Il segretario leghista Matteo Salvini ha scelto il giorno della Liberazione per annunciare la candidatura «in tutti i collegi elettorali» del generale Roberto Vannacci, noto per le uscite criptofasciste (anche per il 25 aprile si è rifiutato di definirsi antifascista), xenofobe e omofobe, per gli attacchi alle minoranze, e per aver venduto copie con il messaggio che provare questo tipo di intolleranze è lecito e condivisibile.

Dopo un lungo corteggiamento – che non impedisce a Vannacci di definirsi tuttora «un candidato indipendente» nonostante l’egemonia nelle liste – Salvini potrà ora giocarsi a modo suo il tutto per tutto. Quando, ieri a Milano, ha presentato il proprio libro Controvento, il leader della Lega ha tralasciato di dire che la sua scelta va anzitutto contro il parere di molti nel suo stesso partito.

Salvini rischiatutto

Le perplessità per una operazione simile erano trapelate nella Lega tra i governatori, tra eurodeputati di peso che si sono ritrovati invece senza posto in lista, tra ministri che della patina moderata hanno fatto la loro cifra come Giancarlo Giorgetti, e pure tra chi moderato non ha mai neppure cercato di apparire. Persino un fedelissimo come Riccardo Molinari sul tema aveva rilasciato dichiarazioni fredde. Ma Salvini ha deciso di rischiare imponendo il generale, perché da tempo i sondaggi dicono che, mentre la sua famiglia sovranista europea (Id) cresce, il suo partito cala, tanto che alcuni sondaggi lo danno surclassato da Forza Italia; il segretario spera che i consensi catalizzati dal generale salvino qualche seggio alla Lega, ma soprattutto a lui la poltrona. La sua ultima speranza è – se proprio deve diventare l’ultimo della classe sovranista Id – cavarsela almeno nella competizione nazionale.

Significa tirar dritto fino al voto fingendo di non vedere che il malcontento interno – si pensi a quella lettera siglata a inizio mese da una fronda di amministratori locali – non farà che aumentare. «La mia sostituzione? Finora non si è mai fatto avanti nessuno», è il mantra salviniano. Tra i malpancisti lombardi c’è chi lo ha già accusato di sentirsi blindato in mancanza di una vera competizione. Convinto che Vannacci sia il proprio coniglio nel cappello, il Salvini rischiatutto sta facendo rischiare anzitutto la Lega. Il suo “controvento” è una regressione: lo ha indirettamente dimostrato lui stesso ieri con allusioni alla Russia, dichiarazioni pro Trump, nostalgie per «la Comunità europea al posto dell’Ue», e i «Mi rompono le palle» in live streaming.

Regressione sovranista

Quando è diventato leader della Lega, Salvini ha trasformato il partito secessionista in partito sovranista, ridisegnandolo sul modello francese di Marine Le Pen. Oggi però il Rassemblement National è già nel nuovo ciclo di vita sovranista: mentre cresce nei consensi, punta a mettersi comodo nelle istituzioni e tenta perciò la normalizzazione. La candidatura dell’ex capo di Frontex, Fabrice Leggeri, va letta proprio come notabilisation, e cioè come tentativo lepeniano di dotarsi di funzionari e classe dirigente in grado di penetrare le istituzioni. Salvini fa l’opposto. Marco Zanni, il leghista che ha guidato il gruppo Id all’Europarlamento, non sarà ricandidato. Marco Campomenosi, che ha guidato la delegazione leghista in Ue, e che ha osato criticare le simpatie salviniane per Vannacci, pure è fuori. Con una notabilisation al contrario (“controvento”?), Salvini lascia da parte chi ha esperienza istituzionale, per tirar dentro il generale e «altri non iscritti»; nomi acchiappavoti.

Il Rassemblement camuffa le simpatie filorusse e si prepara a incassare più del 30 per cento. La Lega a quelle cifre era arrivata nel 2019, e in fatto di normalizzazione, visto che è al governo da tempo, avrebbe di che tentare. Ma su questo Salvini si ritiene superato da Meloni, e, prevedendo il declino elettorale della Lega a giugno, punta a risalire facendo il contrario di Le Pen: punta a urlare più forte di FdI, a catalizzare frustrazioni, ad attaccare giudici e candidare odiatori.

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