Marco Marsilio ha preso esempio dalla premier e amica personale Giorgia Meloni. Dopo aver conquistato uno storico bis alla guida dell’Abruzzo, in conferenza stampa ha «indossato l’elmetto» – copyright della premier – scegliendo la chiave del vittimismo più che quella dell’entusiasmo e attaccando in ordine: «la narrazione mediatica sul vento sardo», «i sondaggi finti», «le corazzate editoriali che hanno dipinto l’Abruzzo a tinte fosche» e chi lo ha «attaccato personalmente tracimando nella calunnia, a cui darò appuntamento in tribunale».

Probabilmente, tuttavia, proprio questa narrazione da assedio si è rivelata vincente con l’elettorato di centrodestra, che lo ha premiato con un 53,5 per cento e 327mila voti, trentamila più di cinque anni fa.

La crisi della Lega

La coalizione sorride, ma la Lega sta diventando sempre più il proverbiale elefante nella stanza. L’unico a lanciarsi in una sperticata lode dei risultati è stato il sottosegretario Claudio Durigon che, inguaribile ottimista, ha parlato di «dato elettorale fantastico» e di un partito «vivo e forte».

Altrove, però, le facce sono scure e le bocche cucite. Nessun altro si è speso per commentare e i parlamentari hanno driblato la domanda trincerandosi dietro i complimenti a Marsilio. Anche il prudente Luca Zaia, dal suo Veneto, si è congratulato con il collega ma ha evitato «di parlare delle montagne russe del voto».

Il silenzio è più che eloquente, rotto solo dal leader Matteo Salvini, che ha parlato di «netta vittoria» del centrodestra. Poi, via social, ha aggiunto anche il «buon risultato per la Lega che supera i Cinque stelle e sinistra malamente sconfitta».

Proprio dietro queste parole, però, si nasconde tutta la drammaticità del momento. La Lega ha supera sì i Cinque stelle, ma è una consolazione che lascia l’amaro in bocca. Nel 2019, in Abruzzo, il partito di Salvini era al 27 per cento con 165mila voti.

Oggi è al 7,6 per cento con poco meno di 44mila preferenze. Risultato: 121mila voti persi in direzione di Fratelli d’Italia e di Forza Italia e il ruolo di fanalino di coda dell’alleanza di centrodestra. Appena sopra il Movimento di Giuseppe Conte, che si ferma al 7 per cento ma perde meno in voti assoluti, con un -78mila rispetto al 2019.

I numeri non mentono, per questo fanno più male. Subito è scattata la ricerca del colpevole. Salvini ha passato le ultime settimane su e giù per la regione magnificando gli investimenti in infrastrutture possibili grazie alla sua intercessione. Eppure non è bastato. La speranza era quella di toccare la doppia cifra, soglia psicologica anche in vista delle europee, ma a pesare di più è il quasi doppiaggio di Forza Italia, che è arrivata oltre il 13 per cento.

Le scuse sono venute a noia, soprattutto alla quota di partito del nord, l’unica ormai di una certa consistenza. «Il progetto di partito nazionale è fallito» dice una fonte della minoranza vicina al fondatore Umberto Bossi, «dovevamo essere noi a inglobare Forza Italia, invece...». Un’interpretazione che sembra accomunare gli insoddisfatti, ma a cui nessuno intende ancora dare voce pubblicamente. Soprattutto non prima di aver chiare le prossime mosse.

Gli errori

È dall’Abruzzo, però, che arrivano le prime risposte sul come un’emorragia del genere sia stata possibile. Chi ha seguito da vicino la campagna elettorale, spiega che il principale errore della Lega è stato quello di dividersi internamente, perdendo così, in favore degli altri partiti di centrodestra ma anche del listino del presidente, candidati dal forte bacino elettorale. Due su tutti, l’assessora uscente alla Sanità, Nicoletta Verì, e il vicesindaco di Pescara, Giovanni Santilli, candidati nel listino di Marsilio e confluiti in FdI.

La crisi in casa leghista era cominciata già nel 2022, all’indomani delle politiche in cui il partito si era fermato all’8 per cento, quando il fondatore della Lega in Abruzzo Giuseppe Bellachioma aveva comunicato il suo addio al partito in polemica con il segretario regionale Luigi D’Eramo.

Bellachioma aveva chiesto le sue dimissioni e l’azzeramento delle cariche regionali e provinciali del partito in seguito a un risultato che considerava deludente. Ma era stato respinto. Quindi aveva comunicato che «il suo perimetro» sarebbe rimasto il centrodestra e, da lì in poi, ha dato una mano a molti candidati ex leghisti dispersi in altre liste.

Bellachioma fa parte della lunga lista dei critici – ormai quasi tutti allontanati dalla Lega – alla gestione Salvini. Tra i due i rapporti si erano guastati nel 2019, quando il leader lo aveva commissariato da segretario regionale. Da quel momento il partito in Abruzzo è stato sì parte della giunta Marsilio, ma lo stesso presidente ha avuto più di un problema a gestire i tumulti interni e i loro riverberi sull’amministrazione.

Il clima del Marsilio bis rischia di non essere migliore. Il riconfermato presidente, infatti, ha già messo le mani avanti: «Sarà facile comporre la nuova giunta: lo farò in base alla competenza e ai pesi elettorali». La Lega passa da 6 a 2 eletti e dovrà dire addio ai tre assessorati di peso della passata consiliatura.

Tuttavia, la volontà degli alleati è quella di non stuzzicare la bestia ferita. Ieri Meloni, Salvini e Antonio Tajani si sono incontrati per un pranzo a palazzo Chigi per commentare i risultati abruzzesi, proprio come hanno fatto dopo quelli sardi. Il clima è stato evidentemente più rilassato e soprattutto Tajani – con FI grande soddisfatta ma anche indiziata di aver sottratto voti all’alleato leghista – si è affrettato a negare qualsiasi concorrenza interna, sottolineando che il doppiaggio dei colleghi nordisti «non cambia nulla» dentro la coalizione, anche perché l’obiettivo del partito è «occupare l’area di centro», che non è certamente appannaggio leghista.

Eppure, la conseguenza di un sorpasso anche alle europee rischia di essere quella di un ulteriore isolamento di Salvini che, messo alle strette, può diventare imprevedibile.

© Riproduzione riservata