Una premier infuriata con lui. Un ministro degli Esteri che bastona il suo vice. Silenzi equivoci e giravolte comunicative. La morte del dissidente russo Aleksej Navalny è una grana enorme per Matteo Salvini. Ma anche per il governo, spaccato e in imbarazzo per i legami russi di uno dei suoi azionisti di maggioranza.

Anche ieri il segretario della Lega ha dovuto vedersela con il fuoco incrociato delle opposizioni, che gli rinfacciano il suo mai rinnegato filo puntinismo, e dei suoi alleati di governo: si parla di una Giorgia Meloni che ha mal sopportato la comunicazione del Carroccio sulla drammatica morte dell’oppositore di Putin in una colonia penale russa.

Anche per questo la Lega ha deciso di partecipare alla manifestazione indetta da Riccardo Magi di +Europa di oggi alle 18.30 al Campidoglio di Roma. C’è poi l’altro vicepremier, Antonio Tajani, che bacchetta Andrea Crippa, numero due di Salvini nel partito: «La responsabilità è del regime di Putin, assolutamente sì», ha detto il leader di Forza Italia a chi gli chiedeva un commento sulle parole del leghista che riteneva «prematuro e inopportuno» accusare qualcuno della morte di Navalny.

«Montatura mediatica»

E così, per evitare di creare ulteriori imbarazzi alla maggioranza, il Carroccio non mancherà alla manifestazione romana.

Ci saranno tutti i partiti dell’arco parlamentare, ma la presenza della Lega ha fatto storcere il naso agli organizzatori. «Non può essere il festival dell’ipocrisia, Salvini rideva di Navalny», ha dichiarato Magi.

In effetti, scorrendo le interviste rilasciate dal segretario leghista negli anni passati non ci sono parole dolci per il dissidente russo e il suo movimento: «Navalny è una montatura mediatica, mi sembra esagerato creare novelli eroi. Ho fatto una ricerca, e mi sono informato sul personaggio in questione. Un blogger anti-Putin, venduto come leader dell’opposizione. Ma che secondo le stime avrebbe solo il 3 per cento. Insomma, è uno dei tanti che si oppone a Putin. È come se in Italia Nicola Fratoianni fosse considerato l’anti Renzi», diceva a La Stampa nel 2017.

Erano i mesi in cui la Lega firmava un patto con Russia Unita, il partito di Putin: patto che nel 2022 – in piena invasione Ucraina – è stato tacitamente rinnovato. «Navanly è stato arrestato perché manifestava? Io sono per la libertà di pensiero e per le manifestazioni autorizzate. Ma non mi sembra che questa sia stata autorizzata», aggiungeva nell’intervista.

Neanche la guerra e la linea atlantista della premier Meloni hanno fatto rinnegare a Salvini l’autocrate russo, il cui volto portava stampato sulle magliette e a cui ha sempre dedicato dichiarazioni d’amore. Nemmeno ieri, sui suoi attivissimi profili social, Salvini ha postato riferimenti alla morte di Navalny: c’erano le foto della sua visita in Sardegna, dove la settimana prossima si voterà per il nuovo presidente di Regione, e un video in cui si scaglia contro la carne sintetica.

Il suo collega vicepremier Tajani al contrario si è schierato duramente contro il Cremlino. Mentre la presidente Meloni si è espressa già venerdì con una nota in cui chiedeva chiarezza sulla morte dell’oppositore, pur non citando in alcun modo Putin.

Passato non troppo lontano

Il governo appare spaccato, oltre che in imbarazzo. La Lega e il suo leader non sono però gli unici ad aver guardato con simpatia e ammirazione al presidente russo. «Complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa. La volontà del popolo in queste elezioni russe appare inequivocabile»: era il 18 marzo 2018 e Giorgia Meloni postava queste parole sui suoi canali social per salutare il quarto mandato dell’ex agente del Kgb al Cremlino.

Nemmeno la leader di Fratelli d’Italia guardava con antipatia il governo di Mosca. Tant’è che nella sua autobiografia Io sono Giorgia parla di una Russia che «sul piano dei valori, della cultura, è parte dell’Europa» e che si erge come un baluardo «dell’identità cristiana». Non nomina mai Putin certo, ma la Russia a cui fa riferimento è quel paese forgiato da quasi trent’anni di governo del numero uno del Cremlino, che dalla fine dell’era sovietica è stato quasi ininterrottamente al potere.

Le parole di Meloni erano però precedenti all’invasione dell’Ucraina e al suo arrivo a Palazzo Chigi, dove poi ha fatto propria la linea atlantista degli alleati Nato. Questo nonostante molti dei suoi alleati in Italia (vedi Salvini) e all’estero (Viktor Orban in primis) non abbiano mai nascosto la loro vicinanza al Cremlino.

E come dimenticarsi poi della grande amicizia del fondatore di Forza Italia Silvio Berlusconi, altro partner di governo, con Putin. Un rapporto molto stretto che nasce alla fine degli anni Novanta e si consolida tra lettoni in regalo e foto in colbacco, arrivando fino agli ultimi mesi di vita dell’ex presidente del Consiglio.

Il legame tra i due è rimasto solido anche con lo scoppio della guerra in Ucraina: Berlusconi ha polemizzato più volte con Zelensky nelle settimane di formazione del governo Meloni, sia nei mesi successivi. Dichiarazioni e interviste esplosive («La guerra è colpa della resistenza ucraina», «Io non andrei mai a cena con Zelensky da presidente del Consiglio») che hanno creato grandi problemi all’azione di politica estera dell’esecutivo.

Anche allora la presidente del Consiglio era andata su tutte le furie con l’alleato moderato, mentre oggi i problemi li ha con l’alleato sovranista. Che qualunque cosa accada rimane coerente con sé stesso e fedele all’amico al Cremlino. Anche se è un amico scomodo.

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