Il XIX Congresso, con il quale Xi Jinping nel 2017 ha proclamato che la modernizzazione della Cina sarà guidata sempre di più dal suo partito-stato. Poi la gestione della pandemia, che ha mobilitato la sorveglianza fisica e tecnologica e l’ideologia del nuovo autoritarismo cinese. Infine l’esplosione della “rinnovata competizione tra grandi potenze” – così l’hanno battezzata a Washington – che sta allontanando la Cina dall’occidente.

Queste tre cesure, interne e internazionali, che stanno cambiando la vita dei cinesi, hanno trasformato il paese in un gigantesco laboratorio, sociale, economico e politico. La Cina appare diversa rispetto a pochi anni fa, e in continua trasformazione. In strada la propaganda politica ha soppiantato la pubblicità commerciale, mentre i “centri per la pratica della civilizzazione spirituale” voluti da Xi e spuntati come funghi riaffermano la presenza del partito nella società, e i funzionari del Pcc sono ormai insediati in ogni azienda, anche quelle straniere.

La “fabbrica del mondo” si sta emancipando sempre di più dalle produzioni a basso valore aggiunto. Negli ultimi giorni la manifattura di stato cinese ha messo a segno due successi storici, con l’entrata in servizio del Comac C919, l’aereo che sfiderà il duopolio Boeing 737-Airbus A320 nella categoria a corridoio singolo (il 60 per cento della produzione globale di velivoli passeggeri), e il rodaggio della Adora Magic City, la prima nave da crociera “made in China” di grandi dimensioni, fabbricata dalla Shanghai Waigaoqiao Shipbuilding. Mentre per fronteggiare la sfida cinese alle economie più avanzate in queste ultime si è riaffacciato il protezionismo, le politiche anti-Covid di Pechino hanno isolato per tre anni i cinesi dal resto del pianeta.

La paura della guerra

In questo quadro del tutto nuovo, i cinesi come vedono il mondo? Se lo sono chiesto due ricerche appena pubblicate: un sondaggio della pechinese Tsinghua e uno studio dell’Università di Alberta (How China Sees the World in 2023).

L’indagine del China Institute dell’ateneo canadese premette che per i cinesi le fonti d’informazione sulle questioni globali sono soprattutto i social media – costantemente monitorati, ma dove è possibile trovare opinioni e analisi non ufficiali – e le discussioni con altre persone, che si affiancano alla propaganda governativa di tv, giornali e radio.

Le tensioni geopolitiche hanno inciso profondamente su un’opinione pubblica che si sta in un certo senso preparando a uno scontro con gli Stati Uniti. Secondo lo studio di Tsinghua, il 74,1 per cento degli intervistati considera i “contrasti tra Cina e Stati Uniti” un rischio per la sicurezza della Cina, che per il 72,4 per cento potrebbe essere messa in pericolo anche da un “intervento di forze straniere a Taiwan”. Il direttore del Center for International Security del prestigioso ateneo pechinese ha chiarito che «gli intervistati più istruiti mostrano un minore senso di sicurezza, il che potrebbe implicare che coloro che accedono a più informazioni o hanno esperienza all’estero hanno una comprensione più diretta dell’insicurezza».

«Circostanze estreme»

How China Sees the World in 2023 rileva che, nei prossimi dieci anni, i cinesi temono un conflitto anzitutto con gli Usa (5,2 su una scala da 1 a 7), ma anche con il Giappone (4,8) e con l’India (3,4): i possibili detonatori vengono dunque individuati nella questione di Taiwan e nelle dispute territoriali nel Mar cinese meridionale, ma anche in quelle nel Mar cinese orientale e di confine con New Delhi. Del resto l’altro ieri Xi ha parlato di possibili “circostanze estreme” che giustificano la necessità «di costruire un grande sistema di circolazione interna che assicuri che l’economia della nazione possa continuare a operare» in qualsiasi situazione.

Entrambi i sondaggi suggeriscono che i cinesi hanno introiettato la polarizzazione dei rapporti bilaterali del paese: da un lato la Russia (190 miliardi di dollari di interscambio nel 2022, +34,3 per cento), percepita ormai come un vero e proprio alleato; dall’altro gli Stati Uniti, che vengono considerati sempre più come una minaccia. Le loro manovre militari assieme al Giappone, l’83 per cento di popolazione Usa che – secondo Pew Reserch center – ha un’opinione negativa della Cina, e il “CHIPS and Science Act” approvato un anno fa per negare alla Cina i microchip più avanzati hanno lasciato il segno.

I cinesi considerano comunque gli Usa la potenza di gran lunga più influente (6,1 sulla scala da 1 a 7), nonché (dal 25,8 per cento del campione), assieme al Regno Unito (24,8 per cento), la meta preferita per l’istruzione superiore, per il prestigio delle istituzioni universitarie dei due paesi. Ma la percezione degli Stati Uniti – che per decenni hanno mantenuto la “fabbrica del mondo” al centro della globalizzazione neoliberista, e che per molti cinesi hanno rappresentato sotto diversi aspetti un “modello” – è radicalmente mutata: assieme al Giappone, hanno oggi il gradimento più basso (2,6) come partner della Cina. All’estremo opposto, nonostante l’invasione dell’Ucraina, la Russia, considerata il partner più affidabile (5,4 su 7), nonché la destinazione preferita per lavoro (14,3 per cento del campione) e, dopo la Francia, per turismo (38,9 per cento).

Lo studio dell’ateneo canadese rileva che – anche tra la gente comune – il rapporto bilaterale con la Russia viene giudicato sempre più cruciale. Si tratta dell’ennesima conferma che quella tra Pechino e Mosca è ormai una alleanza di fatto. In una scala da 1 a 7 i cinesi valutano 5,6 l’importanza delle relazioni con la Russia per il futuro di lungo termine della Cina. Seguono quelle con l’Unione Europea (4,8) e con gli Stati Uniti (4,7). Il punteggio attribuito al Giappone - che pure è il quarto partner commerciale della Cina - è solo 3,6.

Anche l’idea di un sistema politico diverso e “superiore” alla democrazia liberale sembra interiorizzata, come dimostrano le risposte sulla gestione della pandemia, che attribuiscono il punteggio migliore (4,4) alla Russia, seguita dall’Unione Europea (3,8), con l’India (2,7) e gli Stati Uniti ultimi (2,5).

Giovani nazionalisti

La pace e la sicurezza sono considerati i campi nei quali maggiormente si potrà esercitare la leadership globale della Cina (6,4), seguite da tecnologia e innovazione (6,0). In generale, la percezione del nuovo status di potenza globale della Repubblica popolare cinese è decisamente più marcata tra i giovani (18-22 anni) che fra gli ultra sessantenni. Un apparente paradosso, in una fase in cui il rallentamento della seconda economia del pianeta fa registrare (ad aprile) il 20,4 per cento di disoccupazione giovanile. Il fatto è che chi si è formato nel clima più “liberal” della stagione di Riforma e apertura, intrapresa da Deng Xiaoping nel 1978, tende a considerare il paese meno “ricco e forte” dei giovani cresciuti nella Nuova era proclamata da Xi Jinping, più sensibili alle sirene del nazionalismo che il presidente ha promosso come principale collante tra partito e società.

A questo patriottismo si accompagna la consapevolezza dell’importanza per lo sviluppo della Cina delle relazioni con l’estero. Mentre il vertice del G7 di Hiroshima (19-21 maggio) ha affermato l’obiettivo per le economie più avanzate di ridurre la dipendenza dalla Cina, i cinesi restano favorevoli ad aumentare gli scambi commerciali e gli investimenti con gli altri paesi. Anche in questo caso la loro graduatoria sembra riflettere le priorità della politica. In cima alla lista delle aree con cui allargare la cooperazione c’è infatti la Russia (5,6), seguita dall’Unione europea (5), e dalla Germania (4,8), che continua a essere apprezzata perché continua a scommettere – indipendentemente dalle politiche Ue – nelle relazioni con Pechino. In vista della viaggio di stato che lo porterà a Berlino il prossimo 20 giugno, lunedì scorso il premier Li Qiang ha promesso a una delegazione dei socialdemocratici tedeschi in visita a Pechino maggiore accesso al mercato cinese e ulteriori agevolazioni per le aziende tedesche.

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