Mentre la crisi in Medio Oriente s’infiamma dopo la strage all’ospedale anglicano di al-Ahli a Gaza, la Santa sede cerca di non perdere la bussola seguendo una doppia strada: quella della preghiera per la pace e degli appelli alla comunità internazionale percorsa dal papa, e quella diplomatica affidata al cardinale Pietro Parolin. Che ha ripetuto un concetto quasi dimenticato in questi giorni di guerra: ovvero che la base per la soluzione del conflitto israelo-palestinese deve passare per la formula “due popoli due stati” e che da lì bisogna ripartire se si vuole costruire la pace fra i due popoli.  

Guerra mondiale

D’altro canto, stavolta il Vaticano non può sbagliare: in gioco c’è il futuro della Terra Santa dove le comunità cristiane sono state profondamente segnate dalla fuga di tante famiglie a causa dei conflitti, degli estremismi religiosi, dalla povertà e dalla mancanza di prospettive per i più giovani. E poi il nuovo conflitto sembra prefigurare lo scenario evocato più volte in questi anni da papa Francesco di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Cioè su vari fronti che potrebbero, prima o poi, saldarsi. In un simile contesto il Segretario di stato vaticano Parolin, si è ripreso la scena e sembra guidare ora la diplomazia vaticana andata parzialmente in confusione dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Questa volta, in ogni caso, la posizione del Vaticano non si presta a equivoci. Francesco, al termine dell’udienza generale di ieri, si è rivolto alla Comunità internazionale affinché «si faccia tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria» a Gaza dove, ha detto, «la situazione è disperata».

Quindi ha aggiunto un richiamo drammatico ai credenti: «Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale». Per il prossimo 27 ottobre, il papa, ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per la pace.

Dialogo fra le parti

Parolin, per spiegare la posizione della chiesa di Roma nella crisi che sta vivendo il Medio Oriente, si è fatto intervistare anche da Nunzia De Girolamo, nel programma Avanti Popolo, su Rai 3. Nell’occasione ha ribadito la condanna «totale» dell’attacco portato da Hamas contro Israele.

«La Santa sede ha sempre avuto una linea molto precisa», ha detto poi parlando del conflitto, «la pace in Terra Santa può venire soltanto dal riconoscimento dei diritti di entrambi i popoli. Per noi questo ha sempre voluto dire appoggiare la formula dei due stati che vivano secondo i confini internazionalmente riconosciuti, in pace e in buone relazioni. A questa pace e a questa soluzione, non si può arrivare che attraverso il dialogo diretto tra le due parti, appoggiato, sostenuto e incoraggiato dalla comunità internazionale».

Una posizione che nega legittimità sia a chi, come Hamas, vuole trasformare la causa palestinese in una sorta di Armageddon per distruggere Israele, sia a chi, nel governo Netanyahu, in questi anni ha promosso politiche razziste e xenofobe contro i palestinesi. Parolin ha anche elencato quali sono, per la Santa sede, le priorità nella nuova guerra: «Credo che prima di tutto bisogna limitare i danni. Il problema degli ostaggi è un punto fondamentale da risolvere, e la mediazione internazionale dovrebbe aiutare a smontare e ridurre un po' anche la tensione. Attualmente è difficile, non so se ci sono in corso delle trattative per portarli fuori, ma non mi risulta».  

«Un altro punto da sottolineare – ha detto – è riconoscere il diritto di Israele alla legittima difesa, ma deve rispondere a dei criteri etici, ad esempio, deve evitare in maniera assoluta la morte di persone innocenti. Il diritto umanitario internazionale deve essere rispettato. Questo ha chiesto il santo padre, ed è quello che ha chiesto anche l'Onu».

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