La commissione Ue ha presentato in bozza il nuovo Patto di stabilità e crescita, che sostituirà il precedente, sospeso fino a dicembre. Esso pensava solo alla stabilità, alla crescita dava solo omaggi labiali; il nuovo è più attento alla seconda ma non cambia molto. Spaventa il nostro debito pubblico speso, disse Nino Andreatta, non in investimenti ma in cene in pizzeria; di qui la naturale preoccupazione sulla stabilità.

La bozza, che andrà approvata dal parlamento europeo e dai governi nazionali, è un modo «pragmatico per rimediare a una situazione che rischiava di andare fuori controllo», così Franco Bruni su Domani qualche giorno fa; sostituisce un intrico di numeri, astrusi e ardui da calcolare, con accordi fra governi e commissione, mirati al rientro dai debiti eccessivi. Se non si concorda sul nuovo testo, si torna al vecchio; fine degli argomenti a favore della bozza. Un realista deve quindi considerarla positiva, ma deve dire che perpetua vincoli insensati.

Per entrare nell’euro il governo Prodi nel 1998 dovette avvicinarsi ai parametri di deficit (3 per cento del Pil) e debito (60 per cento). I nostri conti parevano fuori controllo e per rinunciare al suo marco Berlino volle quei numeri; ben definiti stupidi da Romano Prodi, fissati nel 1997, furono pensati molto prima. Trattano l’investimento come una spesa corrente – un’aberrazione – e ignorano il peso dei debiti privati, causa della crisi del 2008 e più bassi in Italia che altrove.

Il nostro rapporto debito pubblico/Pil è al 144 per cento, l’Eurozona è al 92 per cento, il 60 per cento è lontano. Solo l’aumento del Pil può assorbire i debiti, ma non avverrà se mancano gli investimenti; in Italia fino al Pnrr questi erano negativi, perché inferiori agli ammortamenti. Le nostre finanze van riportate sotto controllo, ma hanno ancora qualche senso quei numeri?

L’Europa tutta dovrà investire somme enormi per la transizione energetica, la sicurezza, l’Ucraina, l’invecchiamento della popolazione. Gli stati del nord escludono di finanziare gli investimenti con debito comune; non sarà la povertà tecnica e politica del governo Meloni a fargli cambiare idea. Il nuovo Patto non va bene pur se è meglio del vecchio.

L’Europa forse sarà ancora un gigante economico, ma se continua così resterà nano politico. Su questo l’Italia ha colpe enormi. Per il grande Keynes i politici sono «schiavi di qualche economista defunto»; tale è la condanna dell’Europa, non può dispiegare il proprio potenziale perché l’acceca la luce proveniente dalle stelle spente, gli economisti morti. Il mondo è tanto cambiato da quando quei parametri furono pensati.

Con la credibilità del governo Draghi, potevamo provare a smontare questo nonsenso insieme a Francia e Spagna; ora non più, il popolo sovrano ha inequivocabilmente parlato. Speriamo che alla fine non spunti Barabba.

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