Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Tutto è iniziato nel 1980: Rocco Chinnici assegna a Falcone il procedimento a carico di Rosario Spatola, un faccendiere e costruttore siciliano, su cui gravava l’accusa di gestire un grosso traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra Palermo e New York, dove coesistevano e prosperavano, commerciando in armi ed eroina, ben cinque “famiglie” mafiose.

Nel corso di quel procedimento, a carico anche di altri soggetti, si accertò come alcune “famiglie” mafiose palermitane acquistassero in Turchia ingenti quantità di morfina base, la trasportassero a Palermo, dove veniva trattata in “raffinerie” clandestine e trasformata in eroina purissima, che veniva commercializzata preferibilmente a New York, ma anche in altre città statunitensi, e il cui ricavato era oggetto di transazioni economiche presso istituti di credito svizzeri.

Quel processo, in cui erano coinvolti importanti soggetti legati a Cosa nostra, fece comprendere a Giovanni Falcone che la strategia sino ad allora seguita nel contrasto giudiziario alla criminalità organizzata andava abbandonata perché del tutto inidonea a conseguire risultati soddisfacenti.

Istruendo il procedimento a carico di Rosario Spatola e altri, Falcone comprese ben presto che la mafia era anche un fenomeno criminale transnazionale, che la sua potenza economica aveva superato i confini della Sicilia, che era riduttivo e fuorviante indagare solo a Palermo e che, soprattutto, era necessario penetrare nei “santuari” degli istituti di credito, dovunque si trovassero. Lì affluivano e venivano “puliti” gli ingentissimi capitali accumulati con i traffici internazionali di armi e droga.

Perché, argomentava Falcone, se la droga non lascia quasi tracce (se non per i danni alla salute di coloro che la assumono), il denaro ricavato dal suo commercio non può non lasciare dietro di sé una scia, segni, orme del suo percorso, del suo passaggio da chi la fornisce a chi l’acquista.

Follow the money, si diceva, a partire da una consapevolezza del sistema criminale globale che era tutt’altro che diffusa tra gli inquirenti in quel periodo.

Per questo motivo furono disposte accurate e mirate indagini bancarie, patrimoniali e societarie, in Italia e in altri Paesi, nei confronti di centinaia di soggetti, al fine di portare alla luce rapporti di affari, contatti, trasferimenti di somme di denaro da un soggetto all’altro, infrangendo così il segreto bancario, fino ad allora considerato alla stregua di un totem inviolabile.

Passammo al setaccio migliaia di assegni e numerosissima altra documentazione (tutto è contenuto in ben quattro dei quaranta volumi della ordinanza-sentenza, depositata l’8 novembre 1985, che ha dato vita al Maxiprocesso) per acquisire la prova inconfutabile, in precedenza quasi mai raggiunta, di rapporti di conoscenza e di affari illeciti tra mafiosi, trafficanti di denaro sporco e colletti bianchi, ostinatamente negati dagli interessati.

Segui il denaro, follow the money, voleva dire anche andare all’estero e lavorare con investigatori di tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti.

Questo ha fatto sì che Giovanni sia diventato un pioniere anche per quanto riguarda l’internazionalizzazione del contrasto alla criminalità organizzata, stringendo assidui rapporti con gli investigatori d’oltreoceano.

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