Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado sul processo Montante.


Ogni articolazione era espressione di una delle esigenze che il Montante aveva intenzione di perseguire, avvalendosi del ruolo che, da vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità, gli consentiva di fare da "pontiere", secondo l'efficace espressione di Di Simone. Ad ognuno dei canali che egli era in condizione di far funzionare e che riusciva a mettere connessione con gli altri (privato e pubblico, confindustriale e investigativo, etc.), la fiducia in lui riposta dalle istituzioni e le attese di benefici da parte degli operatori che dalla sua capacità di influenza ritenevano di poter trarre vantaggio, gli hanno consentito di reclutare persone che, ciascuno nel rispettivo ambito, potevano assicurargli stabile disponibilità ad assecondare le sue richieste, piegando l'esercizio delle loro funzioni secondo il suo indirizzo.

Nella conversazione del 28.1.2016 Saccia commenta con Orfanello che Montante paradossalmente poteva venire a dettare legge presso il loro comando della Guardia di Finanza ancor più che altrove e che poteva fare il padrone di casa. Così ad esempio, dall'invito a stare vicini a questi imprenditori, formulato dai vertici romani della Guardia di Finanza ai vertici della provincia di Caltanissetta, si era quindi passati ad una generalizzata indulgenza verso le imprese di Montante o a lui vicine, sottoposte a controllo (senza nemmeno preoccuparsi di operare in palese violazione di conflitto di interesse), mentre per contro un'occhiuta attenzione era riservata ad imprenditori e professionisti, per qualsiasi ragione invisi al gruppo di potere. Così, ad esempio, il Col. D'Agata partecipava - come si nota dal file excel - a numerosissimi incontri anche ad altro livello che organizzava Montante con la partecipazione di esponenti di vertice di Confindustria e di società strategiche e con esponenti delle forze dell'ordine, anche più alte in grado di lui, e appartenenti ad altri corpi. Almeno finché non viene svelata l'indagine a carico di Montante e i due diventano assai più accorti. Nella conversazione del 31.1.2016 con la moglie, D'Agata commenta la notizia della perquisizione nella villa di Montante ed esprime il timore che possano avere trovato qualcosa che riguarda lui. Poi quando la moglie gli chiede se gli ha dato carte, D'Agata si riprende e afferma: "no ... ma io carte non gliene ho date''

L'esegesi di questo scambio di battute ha affaticato il giudice di primo grado, che ha inteso distinguervi un'affermazione genuina, la prima, e una posticcia, la seconda; e su questa ricostruzione hanno ampiamente discusso le difese tacciando questa operazione interpretativa come del tutto arbitraria. Ma ai fini del presente giudizio, che non deve valutare la posizione processuale di D'Agata, ciò che conta è già il timore manifestato da lui a seguito della perquisizione, a prescindere dal fatto che sia vero o meno che non ha dato carte a Montante (Venturi in realtà parla della consegna di una pen drive, che altri smentiscono, ma non si vede per quale ragione egli avrebbe dovuto integralmente inventare una tale circostanza ancorata ad un incontro che effettivamente risulta essersi svolto, come peraltro confermano oltre gli accertamenti tecnici anche le parziali ammissione di Maurizio Bemava; cfr. p. 718 della sentenza impugnata).

Il timore espresso da D'Agata è già dimostrativo del fatto che vi erano cointeressenze tali tra lui e Montante che a loro continua frequentazione poteva avere prodotto la prova di quel "qualcosa su di lui" che egli si augurava non fosse stato trovato. A ciò si aggiunga che il legame di salda disponibilità di D'Agata alle sorti di Montante è dimostrata dal fatto che la moglie Sara Battiato era stata nominata presidente dell'Industria Acqua Siracusana s.p.a., società a partecipazione mista di cui l'IRSAP era socio di maggioranza nell'agosto 2013; Cicero la scelse su indicazione di Montante e, come emerge dalle conversazioni intercettate nel corso del mese di dicembre del 2015 (cfr. pagg. 751 e seguenti della sentenza impugnata), D'Agata e la Battiato consideravano Montante il loro punto di riferimento perché la Battiato potesse mantenere la posizione di vertice presso l'ente e potesse risolverne i suoi problemi.

L'appartenenza del D'Agata al sodalizio è infine incontrovertibilmente dimostrata dal fatto che la rete attraverso la quale gli venivano riferite le indagini in corso (rete che è stata compiutamente ricostruita nella sintesi della posizione di Grassi) vede coinvolti soggetti interessati anche alle sorti di Montante che lo invitano spesso a rendere partecipe anche Montante delle informazioni ottenute (si vedano in particolare le conversazioni con Cuva, pagg. 1578 ss. della sentenza di primo grado).

Le articolazioni dell'associazione che operano sotto la direzione di Montante sono certo costituite da parti di apparato di Confindustria, da alcuni esponenti degli organi investigativi e altri dei servizi segreti. Come ha spiegato la giurisprudenza di legittimità, "ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la P.A., non si richiede l'apposita creazione di un'organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente l'attivazione di una struttura che può essere anche preesistente all'ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita; né è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso, a prescindere dalla sua durata nel tempo, non sia "a priori" circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati." (Cass. n. 10886 del 28.11.2013). Ciò che è necessario è "la sussistenza di un'organizzazione strutturale, che può anche essere rudimentale e preesistente all'ideazione criminosa, purchè si presenti adeguata allo scopo illecito perseguito" (Cass. n. 15573 del 28.2.2017). […].

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