L’avventura del leader mercenario Evgenij Prigožin è finita con uno sbuffo di fumo in cielo e un volo di duemila metri fino a terra. Due giorni fa, l’aereo su cui volava insieme ai più importanti comandanti del gruppo Wagner è precipitato mentre volava da Mosca a San Pietroburgo, quasi certamente abbattuto.

Si è conclusa così l’incredibile carriera di Prigožin, che lo ha portato da uno stand di hot dog nella San Pietroburgo della Perestroika fino a una sfida senza precedenti al regime di Putin. Una sfida che, alla fine, non gli è stata perdonata. C’è del gelo nella parole di Putin: «Conoscevo Prigozhin da moltissimo tempo, fin dai primi anni '90. Era un uomo dal destino difficile e ha commesso gravi errori nella vita. Ha ottenuto i risultati di cui aveva bisogno, sia per se stesso, sia quando glielo ho chiesto per una causa comune, come in questi ultimi mesi».

Il condottiero

Era difficile immaginare un simile percorso per Prigožin, piccolo criminale senza nessuna esperienza militare diventato proprietario di un impero del catering grazie alla sua astuzia e brutalità negli anni caotici seguiti al crollo dell’Urss. Ma dai ristoranti di lusso, Prigožin è entrato in contatto con Putin, ha ottenuto lucrosi contratti di fornitura all’esercito e ha iniziato a farsi notare come possibile fornitore di altri servizi per cui era necessaria una certa discrezione.

Per lungo tempo il gruppo mercenario Wagner è stato una branca secondaria della sua rete formata da oltre 350 società e con cui lui stesso ha negato per anni ogni collegamento. L’invasione dell’Ucraina avrebbe radicalmente cambiato questo stato di cose.

Inizialmente, Wagner non viene coinvolta nell’attacco a causa dei rapporti tesi tra Prigožin e il ministero della Difesa, geloso dei successi ottenuti dal gruppo in Africa e Siria. Ma il fallimento del blitzkrieg che avrebbe dovuto portare Kiev ad arrendersi in pochi giorni, rimescola le carte.

Prigožin stesso ha raccontato di essere stato contattato dalle autorità russe il 16 marzo del 2022, quando le forze armate russe si preparavano a ritirarsi da Kiev. Appena tre giorni dopo, i primi miliziani di Wagner arrivano in Ucraina. Il 7 maggio, dopo oltre un mese di combattimenti durissimi, i soldati di Wagner occupano la strategica città di Popasna. Per Prigožin è la prima vittoria militare contro un avversario convenzionale. Non sarà l’ultima.

Wagner inizia ad acquisire la fama di una delle unità più efficienti delle forze armate russe. I suoi soldati sono ben pagati e motivati, i suoi comandanti sono esperti e godono di ampia indipendenza, mentre punizioni per chi fallisce sono spietate. In varie città della Russia compaiono centri di arruolamento e poster pubblicitari per attrarre nuovi volontari. Wagner inizia a diventare un nome familiare per il pubblico russo, e non solo. A settembre, Prigožin ammetterà finalmente di essere il fondatore e il leader di Wagner ed inizia a commentare personalmente, e di frequente, gli eventi sul campo di battaglia. In particolare, la battaglia più sanguinosa nella quale finiscono coinvolti: Bakhmut.

Il tritacarne

In estate, Prigožin riceve il permesso di reclutare volontari nelle carceri russe. A chi lo critica per l’iniziativa, Prigožin risponde: «Se non combattono loro, dovranno combattere i vostri figli». Secondo le principali stime, Wagner recluta in pochi mesi circa 40mila carcerati. Il gruppo li impiega in maniera brutale. Il loro ruolo è andare all’assalto a ondate consecutive, consumare le munizioni degli ucraini e rivelare le loro posizioni prima dell’attacco dei veterani. Chi si ritira o prova a disertare viene ucciso. Il 13 novembre, il gruppo fa circolare il video in cui uno dei suoi soldati accusato di diserzione viene ucciso con un colpo di maglio alla testa. 

Nel frattempo, gli ucraini liberano Kherson e riconquistano la regione di Kharkiv. Prigožin è furioso con gli alti comandi dell’esercito: «Dovrebbero essere mandati al fronte scalzi e con una mitragliatrice». I soldati di Wagner, nel frattempo, sono gli unici che avanzano. Combattono soprattutto a Bakhmut, una città strategicamente poco importante, ma che diviene rapidamente simbolica per entrambe le parti in conflitto. In inverno, la battaglia per la città si fa sempre più dura e così le critiche di Prigožin agli alti comandi. Wagner dipende dall’esercito regolare per tutto: dall’artiglieria al supporto aereo, dai trasporti alle munizioni e secondo Prigožin non ne sta ricevendo abbastanza.

Il tradimento

A gennaio, Wagner occupa Soledar, una città poco lontana da Bakhmut, è la prima vittoria russa da mesi, ma il ministero della Difesa inizialmente cerca di nascondere il ruolo di Wagner. Lo scontro diviene aperto. Prigožin pubblica un messaggio di critiche dopo l’altro. Attacca personalmente il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov e il ministro della Difesa Sergei Shoigu. «Shoigu, Gerasimov, dove cazzo sono le mie munizioni?», grida in un video pubblicato a maggio di fronte a una pila di corpi. Prigožin dice che l’esercito lo sta sabotando e che Wagner ha subito il doppio delle perdite a causa della mancanza di supporto. Il leader mercenario inizia persino ad attaccare Putin in modo obliquo e a criticare le motivazioni ufficiali che hanno portato al conflitto.

Bakhmut cade e il 25 maggio Prigožin annuncia che le sue truppe si ritireranno per riorganizzarsi, cedendo le loro posizioni alle unità regolari. Prigožin si aspetta un premio, ma riceverà l’opposto. Il 10 giugno il ministero della Difesa annuncia che entro la fine del mese tutte le unità di mercenari e volontari dovranno firmare un contratto ufficiale, perdendo così la loro indipendenza. Quando Putin dichiara di sostenere la mossa del ministero, Prigožin capisce di non aver più scelta.

L’insurrezione

Prigožin lancia il suo ammutinamento la sera del 23 giugno e il giorno successivo i suoi soldati occupano il quartier generale di Rostov e iniziano a marciare su Mosca. Prigožin assicura che la sua ribellione non è contro il Cremlino, ma contro gli alti comandi e il ministero della Difesa. Ma non si fermerà quando Putin gli ordinerà di farlo in un discorso televisivo. 

Prigožin lancia il suo colpo di mano al culmine della popolarità, quando i sondaggi indicano che è la figura più apprezzata del paese secondo solo a Putin stesso. Ma il sostegno evapora in fretta. I circoli di ultranazionalisti criticano la sua mossa e la definiscono una pugnalata alle spalle. Il regime stringe i ranghi e in breve diviene chiaro che se i soldati di Wagner arriveranno a Mosca ci sarà uno spargimento di sangue. 

Prigožin accetta di ritirare le truppe in cambio di un’amnistia. Il regime sembra trattarlo con i guanti. Il leader mercenario rimane libero e a fine giugno incontra persino Putin, insieme ai suoi comandanti. Ma dietro le quinte, il Cremlino inizia a smantellarle il suo impero pezzo per pezzo. A due mesi esatti dal suo ammutinamento, nei cieli sopra Mosca, Putin terminerà il lavoro eliminando il pezzo più importante, quello che sorreggeva l’intera struttura. 

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