Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è questa settimana dedicato al tema delle migrazioni. Guerre, crisi alimentare e cambiamenti climatici alimentano movimenti epocali di popoli che gli autocrati di tutto il mondo non vedono l’ora di strumentalizzare. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Manlio Graziano, Michela Ceccorulli, Thomas Van Der Hallen, Angelica Vascotto e tanti altri – e le mappe a cura di Luca Mazzali, Daniele Dapiaggi e Bernardo Mannucci (faseduestudio/Appears) – analizzano le risposte, ancora insufficienti, delle politiche occidentali alla sfida globale del Ventunesimo secolo. Da venerdì 22 luglio in edicola e in digitale. 

Cosa c’è nel nuovo numero

Per spiegare i paradossi delle politiche migratorie occidentali, il politologo Manlio Graziano immagina un salto nel futuro, al tramonto della società del Ventunesimo secolo. Nell’analizzare la fine del nostro tempo, gli storici di domani si interrogheranno su alcuni comportamenti irrazionali degli umani di allora: pur sapendo che gli immigrati avrebbero potuto alleviare sia la profonda crisi demografica che il peso smisurato del debito pubblico, si rifiutarono di accoglierli. E rifletteranno sul fatto che crearsi nemici senza ragione è sempre stato un errore capitale, che ha accelerato la disgregazione, e infine il collasso, delle civiltà.

L’analista Michela Ceccorulli evidenzia come l’Ucraina e il Mediterraneo siano facce della stessa crisi: dai conflitti all’incremento generalizzato dei prezzi di beni e materie prime, agli effetti devastanti di eventi climatici sempre più avversi e della pandemia, le molteplici crisi in corso riflettono le interconnessioni e le dinamiche di lungo periodo del contesto globale; per questo motivo, non sono sufficienti piani di accoglienza adottati in via eccezionale ma occorre ripensare in forme più strutturate e durature la gestione del fenomeno migratorio.

Viene poi presentato un contributo della Fondazione Avsi, un’organizzazione non profit nata nel 1972 per realizzare progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in Africa, medio oriente, America Latina, e in Europa. Grazie all’esperienza maturata, Maria Laura Conte e Franco Argelli confermano come la complessità del fenomeno migratorio richieda l’avvio di percorsi lunghi e articolati nel tempo e nello spazio: solo il raccordo tra Ong, comunità locali, settore privato e agenzie educative può garantire soluzioni durature; ma oltre alla gestione dei flussi, si deve vigilare sempre sul fatto che questo fenomeno è “personale”, e un’attenzione preferenziale deve essere rivolta alla cura per la persona nella sua integralità e nel suo rapporto con la comunità, di origine, di transito e di destinazione finale.

Segue un articolo della giornalista Rhoda Feng, già pubblicato sulla rivista Foreign Policy. Feng inizia la sua analisi mettendo in luce il contrasto tra l’accoglienza offerta ai rifugiati ucraini e quella riservata ai paesi africani e mediorientali, e commenta un nuovo libro che racconta la storia dimenticata dei migranti bloccati in Libia, tra l’indifferenza dell’occidente e la debolezza delle organizzazioni internazionali. Il libro di Sally Hayden, dal titolo My Fourth Time, We Drowned: Seeking Refuge on the World’s Deadliest Migration Route, è una cronaca straziante e ampiamente documentata delle esperienze di tanti rifugiati che fuggono da dittature, violenze, persecuzioni e guerre. Senza nuove politiche condivise, le crisi migratorie di domani saranno ancora più traumatiche e destabilizzanti di quelle di oggi.

Il politologo Mario Giro ci conduce in Turchia, chiedendosi se esiste un’altra Turchia dopo Erdogan. Si svolgeranno infatti a giugno 2023 le elezioni presidenziali che potranno cambiare il volto del paese. Almeno sette milioni di giovani elettori si recheranno alle urne per la prima volta, senza aver conosciuto null’altro che il governo di Recep Tayyip Erdogan. Tra i principali motivi di scontento della popolazione turca ci sono la crisi economica e la gestione sbagliata della pandemia, ma anche la presenza dei circa 3,6 milioni di rifugiati siriani ai quali Erdogan ha aperto per ragioni geopolitiche. Le possibilità del leader turco sono quindi in bilico, ma il suo equilibrismo strategico può permettergli di riunire consensi e vincere ancora.

Il ricercatore Thomas Van Der Hallen sposta poi lo sguardo verso il “grande gioco” africano di Europa e Russia: se è vero che l’accordo tra Unione europea e Ucraina del 2014 ha vanificato il grande progetto di un’unione economica eurasiatica, è altrettanto vero che il rafforzamento dell’influenza russa nel continente africano sfida apertamente la nuova strategia dell’Ue per l’Africa. Mosca sfrutta nel continente le instabilità che l’Europa, e soprattutto Parigi, ha largamente contribuito a creare.

L’analista Mario Savina si sofferma a seguire sulla fiacca risposta europea alle migrazioni di massa: l’Unione ha raggiunto un’intesa sulla gestione comune dei flussi e alcuni passi avanti sono stati fatti (soprattutto in termini di risorse), ma siamo ancora ben lontani dalla creazione di una vera politica condivisa. Soprattutto, non sembra essere cambiata la logica securitaria e di chiusura di fondo: nessuno vuole nuovi irregolari, questa è l’unica cosa su cui tutti gli stati membri sono d’accordo.

La ricercatrice Angelica Vascotto porta poi l’attenzione sui Balcani e sulla ricerca europea della sicurezza in seguito al conflitto russo-ucraino: dal contesto bosniaco alla questione del Kosovo, il percorso di integrazione nella regione è ancora oggi minacciato da forti instabilità politiche, ma il bisogno di satelliti a est potrebbe spingere l’Ue ad accelerare i processi di adesione nell’area o ad ammorbidire gli standard richiesti.

Infine, l’analista Michela Mercuri – il cui testo è un estratto dalla rivista Vita e pensiero (numero 3, 2022) – riflette sulle guerre del futuro, che saranno sempre più scatenate dall’“oro blu”: con l’aumentare della popolazione nelle zone povere del mondo e l’inasprirsi degli effetti del cambiamento climatico, sempre più conflitti saranno causati dalla scarsità di acqua. Il medio oriente e il nord Africa sono le aree più a rischio. Le politiche e le infrastrutture necessarie per costruire la “resilienza idrica” sono costose, ma una siccità è molto più costosa, arrivando potenzialmente a ridurre la crescita economica di una città fino al 12 per cento. Anche per questo conviene investire nell’acqua. 

© Riproduzione riservata