Slitta l’accordo tra la Cina e le isole del Pacifico che si sarebbe dovuto firmare al termine dell’incontro tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e i rappresentanti degli altri stati della regione. Il meeting si è tenuto alle isole Figi e anche se le parti hanno raggiunto un’intesa di massima sulla cooperazione in diversi ambiti, dalla sicurezza alla lotta al cambiamento climatico, alcuni stati non vogliono essere trascinati nella sfera di influenza della Cina perché temono di suscitare l’ira di altre potenze attive nella regione come gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda.

«Non siate troppo ansiosi e non siate troppo nervosi», ha detto il ministro Wang Yi alle sue controparti. La visita dell’alto rappresentante cinese segue una strategia politica che mira a controbilanciare il peso degli Stati Uniti e dell’Unione europea che nelle ultime settimane hanno delineato un nuovo piano d’azione per sottrarre i piccoli stati della regione dall’influenza di Pechino.

Cosa prevede l’accordo cinese

Secondo quanto trapelato da una prima bozza pubblicata da diversi media internazionali, l’accordo prevede l’addestramento dei reparti della polizia locale da parte di Pechino, un coinvolgimento cinese nella sicurezza informatica e soprattutto una mappatura marina che permetta alla Cina di avere un accesso più ampio e facilitato alle risorse naturali terrestri e marittime, come quelle ittiche.

In cambio, Xi Jinping offre milioni di dollari in assistenza finanziaria, la prospettiva di un accordo di libero scambio tra Cina e alcune Isole del Pacifico, che comporta l’accesso al mercato cinese che conta 1,4 miliardi di persone, e migliaia di borse di studio universitarie per giovani studenti.

Le polemiche

All’incontro hanno partecipato diversi stati tra cui Samoa, Tonga, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Isole Salomone, Niue e Vanuatu. Secondo la versione cinese le controparti hanno trovato l’intesa per cooperare in cinque settori diversi ma sono necessarie ulteriori discussioni per arrivare alla firma finale.

«Non siate troppo ansiosi e non siate troppo nervosi, perché lo sviluppo comune e la prosperità della Cina e di tutti gli altri Paesi in via di sviluppo significherebbe solo una grande armonia, una maggiore giustizia e un maggiore progresso del mondo intero», ha detto il ministro Wang Yi ai paesi del pacifico che hanno sollevato dubbi sul ruolo della Cina nella regione e su un loro eventuale coinvolgimento in giochi di potere che coinvolgono altre potenze regionali.

L’accordo aveva già suscitato diverse polemiche soprattutto dopo che il ministro degli Esteri Wang Yi aveva firmato un patto sulla sicurezza con le Isole Salomone che permette a Pechino di stanziare le sue navi a solo duemila chilometri dalle coste australiane e non è esclusa neanche la costruzione di una nuova base militare.

In questi giorni si è tornato anche a parlare di Taiwan dopo che il presidente Biden ha detto che un’eventuale minaccia all’integrità territoriale dell’Isola può portare a un intervento militare da parte di Washington. Blinken ha ribadito che gli Stati Uniti non intendono supportare l’indipendenza di Taiwan ma non sono neanche disposti ad accettare un cambiamento dell’attuale status quo.

Le mosse di Stati Uniti e Unione europea

La scorsa settimana durante il viaggio in Asia del presidente americano Joe Biden è stato istituito l’Indo-Pacific economic framework a cui hanno aderito già una dozzina di stati dell’area di cui sette che fanno parte anche dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico). Si tratta di una partnership economica che punta a rafforzare la presenza degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico e a dare vita a una cooperazione economica più strutturale.

Lo scorso 26 maggio il Segretario di stato americano Antony Blinken ha annunciato in un discorso durato un’ora la strategia dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina. Un piano politico basato su tre parole chiave: invest, align and compete (investire, allinearsi e competere).

Blinken ha detto che è giunto il momento di «riportare la diplomazia al centro della politica estera americana» e ha criticato l’aggressività della politica estera cinese oltre che la repressione interna per quanto sta accadendo a Hong Kong e nello Xinjiang.

Ma anche l’Unione europea si sta muovendo dopo che ha presentato un nuovo piano d’azione basato su sulla sicurezza regionale «che comprenda linee di comunicazione marittime sicure, lo sviluppo di capacità e una maggiore presenza navale degli stati membri dell’Ue nell’Indo-Pacifico», come ha spiegato a Domani Nabila Massrali, portavoce dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza.

Nell’Indo-Pacifico si sta giocando una partita importante: l’area conta la presenza di oltre quattro miliardi di persone e un giro economico che comprende oltre il 60 per cento del Pil mondiale. Non è chiaro se dietro la sospensione dell’accordo tra le isole dell’Indo-Pacifico e la Cina ci siano le pressioni degli Stati Uniti, potrebbe anche essere che vedendo in corso grandi strategie geopolitiche internazionali i piccoli stati hanno intenzione di strappare qualcosa in più alla Cina si a livello economico che di sicurezza personale ottenendo maggiori garanzie.

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