È stato definito il “momento Lehman Brothers” delle criptovalute: la bancarotta di Ftx – exchange (piattaforme di compravendita di monete digitali) dal fatturato pari a un miliardo di dollari nel 2021 e dalla valutazione di mercato che aveva raggiunto i 32 miliardi – ha nuovamente azzerato la fiducia nei confronti dei bitcoin e dei suoi fratelli minori, provocando un ulteriore imponente calo dei prezzi e facendo temere, ancora una volta, di essere di fronte alla fine delle criptovalute.

Con la conclusione, circa un anno fa, dell’ultimo grande ciclo espansivo delle monete basate su blockchain – e con l’inizio di un nuovo “crypto winter” caratterizzato da valori in calo e investimenti più cauti – era inevitabile che sarebbe prima o poi saltato fuori quali realtà stavano confidando, per la loro tenuta economica, solo su un continuo afflusso di capitali (o almeno in una costante fiducia nei confronti della loro solvibilità). E così, dopo la scomparsa della criptovaluta TerraLuna (60 miliardi di capitalizzazione), si è arrivati anche alla bancarotta del terzo più grande exchange del mondo.

Dal momento in cui la testata specializzata CoinDesk ha messo in dubbio la contabilità di Ftx, sollevando un’ondata di sfiducia, il destino del colosso fondato da Sam Bankman-Fried è stato segnato. D’altra parte, come si è poi scoperto, questo exchange aveva liquidità per soli 900 milioni di dollari di fronte a una passività di oltre 9 miliardi.

Settore a rischio?

Resta da capire se, a essere segnato, sia il destino di tutto il settore delle criptovalute. Da questo punto di vista, è utile contestualizzare storicamente quanto avvenuto. Per quanto sia sicuramente stato un evento di enorme portata, non si è trattato in alcun modo di un fatto inedito nel cripto-panorama. Al contrario, già nel 2014 il mondo delle criptovalute (all’epoca identificate quasi esclusivamente con i bitcoin) era stato scosso alle fondamenta dalla bancarotta del più grande exchange del tempo: Mt Gox.

Per capire l’importanza di quell’avvenimento, basti pensare che all’epoca la piattaforma guidata da Mark Karpelès gestiva oltre il 70 per cento di tutte le transazioni in bitcoin. Non appena si è venuto a sapere della sua bancarotta, il valore dei bitcoin è immediatamente precipitato del 50 per cento. Più di recente, i dubbi che hanno a lungo circondato la solvibilità della stablecoin Tether (una criptovaluta dal valore fisso) hanno giocato un ruolo non secondario nello scoppio della bolla delle criptovalute dell’inverno 2017-2018.

All’epoca, nel giro di dodici mesi, il valore dei bitcoin era passato da un massimo di 19mila dollari a un minimo di 3.500 (-82 per cento), mentre la capitalizzazione dell’intero settore era scesa da 830 miliardi a 119 (-86 per cento). Oggi, dopo la fine del ciclo euforico del 2021 e nel pieno dello tsunami provocato dalla bancarotta di Ftx, ci ritroviamo in una situazione simile: i bitcoin sono passati in un anno dal massimo storico di 67mila euro a quello attuale di circa 16mila (-76 per cento); mentre l’intero settore è passato da 2.800 miliardi agli attuali 845 miliardi (-70 per cento).

Il calo, per quanto da montagne russe della speculazione, è comunque nell’ordine delle percentuali viste già più volte nei quasi quindici anni di storia dei bitcoin. Significa che è stato toccato il fondo e da qui potrebbe iniziare la risalita? Che, essendoci “sangue per le strade”, come diceva Nathan Rothschild, potrebbe anzi essere il momento giusto per comprare? Ovviamente, nessuno può saperlo: molti analisti sostengono al contrario che i bitcoin potrebbero scendere ancora a 12 o anche 10mila dollari.

Rischio contagio

Inoltre, non va sottovalutato il pericolo che quanto avvenuto a Ftx scateni un’ondata di sfiducia tale da contagiare anche altri colossi del settore.

Un operatore come BlockFi ha già interrotto i prelievi, mentre alcune realtà esposte anche sotto il profilo del crypto-lending (prestiti ad alto rendimento di criptovalute) come Genesis e Gemini stanno iniziando a subire qualche contraccolpo.

«Potrebbe benissimo verificarsi un contagio a causa delle persone che, vedendo cos’è successo e chiedendosi dove altro possa avvenire, iniziano a prelevare i loro beni dalle piattaforme», ha spiegato David Yermack, docente di Finanza della NYU, parlando con Business Insider. «Potrebbero esserci piattaforme che non hanno fatto nulla per vedere messa in dubbio la loro stabilità che si trovano comunque risucchiate nel vortice».

D’altra parte, l’unico modo per proteggersi da questa eventualità è proprio quella di ritirare le criptovalute conservate sugli exchange, trasferendoli invece nei wallet elettronici gestiti (non senza rischi) dallo stesso proprietario di bitcoin e altri. È l’equivalente digitale di mettere i soldi sotto il materasso quando non ci si fida più delle banche: un’azione che rischia però di dare il via a una profezia che si autoavvera.

Da dove ripartire

AP Photo/Salvador Melendez

Volendo invece guardare al bicchiere mezzo pieno, si potrebbe segnalare come è proprio in questi momenti che tutto il settore può rafforzarsi: eliminando i rami secchi, facendo (temporaneamente) passare la sbornia speculativa e concentrandosi sulla costruzione di prodotti e servizi migliori e più utili.

«Il solo problema è: che cosa si sta costruendo, esattamente?», si chiede Bloomberg. «Idealmente, i tecnici del settore cripto stanno costruendo il sistema bancario del futuro, assieme ad altre incredibili esperienze digitali e a videogiochi di enorme successo, tutto su blockchain.

Gran parte di ciò che le più grandi realtà del settore hanno finora costruito sono però soltanto infrastrutture per il trading: exchange, protocolli per prestiti e app per la finanza decentralizzata che attraggono solo gli addetti ai lavori. Nel frattempo, i prodotti progettati per il consumatore medio, come per esempio gli ambienti del metaverso e i biglietti tramite Nft, sono poco utilizzati e tecnicamente troppo complessi per diventare un vero affare».

Ci sono comunque delle costanti da cui tutto il settore può ripartire. La prima è rappresentata, ancora una volta, dai bitcoin: la più antica delle criptovalute è a volte considerata “too big to fail (anche se proprio il caso Ftx ha dimostrato come non ci siano realtà troppo importanti per crollare) ed è ormai un bene d’investimento talmente integrato nei portafogli dei più importanti investitori ed hedge fund del mondo che una sua ripresa potrebbe essere solo questione di tempo, contesto macroecomico permettendo.

La seconda costante è rappresentata da Ethereum, che in seguito al processo noto come The Merge ha ridotto i consumi di oltre il 99 per cento, ponendo inoltre le basi per aumentare drasticamente le proprie prestazioni. Essendo la piattaforma che ospita gran parte delle soluzioni del web3 (la possibile terza incarnazione della rete basata su blockchain), Ethereum rappresenta sicuramente una delle realtà meno velleitarie e dalle maggiori potenzialità.

E questo a maggior ragione perché, nel frattempo, il web3 sta effettivamente muovendo i primi, ancora incerti, passi. Reddit, il più importante forum online al mondo con circa 500 milioni di utenti al mese, ha da poco lanciato la sua raccolta di oggetti collezionabili digitali certificati tramite Nft, i CryptoSnoos, generando nella prima settimana 2,5 milioni di dollari al giorno di transazioni e spingendo 3 milioni di utenti a scaricare il wallet necessario per ottenerli. Nelle stesse settimane, anche Instagram ha annunciato che a breve consentirà ai suoi utenti di creare, mettere in mostra e vendere Nft, che saranno conservati sulla piattaforma cloud decentralizzata Arweave (la cui criptovaluta, Ar, è in seguito alla notizia momentaneamente cresciuta di oltre il 50 per cento).

Anche in una fase estremamente negativa come quella attuale, l’ambito legato alla blockchain, agli Nft e al web3 continua comunque a fare progressi. Nonostante l’enorme sfiducia che, per il tempo a venire, circonderà questo mondo e i rischi che la situazione peggiori ulteriormente, probabilmente nemmeno questa volta assisteremo alla fine delle criptovalute. La speranza è che sia invece la fine del far west speculativo e deregolamentato che fino a oggi ha caratterizzato questo settore.

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