È riuscito a simulare un incontro privato con il papa che non c’è mai stato, almeno in questa modalità. Eppure il capo miliziano iracheno Rayan al Kildani, sotto sanzioni da parte degli Stati Uniti per violazione dei diritti umani e corruzione, mercoledì si trovava in piazza san Pietro dove, al termine dell’udienza generale ha potuto salutare brevemente il papa.

Tanto è bastato per far circolare in Iraq la fotografia che lo ritraeva insieme a Francesco il quale, con ogni probabilità, era ignaro della vera identità del personaggio che aveva di fronte. Anche perché solo nell’aprile scorso il papa si era rifiutato di concedere a al Kildani un’udienza privata, senza contare che quest’ultimo è un acerrimo nemico del cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad e capo della Chiesa caldea dal luglio scorso costretto all’esilio a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.

Sako è una delle personalità della chiesa del medio oriente più vicina a Francesco. Resta da capire, tuttavia, come è stato possibile che un personaggio simile abbia potuto avvicinare il papa, senza contare il fatto che sia entrato in Italia invitato «da imprenditori e istituzioni italiane», secondo quanto riportato dai media iracheni. Sta di fatto che Rayan al Kildani, Rayan il caldeo, è entrato e uscito dal nostro paese, e ha raggiunto addirittura in piazza san Pietro per vedere di persona, sia pure per pochi momenti, il pontefice.

L’orecchio tagliato

Nel 2019, il governo degli Stati Uniti stabiliva di sottoporre al Kildani a sanzioni economiche e misure restrittive in quanto «responsabile o complice e coinvolto direttamente o indirettamente in gravi violazioni dei diritti umani».

«Al Kildani – si legge nelle motivazioni del provvedimento – è il leader della milizia della 50a Brigata. Nel maggio 2018, tra le organizzazioni irachene della società civile per i diritti umani è circolato un video in cui al Kildani tagliava l’orecchio a un detenuto ammanettato».

«Secondo quanto riferito – prosegue il testo del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti – la 50a Brigata costituisce il principale ostacolo al ritorno degli sfollati interni nella pianura di Ninive (storicamente sede delle comunità cristiane, ndr). La 50a Brigata ha sistematicamente saccheggiato le case di Batnaya, che sta lottando per riprendersi dal brutale dominio dell'Isis. La 50a Brigata ha sequestrato e venduto illegalmente terreni agricoli e la popolazione locale ha accusato il gruppo di intimidazioni, estorsioni e molestie nei confronti delle donne».  

La notizia che al Kildani abbia potuto vedere il papa, spiega il cardinale Sako a Domani, «è stata uno shock per tutti gli iracheni, anche le sue milizie mi chiamano, i capi politici e i ministri del governo e anche i leader religiosi; come mai questo personaggio è stato ricevuto dal papa si chiedono, questo uomo è un delinquente. Ora sta cercando una un'autorità religiosa cristiana come ombrello per coprire tutto ciò che sta facendo, che lo riconosca come rappresentante dei cristiani. Ha “comprato” anche alcuni vescovi e preti a Baghdad, perché io sono fin dall'inizio contro una milizia cristiana e lui è responsabile di tanti crimini, compresa la corruzione» .

Si tratta, spiega ancora il cardinale, di «un uomo che non ha niente di morale e questa visita è uno scandalo. Certo, non so come abbia ottenuto il visto per entrare in Italia considerato che al Kildani è sotto le sanzioni americane. E poi come abbia ottenuto un biglietto per il baciamano con il papa. Su questo incontro ha potuto costruire tanta propaganda e diffondere menzogne».

L’alleanza con gli sciiti

Al Kildani emerge come leader cristiano intorno al 2014 nella guerra per liberare l’Iraq dall’Isis, fonda il movimento Babilonia e la sua ala militare, la brigata Babilonia; quest’ultima però si pone sotto il controllo delle milizie sciite che combattono l’Isis ma puntano a prendersi il paese per conto di Teheran.

Iniziano così i contrasti con la chiesa caldea che disconosce l’azione della brigata Babilonia, mentre il braccio politico del movimento si organizza e  alle elezioni legislative del 2021, complice una serie di revisioni delle circoscrizioni elettorali, ottiene 4 dei 5 parlamentari spettanti alla minoranza cristiana, solo che i voti provengono in larga parte dalla componente sciita.

Poi, nel luglio scorso, lo scontro definitivo fra patriarcato e il governo di Baghdad e lo stesso al Kildani che lo sostiene. il presidente iracheno Abdul Latif Rashid revoca il decreto n. 147, emanato dal suo predecessore Jalal Talabani, il 10 luglio 2013, che riconosceva il patriarca, nominato dalla Santa sede, capo della chiesa caldea «in Iraq e nel mondo», oltre che «responsabile e custode delle proprietà della Chiesa». 

E proprio quest’ultimo aspetto sarebbe quello più rilevante secondo il patriarca Sako perché l’obiettivo finale delle milizie è quello di appropriarsi dei beni dei cristiani e di costringerli nei fatti a farli andare via. Il decreto, secondo il patriarca Sako, è incostituzionale e il capo della Chiesa caldea si è rivolto alla giustizia irachena per ricorrere contro il provvedimento.

Diritti umani negati

Dietro la contesa giuridica, c’è tuttavia una realtà drammatica. I cristiani prima della guerra erano almeno un milione e mezzo, il 4 per cento della popolazione, forse di più; solo a Baghdad ce n’erano un milione con interi quartieri cristiani. Ora ne restano sì è no mezzo milione, e molti continuano a lasciare il paese.

C’è stato l’isis, certo, ma non solo. Le milizie che oggi spadroneggiano nel paese, come la milizia Babilonia, e rappresentano una sorta di stato nello stato, contribuiscono con le loro violenze alla fuga dei cristiani. «Già prima dell'Isis i cristiani hanno molto sofferto, quella cui assistiamo è una persecuzione diciamo così non dichiarata ma nella vita quotidiana c'è, esiste una discriminazione contro i cristiani, certo».

Poi le scuole e gli ospedali del paese, senza distinzione, sono ridotti in uno stato miserabile, mancano elettricità e medicinali. «In occidente – osserva ancora il cardinale Sako – si parla dei diritti dell'uomo, qui non ci sono diritti dell'uomo, non vengono rispettati. Senza contare tutto questo fondamentalismo che punta all’eliminazione dell’altro. Di fronte a tutto questo la chiesa deve fare un po’ di più, è un po’ troppo timida, ma anche l'occidente deve fare pressione su questi regimi affinché rispettino i diritti dell'uomo. Certo, ci vuole tempo e un cambiamento della cultura e anche un aggiornamento della religione».

In quanto al fatto che lui stesso possa rischiare la vita o la prigione per le posizioni che assume pubblicamente, il patriarca risponde: «No, io non ho paura. Poi sono un consacrato e non ho paura di essere ammazzato per una giusta causa. Io sono pronto per ogni evenienza perché ho una causa e il mio scopo è difendere i cristiani. È la mia responsabilità, ma anche, allo stesso tempo, chiedere una vita dignitosa per tutti gli iracheni, cioè la costruzione di uno stato fondato sulla cittadinanza e non settario. È quello che ho sempre chiesto e tutti lo sanno».

© Riproduzione riservata