«Relazioni consolidate» che potrebbero mettere a rischio le indagini. Questo ritiene il gip di Forlì che ha disposto gli arresti domiciliari per Marcello Minenna, ex direttore generale delle Dogane, oggi assessore (sospeso) in Calabria. È indagato per corruzione per aver favorito l’ex leghista Gianluca Pini nell’importazione di un lotto di mascherine.

A sostanziare l’allarme, oltre il fatto che Minenna fino a mercoledì occupasse un ruolo di vertice in regione, la telefonata al senatore del Pd, Luciano D’Alfonso. Il dialogo risale al 5 novembre del 2021, il giorno stesso in cui Domani in edicola dava la notizia esclusiva delle indagini in corso presso la procura di Roma sulla gestione dell’agenzia.

In quell’occasione, riporta il giudice, «si evince concretamente la sua volontà addirittura di incidere proprio nella fase procedimentale sui pubblici ministeri». Tra l’altro, «quando non era ancora stata resa nota la sua posizione di indagato». Il dem gli rispondeva offrendogli i suoi suggerimenti.

L’ex presidente dell’Abruzzo, era presidente della commissione Finanze del Senato, dove oggi continua a lavorare come commissario. Si diceva pronto a dargli «assist incredibili»: «Nel senso di esaltare gli istituti del codice penale», dice adesso D’Alfonso.

L’11 novembre del 2021, ricorda lui stesso, Minenna è stato convocato in parlamento dopo che furono annunciate interrogazioni: «Io ho detto che la cosa migliore è che “tu venga e tu potrai parlare”», aggiunge.

Poi diventa più vago: «Con il centellinare del come e quando... lei ha il foglio davanti e io no. Veda se l’audizione è stata utilizzata a favore suo. Io per linea culturale sostengo che un indagato collabori a far emergere i dati di verità, io ho detto “faremo in modo che emergano i dati”».

Le regole di D’Alfonso

Ogni accusa per il senatore «va accompagnata dagli elementi fattuali che anche l’indagato può concorrere a rivelare. Questo posso aver detto con il mio ragionamento, è super conosciuto». Ha anche un associazione che si chiama “358”, come l’articolo del codice di procedura penale, di cui fornisce anche sticker whatsapp. «Marcè», lo salutava due anni fa D’Alfonso, «Eccoci caro», rispondeva lui. E passavano a parlare dell’indagine. E lo avvertiva: «Tu non puoi essere minimalista sui rischi e sui pericoli per i quali devi reagire proporzionatamente».

Il parlamentare gli raccomandava di individuare la linea: «Dopodiché il valore a quello che tu scrivi, dopo glielo do io dialogando al Mef, glielo do io dialogando in parlamento, tu glielo dai parlando con i tuoi amici giornalisti». E passava a spiegare come «controdedurre»: «Punto per punto anche le cazzate. Ti dicono che tu hai avvelenato le mosche? E tu devi dire che le mosche non sono avvelenabili per questa ragione.

Ti dicono che tu hai pettinato le bambole? Tu devi dire che non hai mai avuto pettini per pettinare le bambole». Fondamentale «un avvocato non di seconda mano che vada a prendere i caffè, nei luoghi, non te lo devo dire io, lo sai tu dove sono i luoghi dove si prendono i caffè».

La verità «è fatta di due pezzi: un primo pezzo si chiama procedimento, un secondo pezzo si chiama processo». E invitava a lavorare sulla «fase iniziale è quando l’ovulo incontra lo spermatozoo, non quando c’è il feto».

E quando «si discuterà l'interrogazione su di te al Senato io farò un lavoro che nessuno sa fare come me! Nessuno!». D’Alfonso non è indagato né coinvolto con le inchieste. Per il gip, questo scambio testimonia l'attitudine di Minenna a «intessere relazioni» cercando «di incidere concretamente sullo sviluppo delle indagini» e gli ha imposto il divieto di comunicazione con terzi.

Ma l’ex dirigente delle Dogane, lanciato dal Movimento 5 stelle, in contatto con la Lega, promosso dalla giunta di Forza Italia, per D’Alfonso resta «un economista riconosciuto, motivato nel declinare la sua competenza, capace di realizzare slanci di generosità e di grandi antipatie, dettati dalla sua volontà di stupire. Durante la stagione della pandemia è stato un turbo decisore, riferimento di molti livelli istituzionali».

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