che alimenteranno gli scontri. Sulla manovra il governo ci prende in giro, ma l’opposizione ci casca La sconfitta di Tajani Intanto il «sacrificio» chiesto alle banche e alle assicurazioni resta una questione divisiva: l’intesa finale prevede, tra le varie cose, un aumento dell’Irap al contrario della versione fornita da Forza Italia che aveva negato ritocchi dell’imposizione fiscale. Una narrazione di comodo necessaria per non ammettere la sconfitta politica sul contenuto della legge di Bilancio. Le incognite, quindi, restano. Una parte del contributo dovrebbe essere di natura volontaria: il governo ha abbassato dal 40 per cento al 27,5 per cento la tassazione per incassare i dividendi, puntando a stimolare la decisione. Ma il raggiungimento degli 11 miliardi di euro nel triennio è più un auspicio che un dato di realtà. La vera notizia della giornata è stata la presenza in conferenza stampa della premier Meloni, notoriamente allergica al confronto con i giornalisti. Ma in questo caso era inevitabile. Al suo fianco i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, oltre al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Meloni ha parlato di 8 miliardi di investimenti per le imprese e ha rivendicato l’investimento di un «miliardo e 900 milioni di euro sui salari per tagliare dal 5 all’1 per cento la tassazione dei premi di produttività, detassando le componenti dei turni notturni e festivi». Una serie di interventi che non sembra un’adeguata risposta all’appello lanciato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sull’emergenza salariale. Migliaia di famiglie stanno finendo «sotto la soglia di povertà», mentre «i super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese», ha detto il capo dello stato. Parole che danno forza al rilancio delle opposizioni sul salario minimo. «L’Italia resta l’unico grande paese europeo senza salario minimo», ha ricordato il senatore del Pd, Antonio Misiani. Il governo promette salari più alti, ma i contratti si rinnovano solo a chi conviene Pensioni e libri Tornando alle misure della manovra, c’è il ritocco alle pensioni minime: «Un incremento di 20 euro mensili mentre la sterilizzazione è confermata con un mese in più di aspettativa dal 2027 e altri due mesi dal 2028», ha detto Giorgetti. Dando la conferma che non ci sarà lo stop all’aumento dell’età per andare in pensione: un boccone indigesto per Salvini. La senatrice del M5s, Mariolina Castellone, ha subito preso come bersaglio il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, che aveva garantito lo stop all’innalzamento dell’età pensionabile: «Consiglio di smetterla di fare promesse. L’unica cosa che devono fare è chiedere scusa agli italiani che hanno preso in giro». Il leader della Lega può consolarsi con la rottamazione quinquies delle cartelle. «Sarà aperta a tutti coloro che hanno dichiarato ma nonhanno versato», ha ribadito Giorgetti, respingendo la definizione di «condono» perché non è destinata a «chi ha evaso i contributi al fisco». Tajani, uscito ridimensionato dalla partita-banche, conferma il taglio dell’Irpef per i redditi fino a 50mila euro. Ma lo sgravio si estenderà (con un beneficio intorno a 440 euro annui) fino a 200mila euro. Il nuovo fronte di rivendicazione del governo è, infine, quello per le famiglie: in manovra ci sarà 1,6 miliardi di euro. L’intervento più imponente riguarda il calcolo dell’Isee, che eleva la soglia di esclusione della prima casa e modifica i meccanismi per i nuclei familiari con più figli. Per il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, l’insieme di misure è un «secchiello» con cui il governo pensa di «affrontare lo tsunami che colpisce milioni di italiani». Ma ancora prima della diffusione del testo della manovra, cominciano i primi malumori delle categorie dimenticate dal testo. «Siamo delusi che nella legge di Bilancio non abbia trovato spazio la detrazione della spesa per i libri scolastici», ha commentato il presidente dell’Associazione italiana editori, Innocenzo Cipolletta. E appena finita la concordia da conferenza stampa, è pronta a partire la rumba delle tensioni tra i partiti di maggioranza. Il cammino della manovra in parlamento ancora deve iniziare. Se il 5x1000 finisce allo stato: il governo concede un tetto più alto, ma per le associazioni non basta