C’è la celebrazione della giornata nazionale del gatto, ma nemmeno una parola per la scomparsa di Aleksej Navalny. Nelle 24 ore successive alla morte del dissidente russo, sull’attivissimo profilo Facebook di Matteo Salvini manca qualsiasi riferimento alla sua scomparsa in una colonia penale in Siberia. Non una parola su di lui, sulla Russia, o su Putin.

La storica russofilia del leader della Lega ora però rischia di diventare una nuova grana per la tenuta della maggioranza a pochi mesi dalle elezioni europee.

La reazione del Carroccio ai fatti di venerdì è arrivata in serata con uno stringato comunicato in cui viene richiesta «piena luce» ed espresso «profondo cordoglio» da parte di tutto il partito «a cominciare dal leader».

Niente di più. Forse perché, come detto dal vicesegretario Andrea Crippa, i vertici del partito ritengono «prematuro e inopportuno additare colpevoli». Una reazione che è valsa a Salvini l’attacco del leader di Azione, Carlo Calenda, che ha scritto: «Matteo Salvini non ha ritenuto di dire una parola sull’assassinio di Navalny. Il legame con Putin e il suo partito rimane forte».

Dichiarazione a cui la Lega ha risposto annunciando una querela. E la Lega questa sera ha anche annunciato che manderà una delegazione alla fiaccolata organizzata lunedì, a cui parteciperanno tutti i partiti, idea lanciata dal leader di Azione.

Se il segretario leghista non ci ha messo la faccia, i partner a Palazzo Chigi sono stati più netti. Duro l’altro vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha sottolineato le «responsabilità del Cremlino». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato invece di «evento inquietante», ma senza citare Putin come hanno fatto altri leader Nato, in primis Biden. Ma se la linea atlantista di FdI e Forza Italia non è messa in dubbio, quella di Salvini sì.

I legami

La passione per il regime ha contraddistinto la Lega di Salvini dagli albori: dicembre 2013, al congresso di Torino che certifica la presa di potere del Capitano sono presenti Aleksej Komov, ambasciatore della Russia all’Onu, e Viktor Zubarev, parlamentare di Russia Unita. Un anno dopo, Salvini è a Mosca: davanti al Cremlino si scatta la famosa foto con la maglietta con il faccione di Putin. Nel 2015 poi, manifesta al Parlamento europeo le sue posizioni con la frase «cedo due Mattarella per mezzo Putin».

A marzo del 2017 stipula un accordo con il partito di Putin. Patto che è ancora in vigore: si è tacitamente rinnovato nel marzo 2022, in piena invasione russa dell’Ucraina. Nemmeno la guerra è servita a far cambiare posizione a Salvini e alla Lega, allora parte del governo Draghi con ben tre ministri.

E mentre l’esecutivo dell’ex presidente della Bce era fortemente impegnato nel contrasto economico alla Russia e nel sostegno all’Ucraina, Salvini e il suo consulente Antonio Capuano sono stati più volte ospiti a cena dell’allora ambasciatore russo Sergey Razov: sono quattro gli incontri tra marzo e maggio del 2022, il primo una settimana dopo l’invasione dell’Ucraina.

Questi incontri avevano cominciato a far parlare di una “diplomazia parallela” del segretario della Lega rispetto a quella ufficiale degli esecutivi di cui ha fatto parte: da giugno 2018, la Lega è stata al governo per 51 mesi su 68. Non bisogna scordare poi la trattativa del Metropol del 2018. Mentre Salvini era in viaggio istituzionale a Mosca – anche allora era vicepremier – il suo ex portavoce Gianluca Savoini avrebbe trattato con degli uomini legati al governo di Putin un finanziamento per la Lega di 110 milioni di euro.

I soldi sarebbero serviti per la campagna elettorale europea del 2019: «Il prossimo maggio ci saranno le elezioni europee. Vogliamo cambiare l’Europa, una nuova Europa deve essere vicina alla Russia», diceva l’ex portavoce di Salvini nell’incontro del Metropol. Sono passati sei anni: la Russia è più lontana che mai dall’Europa. Non si può dire lo stesso per Salvini e i suoi.

Un futuro incerto

La morte di Navalny arriva in un periodo nero per il segretario della Lega. Le grane sono parecchie. C’è l’inchiesta sulle società di consulenza di suo suocero e cognato, Denis e Tommaso Verdini, che gli dà più di un imbarazzo. Perché sono tanti i nomi e le voci di parlamentari leghisti (non indagati) nelle intercettazioni della Guardia di Finanza.

Ma anche per gli incontri che Salvini ha avuto al ministero delle Infrastrutture con i vertici di Huawei, società cliente dei Verdini. C’è poi la crescente opposizione interna nel partito, a cui ieri ha dato voce il Senatur Umberto Bossi che mal sopporta una Lega ormai diventata «una brutta copia di Fratelli d’Italia».

E poi ci sono le tensioni con gli alleati di governo che vogliono ostacolare la richiesta leghista di un terzo mandato per i governatori di regione. Senza proroga Zaia, Fontana e Fedriga non potrebbero ricandidarsi, e Salvini avrebbe un problema in più: proprio il presidente del Friuli Venezia Giulia, in ottimi rapporti con Giorgia Meloni, è il più accreditato a succedergli alla segreteria.

Tutto questo con le Europee alle porte, con i sondaggi che danno il Carroccio sotto il 10 per cento e paventano un possibile sorpasso di Forza Italia. Per Salvini è un periodo nero. E nei momenti difficili è meglio non voltare le spalle ai vecchi amici. Magari criticandoli per la morte di un dissidente politico in una colonia in Siberia.

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