La decisione del Consiglio dei ministri sullo stato di emergenza - deliberato l’11 aprile scorso «in relazione al forte incremento dei flussi migratori verso l’Italia», al «sovraffollamento nei centri di prima accoglienza» e alle previsioni di «un ulteriore incremento delle partenze nei prossimi mesi», è stata sin dall’inizio poco chiara.  Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, qualche giorno dopo la deliberazione, aveva affermato che in realtà non c’è un’emergenza migranti e che la dichiarazione di tale stato era solo una «formula tecnica».

Come avevamo rilevato su queste pagine, quanto sostenuto dal ministro, oltre a contrastare con la “narrazione” del governo, poneva un problema sul piano giuridico: se non c’è una reale emergenza da affrontare, manca la base di fatto che giustifica la situazione derogatoria al diritto che si determina con lo stato di emergenza. Ma questa è stata solo la prima di una serie di singolarità connesse con la dichiarazione di tale stato.

La delibera dello stato di emergenza

Dal giorno successivo alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, abbiamo monitorato quotidianamente la Gazzetta Ufficiale, dove è previsto siano pubblicati gli atti che «interessino la generalità dei cittadini e la cui pubblicità risponda ad esigenze di carattere informativo diffuso» (art. 18, c.1, T.U. 1092/1985). Tra questi atti può farsi rientrare la decisione di uno stato di emergenza nazionale. Tant’è che, attraverso la Gazzetta Ufficiale, è stata data informazione delle delibere relative a precedenti emergenze.

Peraltro, trattandosi di un provvedimento relativo a una situazione di urgenza, ci si aspetterebbe che sia noto in tempi quanto più solleciti. Ma la delibera dovrebbe anche essere pubblicata sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio, presso cui è incardinato il Dipartimento per la Protezione Civile, ai sensi del cosiddetto decreto Trasparenza (d. lgs. n. 96/2016), rientrando tra i «provvedimenti di carattere straordinario in caso di calamità naturali o di altre emergenze» (d.lgs. 33/2016, art. 42). Invece, al momento sul sito del governo si può leggere solo il comunicato relativo allo stato di emergenza, che però non vale come fonte del diritto, anche se negli ultimi anni – specie in pandemia – si è provato surrettiziamente ad ampliare tali fonti. Ma quanto a singolarità non è tutto.

La nomina del Commissario per l’emergenza

Il 19 aprile è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera, datata 16 aprile, di nomina del Commissario per l’emergenza migranti. Si tratta dell’ex prefetto di Firenze, Valerio Valenti, attualmente a capo del Dipartimento libertà civili immigrazione presso il ministero dell’Interno. Quindi, la nomina del Commissario per l’emergenza è stata formalizzata in Gazzetta, mentre non la è stata la deliberazione dell’emergenza, che è precedente ad essa e ne costituisce la base. L’incongruenza cronologica si traduce in un’incongruenza giuridica.

Ma c’è una singolarità ulteriore. Quattro regioni, guidate dal centrosinistra, non hanno firmato l’intesa per la nomina del commissario: sono Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia. L’accordo con le regioni è previsto dal cosiddetto Codice della protezione civile (d.lgs. n. 1/2018): «per il coordinamento dell'attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale si provvede mediante ordinanze di protezione civile (…) emanate acquisita l'intesa delle Regioni e Province autonome territorialmente interessate». Dunque, lo stato di emergenza è «sull’intero territorio nazionale», ma il Commissario per l’emergenza non ha poteri su tale territorio, non potendo operare nelle regioni da cui non è riconosciuto. Le conseguenze di quest’ennesima singolarità sono singolarità ulteriori.

Le norme derogabili con l’emergenza

Nel commentare l’attuale stato di emergenza, avevamo rilevato come la possibilità di derogare ad alcune disposizioni del Codice degli appalti per la predisposizione di strutture di accoglienza sarebbe stata possibile anche senza la dichiarazione dello stato di emergenza. Infatti, in casi connotati da urgenza è possibile l'aggiudicazione senza previa pubblicazione del bando di gara (art. 63); inoltre, quando ricorrano «circostanze di somma urgenza che non consentono alcun indugio», si può procedere all'immediata esecuzione dei lavori o di quanto indispensabile per rimuovere uno stato di pregiudizio, entro il limite massimo di 200.000 euro col vecchio Codice appalti (art. 163), di 500.000 euro col nuovo Codice, a partire dal prossimo luglio (art. 140).

Queste norme in deroga sono richiamate dall’ordinanza di nomina del Commissario, che quindi potrà avvalersene. Ma, come detto, sono norme a cui si può ricorrere anche al di fuori dello stato di emergenza, e pertanto potranno essere utilizzate anche nelle regioni che non hanno firmato l’intesa sul Commissario, in base alla motivazione dell’urgenza di realizzare sollecitamente «nuove strutture, adeguate sia alle esigenze di accoglienza sia a quelle di riconoscimento e rimpatrio dei migranti».

Dunque, se pure in tali regioni il Commissario non potrà operare, alcuni dei suoi poteri derogatori al Codice appalti potranno comunque essere esercitati da altri soggetti, in quanto ciò è ordinariamente previsto dalla normativa vigente quando vi siano determinati presupposti. Questo dovrebbe indurre a farsi domande – che su queste pagine già ci eravamo fatti – sull’effettiva utilità di ricorrere alla dichiarazione dello stato di emergenza sui migranti, peraltro affrontando in modo emergenziale un fenomeno che richiede invece soluzioni strutturali.

I poteri del Commissario e dei prefetti

L’ordinanza di nomina prevede, tra le altre cose, che il Commissario– avvalendosi dei prefetti in qualità di “attuatori” - coordini le attività per ampliare la capacità del sistema di accoglienza dei migranti, specie riguardo agli hotspot, nonché per predisporre strutture di accoglienza provvisorie, coinvolgendo i territori interessati e assicurando che si provveda a vitto, alloggio, vestiario, assistenza sanitaria e mediazione linguistico-culturale. Ma – come fa notare Openpolis - per svolgere questi compiti a Valenti non serviva essere nominato Commissario per l’emergenza. In quanto vertice del Dipartimento Diritti Civili e Immigrazione, tra le sue competenze rientra – come si legge sul sito del Viminale – quella di «garantire l'accoglienza e l' assistenza dei richiedenti asilo nonché il primo soccorso agli  immigrati irregolari sbarcati o rintracciati sul territorio nazionale»: in sintesi, la stessa competenza che gli viene attribuita dall’ordinanza di nomina.

A questo riguardo, c’è ancora un’altra singolarità. Anche nelle regioni che non hanno riconosciuto il suo ruolo di Commissario, Valenti potrà comunque avvalersi dei prefetti, ma non in qualità di soggetti attuatori, bensì come longa manus del ministero dell’Interno sui territori. In altre parole, a Valenti basterà cambiare “cappello” – da Commissario a capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale – ed egli potrà comunque impartire direttive per l’accoglienza degli immigrati ai prefetti delle regioni che non lo hanno accettato come Commissario. E non è tutto.

Anche senza le direttive di un Commissario per l’emergenza, i prefetti avrebbero i poteri per agire: la legge del 2015 sull’accoglienza dei rifugiati (d.lgs. 142, art. 11) prevede che, nel caso in cui manchino posti all’interno dei centri di prima accoglienza «a causa di arrivi consistenti e ravvicinati», i prefetti possano disporne l’accoglienza «in strutture temporanee, appositamente allestite», mediante procedure in deroga al Codice Appalti. Insomma, ancora una volta, per esercitare certi poteri non serve dichiarare lo stato di emergenza, né nominare un Commissario.

In conclusione, siamo di fronte a un pasticcio giuridico, l’ennesimo in cui è incorso il governo e, dal decreto rave party in poi, li abbiamo puntualmente rilevati su queste pagine. Le valutazioni di consenso politico non debbono prevalere su quelle di diritto. Non è mai troppo tardi per capirlo.

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