Dietro la modernità, la ricchezza e l’ordine di Singapore si cela un rigido sistema legale che ancora prevede la pena di morte. Nelle sole ultime settimane tre persone sono state condannate a morte per reati legati al traffico di droga, portando a 16 il numero di esecuzioni capitali nel paese dal marzo 2022, quando sono riprese dopo una lunga pausa dovuta al Covid. Questi tristi dati svelano una realtà controversa che si intravede dietro l’immagine patinata che Singapore dà di sé.

L’espressione «Disneyland con la pena di morte», coniata nel 1993 dall’autore di fantascienza William Gibson, è forse la definizione più calzante mai associata alla nazione. Utilizzata in modo provocatorio, vuole suggerire che Singapore è un paese la cui apparenza può ingannare.

Ottenuta l’indipendenza dal Regno Unito dopo la Seconda guerra mondiale, nei decenni successivi Singapore è diventato uno dei principali centri per il commercio internazionale con un reddito pro capite tra i più elevati al mondo. Il tasso di criminalità si aggira su cifre minime e all’interno del paese riescono a convivere svariate minoranze etniche. Piccolo stato insulare che conta poco più di sei milioni di abitanti, con il suo ordine e le infrastrutture all’avanguardia può apparire come un mondo utopico e funzionale.

Dietro la pace

Eppure, per comprendere Singapore e le sue contraddizioni, si deve andare oltre la pace apparente. La ricchezza del paese non è equamente distribuita, e le disuguaglianze sociali sono evidenti, specialmente per gli immigrati provenienti da paesi vicini che trovano impiego solo per mansioni non specializzate e i cui stipendi non sono comparabili a quelli dei datori di lavoro. Lo stato esercita un controllo incospicuo ma costante sulla popolazione e le offese criminali vengono punite con efficienza e severità, arrivando anche alla pena di morte.

Sebbene sia formalmente una democrazia parlamentare, dal 1956 il paese è stato dominato dal People’s Action Party (Pap), fondato da Lee Kuan Yew, che ha da sempre dimostrato ben poca tolleranza per il dissenso. Lee Kuan Yew, padre fondatore della nazione, vedeva lo stato come una forza regolatrice di ogni aspetto economico e sociale del paese, e le libertà individuali come secondarie al mantenimento dell’ordine. Questa visione della società è stata tramandata alle attuali cariche statali e Singapore viene quindi spesso definito come un autoritarismo democratico: si tengono elezioni regolari nel paese, ma il Pap è il partito dominante e ha istituito leggi che limitano il libero dibattito politico e l’opposizione.

La pena capitale

Una delle questioni più controverse è l’attuale sistema legale di Singapore, che prevede ancora la pena di morte per i reati di omicidio e traffico di droga. Sebbene retaggio dall’èra coloniale inglese, la pratica della pena di morte tramite impiccagione è stata mantenuta dopo che Singapore si è separato dalla Malesia nel 1965, e nel 1973 è stata ulteriormente estesa ai reati legati al traffico di droga.

A Singapore, le leggi riguardanti le droghe sono particolarmente severe, con soglie di possesso che portano facilmente alla condanna a morte. È sufficiente infatti produrre, detenere o trafficare una determinata quantità di droga, come 15 grammi di eroina o 500 grammi di cannabis, per essere punibile con la pena capitale. Oltre all’automaticità con cui questa pena viene amministrata, solleva preoccupazioni la poca trasparenza sui dettagli della detenzione e delle esecuzioni dei condannati.  

Tuttavia, il governo di Singapore considera la pena di morte una misura efficace di deterrenza per il narcotraffico e l’abuso di stupefacenti. Il mantenimento della pena capitale è un argomento chiave nella narrativa del Pap per assicurare la popolazione della propria capacità di mantenere l’ordine e la sicurezza. Ad aver spinto il governo a mantenere severi controlli sulla circolazione di droghe nel paese è anche la vicinanza di Singapore al cosiddetto “triangolo d’oro” – composto da territori che si estendono tra Myanmar, Thailandia e Laos, e noto storicamente per gli ingenti traffici illeciti. In quanto snodo chiave del commercio del mondiale, trovandosi sullo stretto di Malacca (passaggio obbligati per le merci dall’occidente all’est del mondo) Singapore è esposto al rischio di diventare un potenziale hub per il traffico di sostanze illecite.

Scongiurare una tale eventualità, preservando la propria reputazione di paese sicuro e internamente stabile, è fondamentale per non perdere attrattività per il commercio e gli investimenti internazionali. L’economia del minuscolo paese dipende da questi traffici commerciali, e il governo teme quindi che una criminalità dilagante potrebbe allontanare i capitali esteri e intaccare il benessere economico di Singapore.

Ingiusta e inefficiente

Tuttavia, nonostante la convinzione del governo di Singapore sull’efficacia della deterrenza della pena di morte, alcune notizie sembrerebbero smentire parzialmente tale fatto: numerose sono le partite di sostanze stupefacenti che vengono trovate a Singapore ogni anno.

Oltre alla discutibile efficacia, un altro fattore d’allarme attorno all’applicazione della pena di morte è il modo sproporzionato in cui colpisce minoranze e fasce sociali meno abbienti. Secondo un rapporto delle nazioni uniti del 2021, circa l’84 per cento delle esecuzioni riguarda la minoranza Malay presente nel paese. In aggiunta, molti dei condannati a morte non sono in possesso di risorse per difendersi adeguatamente da tali accuse.

Singapore non è l’unico paese asiatico ad aver fatto della guerra al narcotraffico una battaglia nazionale. Anche le Filippine, sotto il governo Duterte, hanno iniziato una dura guerra al narcotraffico che ha causato migliaia di morti. Più in generale, in tutto il continente asiatico il quadro legale che amministra la produzione e l’utilizzo di droghe è molto severo, ma negli ultimi decenni c’è stata una tendenza ad escludere i crimini più leggeri legati al narcotraffico dalle accuse punibili con la pena di morte, preferendo misure meno estreme: la Thailandia è anche arrivata a decriminalizzare la cannabis.

Le molte contraddizioni

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Singapore non è nemmeno l’unico paese asiatico a prevedere ancora la pena di morte. Tuttavia, se la Cina continua ad utilizzare questa misura estrema regolarità, paesi come il Giappone e la Corea del Sud hanno ridotto l’applicazione della pena di morte nel corso degli anni. Nel mondo, sono sempre meno i paesi che portano a termine le esecuzioni preferendo trasformare la condanna in una pena più leggera. La persistenza della pena capitale in un paese così sviluppato come Singapore solleva quindi domande.

Nonostante però le controversie internazionali e le campagne delle organizzazioni per i diritti umani, Singapore sembra non avere intenzione di abbandonare la sua politica.

Il paese resta ancorato alle proprie contraddizioni: un’economia fiorente ma una società piena di disparità socioeconomiche, un paese dove vige l’ordine ma sgarrare può portare a conseguenze letali, una Disneyland con la pena di morte.

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